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Il caso Jimmy Kimmel e la libertà di stampa negli Stati Uniti

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Il talk show di Jimmy Kimmel, che esisteva da oltre vent’anni, è uno dei programmi più popolari e di successo negli Stati Uniti. Era prodotto dalla ABC, l’American Broadcasting Company che è di proprietà della Disney, che però adesso ha deciso di sospenderlo a tempo indeterminato. Il motivo? Un commento, nel monologo introduttivo alla puntata di lunedì, sull’omicidio di Charlie Kirk e il movimento Maga. Qui serve subito un appunto: quando Kirk è stato ucciso, Kimmel ha subito condannato l’attacco e mandato alla famiglia dell’attivista un messaggio di affetto e vicinanza. Il commento dell’altro giorno non riguardava l’accaduto in sé, ma l’impatto che sta avendo sul dibattito pubblico statunitense. Kimmel aveva detto che la destra statunitense, definita “gang Maga”, stesse strumentalizzando l’accaduto, cercando disperatamente di dipingere l'assassino come se fosse qualcosa di diverso da loro. Il tutto per avere un tornaconto a livello politico.

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Di base, Kimmel stava suggerendo che Tyler Robinson, il presunto assassino, di fatto non avesse posizioni così diverse da quelle dei Repubblicani. Letteralmente ha detto: “Si è toccato nuovamente il fondo durante il fine settimana, con la gang MAGA che ha cercato  disperatamente di caratterizzare questo ragazzo che ha ucciso Charlie Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro, e facendo tutto il possibile per ottenere qualche punto in più in politica”.

Queste sono le parole che sono finite al centro delle polemiche. Tanto che Brendan Carr, che è il presidente della Fcc – la Federal Communications Commission, cioè l’agenzia governativa che si occupa di telecomunicazioni – ha subito minacciato sanzioni contro l’ABC e contro la Walt Disney Company, ad esempio dicendo che avrebbe potuto togliere le licenze per le trasmissioni se non avessero preso provvedimenti. E questi, alla fine sono arrivati: il Jimmy Kimmel Live è stato sospeso a tempo indefinito.

Trump chiaramente ne è felicissimo. Parlando con dei giornalisti a bordo dell’aereo presidenziale, l’Air Force One, il presidente ha detto che la stragrande maggioranza delle emittenti sono contro di lui, che gli fanno una cattiva pubblicità nei notiziari e che quindi forse dovrebbero perdere la licenza per le trasmissioni. Una minaccia neanche troppo velata.

Di ritorno dalla sua visita di Stato in Gran Bretagna, Trump poi ha pure aggiunto che adesso restano Jimmy Fallon e Seth Meyers, altri due noti conduttori di talk show, che a suo avviso andrebbero cancellati perché hanno degli ascolti orribili.

Non è la prima volta che un programma critico con la Casa Bianca viene silenziato senza troppe cerimonie. Alcuni mesi fa negli Stati Uniti è stata annunciata la chiusura del Late Show condotto da Stephen Colbert, sulla rete televisiva CBS. Un programma storico, uno dei più famosi della storia della televisioni statunitense, che in passato era stato del famosissimo David Letterman. La motivazione ufficiale riguarda il calo degli ascolti, a secondo diversi commentatori ha più che altro a che fare con il fatto che Colbert fosse e continui a essere molto critico con Trump. La Cbs è controllata dalla Paramount, una società che poco tempo prima della cancellazione del Late Show aveva concluso un accordo con Trump da 16 milioni di dollari, dopo che il presidente le aveva fatto causa sostenendo che avessero deliberatamente costruito un’intervista con Kamala Harris in modo da favorirla nella sua corsa alla Casa Bianca.

Proprio Colbert, tra l’altro, aveva commentato questo accordo nel suo programma, sostenendo che si trattasse di fatto di una tangente, in modo da non avere problemi su un'altra trattativa, quella per l’acquisizione della casa di produzione Skydance, per cui serve un via libera governativo. Insomma, l’interpretazione è che dopo il mondo delle big tech, si starebbe assistendo a un asservimento anche da una parte di quello mediatico. Mentre, al contempo, le voci critiche vengono silenziate.

Il caso di Jimmy Kimmel, comunque, ha suscitato parecchio scalpore. Persino l’ex presidente, Barack Obama, è intervenuto. E ha detto: “Dopo anni a lamentarsi della cancel culture, l’attuale amministrazione ha portato tutto a un livello successivo, un livello pericoloso, minacciando sistematicamente azioni normative contro le aziende mediatiche, a meno che queste non mettano a tacere o licenzino giornalisti e commentatori non graditi. Questa è esattamente quella coercizione governativa che il First Amendment, il primo emendamento della costituzione, è stato progettato per prevenire. Le compagnie mediatiche devono iniziare ad opporsi, invece che capitolare”.

Anche il sindacato del settore è intervenuto, definendo questa sospensione come una violazione della libertà di espressione. E in generale tanti conduttori hanno espresso la loro solidarietà a Kimmel. Lo stesso Colbert ha parlato di censura e ha aggiunto che “con un autocrate, non puoi cedere di un millimetro, e se la Abc pensa che questo soddisferà il regime, è terribilmente ingenua”.

Un senatore democratico, Chris Murphy, ha denunciato che sia cominciata una campagna per fare dell’omicidio di Charlie Kirk un pretesto. Un pretesto per rafforzare il potere del governo e spazzare via tutti i critici e gli oppositori di Trump. Nella Fcc, la Federal Communications Commission, è presente anche una Democratica, Anna Gomez. E lei stessa ha condannato la sospensione dello show e le parole del suo superiore Carr: ha detto che un atto di violenza politica indifendibile, cioè l’omicidio di Charlie Kirk, non deve mai essere sfruttato come una giustificazione per imporre censura e controllo.

Perché di questo si tratta. Di censura delle voci scomode, di controllo della narrativa, di asservimento mediatico al potere. Un’operazione che arriva proprio dalla destra, quella destra che ha dato battaglia contro il politicamente corretto, facendo propaganda e scambiando inclusione e rappresentazione proprio per dei limiti alla libertà di espressione. Proprio la parte che per anni ha confuso il free speech con l’hate speech, ora sta cercando di rimpicciolire sempre di più lo spazio per la libertà di parola. Almeno di questo, dovremmo essere consapevoli.

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