PODCAST

Controllo dei profili social per chi arriva: la nuova frontiera della sorveglianza negli Stati Uniti

Immagine
Audio wave

Segui Nel caso te lo fossi perso.
Ascolta la notizia più importante del giorno.

Immagine

Tutti i turisti provenienti da quei Paesi dove prima non era richiesto il visto – quindi anche quelli dell’Unione europea, Italia compresa – presto potrebbero dover mostrare i propri profili social per entrare negli Stati Uniti. Più nello specifico, una cronologia degli ultimi cinque anni: quindi, tutto ciò che è stato postato, ricondiviso, ogni like messo. Le cose al momento funzionano così: se ho il passaporto italiano non ho bisogno di un particolare visto se voglio andare negli Stati Uniti e restarci per meno di 90 giorni. Basta compilare, qualche mese prima del viaggio, un modulo dell’ESTA, un acronimo che sta per Sistema elettronico per l’autorizzazione di viaggio.

Ti è piaciuto questo episodio di NEL CASO TE LO FOSSI PERSO?

In questo modulo vengono già richiesta alcune informazioni, come il numero di telefono, l’indirizzo mail, un contatto di emergenza. E fin qui tutto regolare: ma adesso il Dipartimento della Sicurezza Interna vuole anche chiedere a questi visitatori di aggiungere i propri canali social. Fino a prima era un’opzione, ora potrebbe diventare obbligatorio. Il Dipartimento ha fatto una proposta – insieme al Custom and Border Protection, che sarebbe l’agenzia per i controlli di frontiera – che cita un ordine esecutivo di Trump, uno di quelli firmati a gennaio, appena il presidente si è insediato nella Casa Bianca.

Questo ordine esecutivo si chiama: “Proteggere gli Stati Uniti dai terroristi stranieri e altre minacce alla sicurezza nazionale e pubblica”.

Il controllo in nome della sicurezza

Quando è stato fatto questo annuncio i giornalisti hanno iniziato a chiedere a Trump se non fosse preoccupato di scoraggiare un po’ i turisti con queste nuove misure. Lui, ovviamente, ha risposto di no, che il turismo sta andando alla grande, che gli Stati Uniti vogliono che le persone vadano lì, ma vogliono anche sicurezza, non vogliono far entrare le persone sbagliate.

È una dinamica che si ripete, che abbiamo già visto in questi anni. In nome della sicurezza il controllo delle persone si fa più assiduo, la loro sfera personale e privata diventa una questione di Stato. E lo Stato si mette a guardare i social, quello che le persone scrivono, le foto che pubblicano, per decidere della loro libertà di movimento, per decidere chi è pericoloso e chi no.

Con che criteri viene fatto questo? Anzi, esistono dei criteri? O è tutto completamente arbitrario, tutto nelle mani di qualche ufficiale di frontiera? Saranno sistematicamente i social delle persone con un nome di origine araba, o di quelle di fede musulmana, a rappresentare un problema di pubblica sicurezza? Sarà sempre una certa categoria di individui quella a cui verrà negata l’entrata negli Stati Uniti? In che modo peseranno le critiche rivolte a Trump, alla politica estera o interna degli Stati Uniti, nelle valutazioni sulle richieste di ingresso?

Per ora siamo ancora in una fase di proposta e quindi di supposizioni anche rispetto alle conseguenze. Però – quando parliamo di un’amministrazione che nel primo mandato ha applicato un muslim ban che ha negato l’ingresso a moltissime persone provenienti da Paesi a maggioranza islamica, che si è messa a controllare a tappeto i social degli studenti stranieri durante le proteste pro Gaza, negando l’accesso alle università – il dubbio è sicuramente fondato.

Cosa ci riserva il futuro

Sophie Cope, che è un’avvocata della Electronic Frontier Foundation, cioè un’organizzazione che si occupa di diritti digitali, ha commentato con il New York Times che la sorveglianza sui social media mina la libertà di parola, le libertà civili e invade la privacy delle persone. Dall’altro lato, funzionari del Dipartimento di sicurezza sostengono che sia importante cercare anche nei social dei segnali di supporto a gruppi terroristici, o altre minacce alla sicurezza pubblica. Tutto nel nome della protezione dei cittadini statunitensi.

Ma davvero in questo modo si scovano i terroristi? E cosa verrà dopo? Il controllo a tappeto dei social di tutti, da cui stabilire chi rappresenta una minaccia e chi no? Chi dovrebbe essere interrogato e chi no?

Non solo alla frontiera

Questo monitoraggio social per i turisti è un altro tassello, di come le società democratiche occidentali stiano pericolosamente strizzando l’occhio a un modello di Grande Fratello orwelliano in nome della sicurezza. Stiamo in qualche modo ipotecando delle libertà in favore di un’illusione – perché appunto, non ci sono nemmeno dati che ci dicono che in questo modo siamo tutti e tutte più al sicuro – forse senza nemmeno darci il peso che tutto ciò meriterebbe. Senza renderci conto fino in fondo della gravità.

Lo stiamo facendo in primis ai confini, che diventano sempre più sorvegliati, sempre più militarizzati. Ci stiamo concentrando su un presunto nemico che arriva da fuori, siamo disposti a cedere un pezzetto di noi per proteggerci da qualcosa che ipoteticamente potrebbe arrivare da noi e farci del male. Chissà però come reagiremo quando tutto questo, dalle frontiere, si sposterà sempre di più nelle nostre città prima, poi direttamente nelle nostre case. Quando ci dovremmo guardare le spalle da qualcuno o qualcosa che è già tra noi. Cosa saremmo disposti a cedere a quel punto? E di tutto questo, cosa ne avremmo davvero guadagnato?

Se questo contenuto ti è piaciuto, clicca su "segui" per non perderti i prossimi episodi.

Se vuoi accedere ad altri contenuti esclusivi e sostenere il nostro lavoro, abbonati a Fanpage.it!

Immagine

Segui Nel caso te lo fossi perso.
Ascolta la notizia più importante del giorno.

api url views
Immagine

Segui Nel caso te lo fossi perso.
Ascolta la notizia più importante del giorno.