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Un altro femminicidio annunciato. Per l’ennesima volta una donna, che aveva denunciato la violenza, è stata ammazzata. è stata accoltellata questa notte a Foggia, appena fuori da casa sua. I vicini l’hanno sentita urlare, ma quando è arrivata la polizia non c’era più nulla da fare, se non prendere atto di avere davanti agli occhi un’altra donna uccisa. E far partire le ricerche per l’ex compagno, poi fermato a Roma. Lei lo aveva denunciato lo scorso maggio, dopo essersi rivolta a un centro antiviolenza. Ed era tornata in quel centro qualche mese dopo, almeno così sembrerebbe dalle prime ricostruzioni, per dire che non era scattata alcuna misura effettiva, che lui la pedinava. L’epilogo, il più tragico di tutti, è quello che sappiamo.
La vittima aveva 46 anni, faceva la cuoca. Questa primavera, ad aprile, si era rivolta ad un centro antiviolenza della città, Telefono Donna, per chiedere aiuto. Alle operatrici aveva spiegato che l’ex compagno la minacciava, la importunava e la seguiva. Si era già mostrato violento durante la relazione e questo era proprio il motivo per cui, dopo qualche mese, era finita. Con il supporto del centro, la donna aveva deciso di denunciare. Secondo quello che riportano le agenzie di stampa, lo stesso centro antiviolenza lo scorso 16 giugno avrebbe inviato alle forze dell’ordine una valutazione di rischio alto, con possibile femminicidio. Per oltre un mese, fino a fine luglio, non sarebbe stata emessa alcuna misura cautelare. Il 23 luglio la donna si sarebbe rivolta nuovamente al centro antiviolenza, per denunciare che l’uomo avesse iniziato a pedinarla. Solo allora sarebbe scattato il codice rosso, con – a quanto pare – un divieto di avvicinamento. Che però, come purtroppo dobbiamo constatare, non è servito a proteggere questa donna.
Chiaramente però tutta questa vicenda, oltre a lasciare addosso un’amarezza incredibile, ci costringe di nuovo a chiederci se la strategia sia quella giusta. Se gli strumenti che abbiamo messo in campo per contrastare la violenza di genere stiano funzionando. Oppure se dobbiamo ripensare qualcosa.
Non è una nuova fattispecie di reato, così come non è l’inasprimento delle pene, a fare la differenza. C’è bisogno di un radicale cambio di paradigma culturale, di investimenti nella prevenzione, di un rafforzamento di tutta la rete che si occupa del contrasto alla violenza di genere, in ogni sua forma. Va detto, negli ultimi anni sono state diverse le leggi sulla violenza contro le donne. C’è appunto il Codice rosso, che è stato approvato dal governo di Movimento Cinque Stelle e Lega nel 2019 e poi rafforzato dal governo di Giorgia Meloni. C’è questo nuovo disegno di legge sul femminicidio. Però non è la minaccia dell’ergastolo a fermare la violenza maschile. L’anno scorso ci sono stati più di 100 femminicidi, quest’anno – secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio di Non Una Di Meno – siamo già a 50 donne uccise per il fatto di essere donne.
La violenza di genere non si può affrontare solamente da un punto di vista penale e pensare che questo risolva le cose. Non serve a niente rendere le pene più severe se poi non si finanziano i centri violenza, si ignorano i reati spia e non si dà un supporto adeguato alle vittime, non ci si occupa della formazione di polizia e magistrati, non si lavora per dei seri percorsi di educazione sessuale ed affettiva nelle scuole. Ovvio che le leggi sono importanti, ma non possiamo illuderci che possano essere risolutive, se non inserite in uno sforzo molto più ampio.
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