Segui Nel caso te lo fossi perso.
Ascolta la notizia più importante del giorno.

Nemmeno due mesi fa, a inizio settembre, ci sono state le elezioni legislative locali nella provincia di Buenos Aires. Un voto importante, perché qui vive il 40% degli argentini: la vittoria era stata nettamente di Fuerza Patria, il partito peronista guidato da Cristina Kirchner. L’ex presidente del Paese, però, in questo momento si trova ai domiciliari, a scontare una condanna per corruzione, per cui a guidare la campagna peronista era stato l’attuale governatore del distretto, Axel Kicillof, una figura che secondo molti potrebbe essere il prossimo candidato dell’opposizione alle elezioni del 2027. Ieri invece, domenica 26 ottobre, ci sono state le elezioni legislative di metà mandato. E se pensiamo all’ottimo risultato dei peronisti nel distretto della capitale, aggiungendoci poi la difficile situazione economica e gli scandali che hanno coinvolto direttamente Milei, capiamo bene che per l’attuale presidente e la sua coalizione di destra radicale e liberista – La libertad avanza – le aspettative non erano delle migliori.
Ma le cose non sono andate come da previsioni. Milei ha infatti ottenuto una vittoria sorprendente che, anche se non gli consente di avere la maggioranza assoluta al Congresso, comunque rafforza saldamente il suo potere e dimostra come, nonostante tutte le difficoltà, la popolarità del presidente e del suo progetto politico ed economico non cala. Un risultato per cui, probabilmente, Milei deve anche dei ringraziamenti a Trump.
Il partito di Milei vince le elezioni di metà mandato
Ma andiamo con ordine e partiamo dai numeri. Domenica si votava per rinnovare più o meno la metà dei seggi della Camera dei deputati e circa un terzo di quelli del Senato. La Libertad Avanza ha ottenuto il 41% contro il 31% della coalizione peronista, di centrosinistra, e si è affermato in tutte e sei le principali province del Paese. Buenos Aires compresa.
Alla Camera i deputati di Milei passeranno da 37 a oltre un centinaio e al Senato da 6 a una sessantina. Insomma, numeri che cambiano gli equilibri: per far passare le sue leggi dovrà comunque cercare l’intesa con altre forze politiche, quelle di centro presumibilmente, ma senza dubbio il presidente esce fortemente rafforzato da quelle elezioni legislative. E, appunto, non era affatto scontato.
Negli ultimi mesi la popolarità di Milei era quantomeno vacillante. A febbraio c’era stato lo scandalo delle truffe legate a una criptomoneta che il presidente aveva pubblicamente sponsorizzato e poi quest’estate sua sorella Karina, una figura di primo piano nella politica argentina, il suo braccio destro, era stata accusata di corruzione, di aver preso delle tangenti in ambito sanitario. Senza contare che nelle ultime settimane alcuni candidati vicini a Milei avevano dovuto fare un passo indietro, addirittura per vincoli con il narcotraffico. Insomma, a livello di immagine e di consensi, le cose non stavano andando proprio benissimo.
La crisi economica strutturale in Argentina
Alle difficoltà sul versante politico vanno aggiunte quelle di stampo economico. L’Argentina ha una lunghissima storia ricorrente di iperinflazione e svalutazione del peso, di default del debito (una cosa accaduta ben nove volte, di cui tre negli ultimi vent’anni), di stagnazione e poi di misure drastiche, obbligate. Milei ha vinto le presidenziali nel 2023 con un messaggio molto semplice: ha vinto dicendo che la crisi economica argentina era colpa del peronismo – cioè, quel movimento politico e sociale avviato da Juan Domingo Peron negli anni Quaranta che univa socialismo, patriottismo, populismo – e ha vinto dicendo che lui avrebbe rappresentato un cambiamento radicale, avrebbe sconfitto per sempre la crisi monetaria argentina e rimesso a posto i conti.
Da quando è al governo Milei, effettivamente l’inflazione è sotto controllo in buona parte, ma questo non significa che i problemi economici del Paese siano risolti. E negli ultimi mesi, con l’economia che rallentava e il governo che, proprio per i numeri risicati che aveva al Congresso, non riusciva a gestire il quadro macroeconomico, i mercati hanno iniziato a mostrare tutta la loro sfiducia. Per evitare una nuova svalutazione della moneta Milei ha messo pesantemente le mani sulle riserve di dollari del Paese, un’operazione decisamente azzardata, per cui è dovuto entrare in gioco anche Donald Trump a coprirgli le spalle.
Le promesse di Trump: 20 miliardi per comprare pesos
Trump è sceso in campo per salvare le riserve di dollari argentine, il peso e di conseguenza anche Milei. E ha approvato un intervento senza precedenti: il dipartimento del Tesoro statunitense ha avviato un piano da 20 miliardi di dollari per sostenere il peso, di fatto comprando moneta argentina per sostenerne il valore. In questo modo si è riusciti a evitare una imminente e drastica svalutazione del peso però, ancora una volta, le cose sono molto distanti dal considerarsi risolte. E cosa ha fatto a quel punto Trump?
Ha invitato Milei alla Casa Bianca, appena due settimane fa, e ha detto che se non avesse vinto ancora il partito del presidente, gli Stati Uniti non sarebbero più stati così generosi. Insomma, ha promesso di continuare a sostenere l’economia argentina solo se la destra avesse vinto alle elezioni. Affermazioni che, ovviamente, hanno un certo peso e hanno le capacità di influenzare il voto. In realtà il governo argentino nei giorni successivi ha cercato di mitigare un po’ queste dichiarazioni, non tanto per spirito di correttezza, ma perché convinto che le legislative sarebbero andate malissimo. E allora si è provato a dire che le promesse riguardavano le prossime presidenziali del 2027 e, contestualmente, a prepararsi per un esito negativo.
È difficile dire con certezza quanto le dichiarazioni di Trump abbiano effettivamente pesato sui risultati delle legislative. Secondo alcuni commentatori in realtà il voto locale a Buenos Aires e la prospettiva di un ritorno al peronismo è ciò che più di tutto ha spinto gli argentini più a destra, facendo recuperare consensi – e voti – a Milei e i suoi.
La campagna elettorale contro il peronismo
Del resto, questo è anche il tratto su cui il presidente argentino ha basato anche l’ultima campagna: la promessa di rompere una volta per tutte con la tradizione peronista e di riscattare per sempre l’economia argentina. La campagna elettorale di Milei è stata volutamente polarizzante e ha diviso la politica argentina in due. I buoni, cioè gli anarco-capitalisti, i liberisti di destra come Milei. E i cattivi, cioè i peronisti, la sinistra corrotta che ha distrutto l’economia del Paese. Una retorica di propaganda, che ha funzionato.
Stamattina El Pais, il principale giornale spagnolo, ha riportato un’analisi di Juan Negri, un politologo, secondo cui gran parte della popolazione, pur non rivedendosi nella destra populista di Milei, comunque preferisce votarlo che la prospettiva di un ritorno al peronismo. L’opposizione, sempre secondo Negri, non solo non ha capito questa cosa, ma si è limitata a criticare il presidente senza presentare un’alternativa. E questo, alle urne, non paga.
Per Milei, comunque, le cose non saranno tutte in discesa ora. Perché al di là della propaganda da campagna elettorale, ci sono delle difficoltà strutturali nella politica e nell’economia argentina. E non è detto che Trump sia sempre disposto a dare una mano per risolverle.
Se questo contenuto ti è piaciuto, clicca su "segui" per non perderti i prossimi episodi.
Se vuoi accedere ad altri contenuti esclusivi e sostenere il nostro lavoro, abbonati a Fanpage.it!