
Partiamo come sempre dalle domande: oggi dalla domanda di Francesca:
“Ha ragione Elly Schlein a dire che dopo l’attentato a Sigfrido Ranucci la democrazia in Italia è a rischio?”
Partiamo smontando un piccolo mito: Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, nel suo discorso all’assemblea dei Socialisti e Democratici Europei non ha fatto una correlazione diretta tra il governo di destra – o di estrema destra, come l’ha definito – e l’attentato a Sigfrido Ranucci. Ha raccontato, in coda a un ragionamento molto più ampio su quel che sta accadendo in Italia, l’ultimo inquietante episodio di cronaca, che era accaduto da poche ore. Un accostamento un po’ forzato, posticcio, pure un po’ infelice nella riuscita, che ha ovviamente scatenato il vittimismo della destra di governo.
Tuttavia, la domanda che pone Francesca, non è del tutto priva di senso. Perché sì, forse vale la pena chiederselo: l’attentato a Sigfrido Ranucci racconta la fragilità della nostra democrazia?
Partiamo dai fatti. Nella serata del 16 di ottobre scorso, esplode un ordigno rudimentale posto nei pressi dell’abitazione di Sigfrido Ranucci, conduttore e coordinatore del programma d’inchiesta Report, in onda la domenica sera su RaiDue. L’esplosione distrugge l’auto di Ranucci e quella della figlia, parcheggiata a fianco alla sua.
Il possibile mandante di questo atto di intimidazione – è lo stesso Ranucci ad ammetterlo – può essere chiunque, dalla criminalità organizzata al mondo ultrà. Le inchieste di Report, in questi anni, hanno toccato ogni possibile centro di potere in Italia, palese o occulto, criminale e non. E anche per questo, Sigfrido Ranucci era sotto tutela da parte delle forze di polizia.
Primo problema: com’è possibile che sia stato possibile attentare alla sua vita, nonostante la tutela delle forze dell’ordine? La spiegazione tecnica è semplice: la tutela prevede che Ranucci sia scortato fuori casa, fino a quando non viene accompagnato nella sua abitazione. Per quanto possa sembrare paradossale – la scorta ce l'ha per minacce alla sua famiglia – proprio quando è con i suoi cari, Ranucci è nel momento di sua massima vulnerabilità.
Questo dice già qualcosa: di quanto vi fosse poca percezione del rischio reale cui un giornalista d’inchiesta va incontro, quando pesta i piedi di qualche potere. L’abbiamo visto già succedere con Roberto Saviano, vittima di pesanti minacce della camorra, cui il leader leghista Matteo Salvini ha più volte promesso (o minacciato) di togliere la scorta, tra il 2017 e il 2019, in un periodo in cui lo stesso Saviano aveva più volte polemizzato con l’allora ministro dell’interno del governo gialloverde.
Soprattutto, però, lo vediamo accadere nei casi in cui la scorta e la tutela non ci sono. Un esempio: in Italia i giornalisti sotto scorta, attualmente, sono 29. E quelli sotto tutela circa 250. Tuttavia, i giornalisti oggetto di minacce e intimidazioni sono più del doppio, oltre 500, record europeo, come rileva l’osservatorio di Ossigeno per l’Informazione. E in molti casi, questi giornalisti sono privi di qualsiasi tutela. Non solo: nel 35% dei casi le minacce e le intimidazioni arrivano da persone che stanno nelle istituzioni. Eccolo il paradosso: chi dovrebbe proteggere i giornalisti, i rappresentanti delle istituzioni, in realtà li minaccia. O minaccia di toglier loro ogni protezione, se non fanno i bravi. Piccola curiosità: nel solo 2025 le minacce ai giornalisti sono aumentate del 76% rispetto all’anno precedente.
Ma non ci sono solo le bombe – o le teste di capretto come quella toccate in sorte alla nostra Giorgia Venturini – a minacciare i giornalisti. Immediatamente dopo l’attentato a Ranucci, il politico e giornalista di destra Francesco Storace ha chiesto fossero rimesse, in segno di solidarietà, tutte le querele che Sigfrido Ranucci aveva ricevuto nel corso degli anni.
Perché questo? Perché quelle querele erano querele temerarie. Cioè azioni legali intentate in malafede o senza fondamento, spesso come forma di intimidazione. Le querele temerarie contro Ranucci sono moltissime. E spesso a intentarle sono politici e rappresentanti delle istituzioni, quegli stessi che esprimono solidarietà a Ranucci, da sinistra e da destra.
Non parliamo del solo Ranucci, tuttavia. L’Italia, stando agli ultimi dati, è il Paese europeo in cui sono intentate più querele temerarie contro i giornalisti. Ed è uno dei Paesi che non ha ancora ratificato il regolamento europeo che mira a limitarle. Anche questa è una forma di intimidazione nei confronti del giornalismo d’inchiesta. E anche questa forma di intimidazione, ancora una volta, arriva da quella politica e da quel sistema di potere che – in teoria – dovrebbe tutelare la libertà di stampa.
Andiamo ancora avanti, però. Perché c’è un ulteriore punto da considerare. Che in teoria la forma suprema di tutela per un giornalista d’inchiesta dovrebbe essere il suo editore. Un editore in grado di garantire al suo giornalista e al suo programma d’inchieste, la possibilità di essere indipendente, libero e coraggioso. Tanto più se quel programma fa parte dell’offerta del servizio pubblico radiotelevisivo.
Anche qui, però c’è un problema. Perché l’editore di Ranucci – la Rai – non è né libero, né indipendente dal potere politico. Anzi, a dirla tutta, è il potere politico. Di sette consiglieri della Rai, infatti, solo uno viene scelto dai dipendenti dell’azienda. Gli altri sei sono infatti scelti dalla politica. O meglio: quattro dalla maggioranza parlamentare e due dal ministero dell’economia, cioè dal governo. In pratica: chi vince le elezioni, in teoria, può scegliersi sei consiglieri su sette. Consiglieri che nominano presidente e amministratore delegato. Che a loro volta nominano i direttori di rete, dei telegiornali, dei programmi di approfondimento.
Ogni governo – chi più, chi meno – ha cercato di indebolire Report. Tagliando il budget. Spostandolo in giornate e orari con una forte contro-programmazione. Riducendo il numero di puntate. Minacciando di togliere la tutela legale al programma. Di fatto, rendendo difficilissima la vita al programma e al suo conduttore.
Se pensate tutto questo sia normale, che sia normale la televisione di Stato sia così dipendente dalla maggioranza di governo e dai partiti politici, è perché ancora una volta siamo in Italia. Nel Media Freedom Act, regolamento europeo approvato lo scorso agosto, si dice proprio che la politica non deve nominare i vertici delle televisioni pubbliche. E che le televisioni pubbliche devono essere indipendenti dal potere politico. Anche in questo caso, l'Italia non ha ancora ratificato questo regolamento.E Lega e Fratelli d’Italia, per la cronaca, hanno votato contro la sua approvazione pure al Parlamento Europeo.
Dimenticavo un dettaglio: ci sono diversi giornali e televisioni in Italia il cui editore è un parlamentare della Repubblica, come nel caso di Libero, del Tempo e del Giornale di proprietà del senatore Angelucci della Lega, o il cui editore è l’erede di un leader politico, come nel caso di Mediaset, di proprietà della famiglia Berlusconi, o il cui editore è socio del governo in un’importantissima operazione finanziaria, come i giornali del gruppo Caltagirone.
Questo per dire, che i conflitti d’interesse non sono finiti con Silvio Berlusconi, anzi. E che di editori puri, senza connivenze e legami col potere politico non ce ne sono molti, in Italia.
Ricapitoliamo, quindi.
La politica dovrebbe proteggere i giornalisti da minacce e intimidazioni, e invece molto spesso non lo fa. E addirittura è la prima fonte di minaccia per chi fa inchieste.
La politica dovrebbe tutelare i giornalisti dalle querele temerarie. E invece fa muro contro una legge che non permetta di farle, e addirittura querela i giornalisti ogni volta che può.
La politica dovrebbe rendere i giornalisti del servizio pubblico indipendenti dal potere, mentre invece fa di tutto per mantenere il controllo sulla Rai. E per evitare di fare una legge sul conflitto d’interessi.
Tutto questo è una minaccia alla libertà di stampa? La risposta non può essere che sì.
E un Paese in cui la politica minaccia la libertà di stampa è un Paese in cui la democrazia è in salute? La risposta la lascio a voi.