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Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York e nel suo primo discorso dopo la vittoria si è rivolto subito direttamente a Donald Trump. Lo ha chiamato per nome e gli ha detto: “So che stai guardando e ho quattro parole per te, turn the volume up, alza il volume. E a quel punto la folla è impazzita. Stiamo respirando l’aria di una città che è appena rinata. E poi ha elencato, in una sua versione di Io sono Giorgia, tutto ciò che è: giovane, musulmano, un democratico socialista. Tutto ciò che non è Trump, ma che rappresenta invece molti new yorkesi. Mamdani ha promesso che New York resterà una città di immigrati, nonostante le politiche del presidente e che proprio Trump, se vorrà prendersela con lui, si troverà a dover affrontare una città intera.
Zohran Mamdani si è auto descritto come il peggior nemico di Donald Trump. E probabilmente in questo momento, fresco di elezione a sindaco di New York, lo è. Ma lui e il presidente degli Stati Uniti, allo stesso tempo, hanno anche molte più cose in comune di quante non si potrebbe pensare.
Cosa ha detto Trump del nuovo sindaco di New York
Zohran Mamdani è stato eletto con oltre il 50% dei voti. È il primo sindaco musulmano di New York, il più giovane da oltre un secolo. Ha fatto una campagna sulla accessibilità della città, promettendo di renderla di nuovo alla portata di tutti e dando battaglia alle elités. Ha parlato di alzare le tasse ai ricchi e alle imprese nella città più ricca del mondo. Non sembra esserci nulla più distante da Donald Trump, ma in realtà i due hanno diversi tratti in comune.
Alcuni giorni fa, quindi prima dell’elezione, Trump ha parlato di Mamdani durante una delle celebri 60 minutes interviews della CBS. E a chi gli sottolineava appunto che ci fossero molti tratti distintivi tra i due, il tycoon ha risposto dicendo che lui è better looking, è più bello. Questa è una risposta in perfetto stile Trump che però – se ne saranno accorti gli studiosi di Trump, quelli che analizzano la sua comunicazione – nasconde sostanzialmente il timore che probabilmente nutre per Mamdani. Perché ne vede il potenziale, così come lo hanno visto centinaia di migliaia di new yorkesi.
Mamdani, ai commenti di Trump, ha risposto in modo altrettanto azzeccato. Gli ha detto: My focus is on the cost of living crisis, brother. La mia attenzione è sulla crisi del costo della vita, bro.
Cos'hanno in comune Trump e Mamdani
Non solo, in un’altra intervista, sempre commentando le parole di Trump e le similitudini che erano state evidenziate Mamdani ha detto che in effetti la forza di Trump è stata capire una cosa, cioè la profonda crisi della working class. È riuscito, almeno a parola, a intercettare esigenze reali, problemi concreti. Ha fatto sentire ascoltata quella gigantesca fetta di Paese reale che la politica tradizionale, tanto i Democratici quanto i Repubblicani, avevano dimenticato da tempo, diventando entrambi lontani e distanti dagli elettori. Trump ha accorciato le distanze e Mamdani ha fatto lo stesso, anche se dallo spettro politico opposto.
È riuscito ad essere efficace, a risvegliare una cittadinanza che il suo partito, quello dei Democratici, non riesce più a rappresentare per intero. Della polarizzazione della politica statunitense si parla sempre molto, soprattutto dell’impatto che questo ha anche a livello globale. La campagna per le elezioni di New York City racchiude un po’ tutti gli elementi di questo discorso. E infatti fin da subito quella che era una campagna, ancora prima, per delle primarie locali, è presto diventata un tema nazionale, che riusciva a catturare un’attenzioe ancora più ampia, globale.
Lo scontro tra New York e Washington
Oltre a dire di essere più bello, Trump ha detto che Mamdani è un comunista e ha dato il suo endorsement a Andrew Cuomo. Una precisazione: Cuomo, ex governatore di New York – una carica che ha abbandonato per le accuse di molestie sessuali ricevute da più donne, poi tutte archiviate – è un Democratico che ha perso le primarie del partito contro Mamdani a inizio anno e ha quindi deciso di correre come indipendente. Ecco, Trump temeva così tanto che Mamdani potesse vincere che ha preferito sostenere Cuomo, comunque un Democratico, piuttosto che il candidato repubblicano, Curtis Sliwa. Perché, ha detto, è meglio un bad Democrat che un communist.
Ma Trump aveva detto anche un’altra cosa, prima delle elezioni. Aveva detto che se avesse vinto Mamdani, la Casa Bianca avrebbe fatto fatica a dare soldi, i fondi federali, alla città di New York, perché il nuovo sindaco li avrebbe sprecati con le sue politiche. Una minaccia molto simile a quella che aveva fatto con gli argentini, a cui aveva detto che avrebbe ritirato i generosi finanziamenti al Paese se alle elezioni non avesse vinto il partito di Javier Milei, l’anarco-capitalista di estrema destra.
Però New York non è l’Argentina. La città, secondo il Washington Post, riceve 7,4 miliardi di dollari di fondi federali, circa il 6% del suo budget totale. Ma Mamdani ha intenzione di raccogliere circa 9 miliardi alzando le tasse ai super-ricchi, quelli che guadagnano oltre un milione, e alle imprese. E sa bene come usare questi soldi. Promette assistenza all’infanzia universale, un congelamento degli affitti, trasporti pubblici gratuiti e negozi alimentari pubblici.
La campagna di Mamdani: For a New York you can afford
Del resto quello della affordability è stato il tema della sua campagna elettorale e non per niente il suo slogan è stato “For a New York you can afford”, per una NY che ti puoi permettere. Però questo non è solo uno slogan: da sconosciuto rappresentante dell’assemblea cittadina, Mamdani già lavorava duramente per risolvere la crisi degli affitti. E ora non si limita a urlare a gran voce le difficoltà, promettendo generalmente di risolvere: ha già messo sul tavolo delle proposte concrete. Certo, poi la realtà di governo può essere molto diversa, ma c’è una forte sensazione che le abilità comunicative e oratorie – in questo caso – non siano fini a sé stesse.
Ma quelle abilità ci sono, è innegabile, e proprio questa è una delle grandi cose che Mamdani ha in comune con Trump. Entrambi sono dei comunicatori estremamente efficaci, Trump con il suo stile immediato, capace di ribadire un semplice concetto fino allo sfinimento, in rottura con tutta la retorica tradizionale che lo ha preceduto. Mamdani è la definizione della viralità, con i suoi video in cui fermava i cittadini per strada, chiedeva loro perché non avessero votato o perché avessero votato per Trump. Li ascoltava, spiegava poi le sue proposte e chiedeva se potevano convincere chi aveva di fronte. Un esercizio, questo qui, che la politica mainstream sembra aver dimenticato da tempo.
L'antitesi di Trump e le lezioni per la sinistra
Trump e Mamdani, entrambi newyorkesi tra l’altro, sono stati dei candidati inaspettati, che l’establishment del partito, sia Repubblicano che Democratico, non ha preso seriamente e qualche volta ha anche ostacolato. Entrambi del resto hanno posto dei temi che si contrappongono alla visione classica del partito: Trump con le sue politiche di deportazione dei migranti o il durissimo protezionismo economico, Mamdani con il posizionamento su Israele e la sua volontà di aumentare le tasse ai ricchi.
Insomma, i punti in comune ci sono, ma poi Mamdani è l’antitesi di Trump: come ha sottolineato lui stesso è giovane, musulmano, socialista, nato in Uganda, anti elitario. È tutto ciò che il presidente non è, che anzi oppone, e per questo – come detto da lui stesso – è il suo peggior incubo.
Ora la sinistra statunitense dovrà farsi qualche domanda. Dovrà interrogarsi sul perché il suo establishment considera troppo radicali delle idee che invece la cittadinanza condivide, sostiene. Sono idee che spingono la partecipazione, tornano a far appassionare la gente che per troppo tempo si è sentita ai margini. E in questo senso l’elezione del sindaco di New York non ha riguardato solo New York. E non ha nemmeno riguardato solo gli Stati Uniti. Perché forse è il momento che la sinistra globale inizi a farsi due domande. E magari anche a darsi qualche risposta.
Il discorso dopo la vittoria
Nel suo primo discorso dopo la vittoria ha detto che è stata rovesciata una dinastia politica, è stata finalmente girata una pagina, quella della politica che abbandona molti e risponde solo a pochi. Ha detto che la speranza è di nuovo viva, la speranza al posto della tirannia, al posto dei fiumi di soldi dietro ai quali ci sono però idee piccole piccole. Ha detto che tutti i Donald Trump di New York si sono trovati troppo a loro agio ad approfittare degli inquilini a cui affittavano le loro case, a prezzi da capogiro, e che lui si occuperà di questo. Come si occuperà della cultura della corruzione, che ha permesso ai miliardari come Trump di evadere le tasse.
Ecco, un riferimento costantemente a Trump, che mostra ancora una volta che la partita che si gioca a New York va ben oltre la città. Ma che parla anche alla sinistra, e racconta come si può vincere quando la destra è sempre più estrema, sempre più polarizzante, sempre più trumpiana.
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