
Partiamo come sempre dalle domande: oggi dalla domanda di Tommaso:
“Perché oggi a ogni elezione in Europa e nel mondo vincono sempre i partiti di destra?”
Caro Tommaso, una persona di destra potrebbe rispondere in fretta a questa domanda e far finire questa puntata in pochi secondi: perché la proposta delle destre appare più credibile e convincente di quella di chi gli si oppone.
Il punto semmai è un altro: perché questa proposta è così convincente, oggi?
 O meglio: perché è così convincente anche se non mantiene le promesse?
Partiamo dall’inizio: siamo nel mezzo di un ciclo politico in cui le destre – quelle che un tempo chiamavamo estreme destre – vincono, o comunque vedono crescere i loro consensi, praticamente ovunque.
Prendiamo l’Europa.
 Sono al governo in Italia, con Fratelli d’Italia e Lega. Sono primo partito nel Regno Unito, in Francia, in Belgio, in Svezia, in Polonia, in Austria, o quasi, in Germania. Sono in fortissima crescita, attorno al 20%, persino in Spagna e Portogallo.  E ovviamente non dimentichiamoci che governano negli Stati Uniti con Donald Trump. E che in Argentina il presidente Javier Milei ha appena vinto, sorprendentemente, le elezioni legislative per il rinnovo parziale del congresso.
Dove le destre sono ancora all’opposizione, in buona parte di questi Paesi, è abbastanza fisiologico che vedano crescere i loro consensi. Le cose vanno maluccio ovunque, in Occidente, peraltro. La Germania è in recessione, la Francia è nel mezzo di uno psicodramma politico e con un bilancio più che scassato, il Regno Unito pure ha un debito pubblico fuori controllo e un governo attraversato dagli scandali. Non bastasse regna l’incertezza, tra guerre sul campo e guerre commerciali, emergenze migratorie vere o presunte tali.
Che in questi Paesi cresca chi si oppone più forte e promette alternative radicali allo stato dell’arte, è quasi normale.
Semmai è interessante chiedersi come vanno le destre dove governano. E il governo Meloni in Italia, che ha appena tagliato il traguardo dei tre anni, rappresenta l’esempio perfetto per rispondere a questa domanda.
Partiamo da un dato di fatto: in tre anni di governo, Giorgia Meloni e i suoi alleati non hanno fatto nulla di quel che avevano promesso, se non cancellare il reddito di cittadinanza, che se ci pensate è la promessa più impopolare del mazzo.
 Non hanno fermato quella che loro chiamano l’invasione di migranti, visto che col loro governo gli sbarchi sono aumentati anziché diminuire.
 Non hanno abolito la legge Fornero, che invece è rimasta lì dov’è.
 Non hanno cambiato le regole di bilancio europee a favore dell’Italia, ma al contrario hanno firmato una riforma che le peggiora ulteriormente.
 Non hanno abbassato drasticamente le tasse, ma anzi la pressione fiscale è aumentata, superando quota 42%, stando ai dati del 2024.
 Il tutto, punteggiato da ministri indagati come Santanché, condannati come il sottosegretario Delmastro, flop come quello per i centri per il rimpatrio dei migranti in Albania, e scandali come il rimpatrio del criminale Al Masri in Libia con un volo di Stato.
Gli unici successi che possono vantare, in un contesto di crescita economica zero, è un lieve aumento dell’occupazione, e un miglioramento dei conti pubblici, grazie ai tagli alla spesa del ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti.
E in effetti, la gente un po’ delusa lo è.
 Secondo l’ultima rilevazione di Ipsos gli italiani che esprimono un giudizio positivo sul governo Meloni sono circa il 36%, mentre quelli che esprimono un giudizio negativo sono il 51%. Per dire: nei giorni immediatamente precedenti alle dimissioni gli italiani che esprimevano un giudizio positivo sul governo Draghi erano circa il 60%. Più o meno, il gradimento per l’azione del governo Meloni è lo stesso che c’era per il governo Renzi alla vigilia del referendum costituzionale. Molto basso.
Eppure Fratelli d’Italia veleggia stabilmente sopra il 30% dei consensi. E unita a Lega, Forza Italia e Noi Moderati, la coalizione di destra raggiunge il 48% dei consensi. Per dire: nel 2022, quando sì voto, Fratelli d’Italia prese il 26% e la coalizione di destra il 44%.
Ergo: nonostante le promesse non mantenute, i programmi non realizzati, qualche figuraccia assortita, una situazione economica non esattamente brillante e un gradimento del governo molto basso, la coalizione di destra è oggi più forte di tre anni fa. E se si votasse oggi, per la prima volta dal 1994, la coalizione di governo uscente partirebbe favorita rispetto a quella formata dai partiti di opposizione.
Lo stesso vale per Donald Trump negli Stati Uniti, peraltro. A oggi, la percentuale di persone che disapprova l’operato del governo sopravanza quella di chi lo approva, in media, di circa una decina di punti percentuali. Eppure, i sondaggi delle prossime elezioni di metà mandato, che si terranno nel 2026, disegnano un quadro molto incerto. Un quadro in cui non è improbabile che i repubblicani riescano a mantenere il controllo del Congresso.
Insomma: anche dove non realizza le sue promesse e dove l’azione di governo non incontra il gradimento degli elettori, la destra vince, o rischia di vincere comunque.
I motivi? Difficile dirlo. Proviamo a suggerirne tre
Primo: gli elettori sono di destra, hanno un’agenda politica di destra e priorità di destra. Per dire: tra chi dice che vuole fare la guerra ai migranti e chi preferisce accogliere anziché respingere, gli elettori ostili all’immigrazione sceglieranno il primo, anche se non mantiene le sue promesse.
Secondo: l’alternativa è debole e inconsistente. Laddove un’alternativa c’è, ed è chiara e riconoscibile, l’abbiamo visto di recente in Irlanda e in Olanda, forse lo vedremo presto a New York, la sinistra vince le elezioni. Il problema è che le alternative di sinistra sono in crisi più o meno ovunque. Anche in questo caso le opposizioni italiane sono un caso di scuola: hanno idee diverse su molti temi, non sono in grado di esprimere una leadership unitaria, non hanno una parola d’ordine né una proposta politica chiara. Si oppongono a quel che dice il governo, certo. Ma evidentemente essere contro qualcosa non basta, per essere alternativa.
Terzo: chi disapprova, spesso non va a votare. E no, non è solo perché l’alternativa è debole e inconsistente. Ma perché, soprattutto tra i giovani, lo strumento del voto viene ritenuto obsoleto, inutile. È un’inversione di tendenza consolidata, che non dipende da chi si presenta alle elezioni. Nel 1992, il tasso di astensione generale fu del 13% ma solo il 9% dei giovani tra i 18 e i 34 anni decise di non andare a votare. Trent’anni dopo, nel 2022, a fronte di un’astensione da record, pari al 36,2%, più del 40% dei giovani tra i 18 e i 34 anni ha scelto di non votare.
Oggi, sono proprio i giovani ad avere un’agenda politica alternativa a quella delle destre. È giovane chi scende in piazza per la lotta al cambiamento climatico, per quella contro il patriarcato, per quella contro il genocidio a Gaza. Ma se non votano, quel dissenso si disperde. E il governo di destra, forte del suo zoccolo duro di consenso, continua ad andare avanti, nonostante tutto.
 
 
