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Opinioni

Non si possono fare altre concessioni alla Germania

Berlino continua a beneficiare della crisi di fiducia degli investitori nei confronti dei PIIGS; l’Italia deve avviare un processo di riforme della sua economia, ma non può concedere altro alla Germania.
A cura di Luca Spoldi
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Conferenza stampa Angela Merkel - Nicolas Sarkozy

Sarà un caso ma Alcoa, leader mondiale dell’alluminio, nel tagliare la capacità produttiva in Europa (nell’ambito di una riduzione della capacità produttiva a livello mondiale tesa a migliorare i margini reddituali del gruppo) del 12% (ossia per circa 531 mila tonnellate cubiche annue) ha annunciato una riduzione  “parziale e temporanea” delle attività dei suoi impianti spagnoli di La Coruna e Aviles, mentre ha fatto sapere di aver avviate le trattative per arrivare alla chiusura definitiva dell’impianto di Portovesme, in Sardegna. Alla base della decisione Alcoa cita costi “non competitivi” dell’energia, “combinati a costi crescenti della materia prima e al calo dei prezzi dell’alluminio”.

La situazione critica della fabbrica sarda (ma altrettanto “a rischio” è apparso sino all’ultimo il secondo impianto italiano di Alcoa, quello di Fusina, a Venezia) era nota già da almeno due anni ed era apparsa gravemente compromessa già nel gennaio del 2010, quando era saltato l’accordo per arrivare a definire una fornitura di elettricità a lungo termine a prezzi competitivi con la Commissione Ue (ai prezzi dell’energia correnti i suoi impianti italiani(secondo la multinazionale americana perdevano già l’anno passato tra i 5 e gli 8 milioni di euro al mese), che nel novembre del 2009 ha chiesto il rimborso di circa 270-300 milioni di euro di sovvenzioni ottenute dal 2006 sui prezzi dell’elettricità italiana sostenendo che si trattasse di “aiuti di stato”.

E’ solo una delle tante conferme del peso limitato per non dire nullo che ha ormai il Belpaese dopo anni di sostanziale assenza di una politica industriale al pari di una qualsivoglia capacità di gestire le relazioni coi principali partner comunitari e con le istituzioni di Bruxelles e dunque è inutile farsi illusioni come sembra per una volta sperare in cuor suo persino l’ottimo Mario Seminerio, ossia che Mario Monti possa “porre la Germania di fronte alla responsabilità di una sinora disastrosa gestione della crisi”. Anche perché è sempre più evidente che non si tratta solo di un calcolo politico di Angela Merkel (che anche oggi, al termine dell’incontro col presidente francese Nicolas Sarkozy, si è limitata a ribadire l’importanza di arrivare ad un accordo sul “rigore fiscale” come ricetta per uscire dalla crisi) a determinare il rigore oltranzista di Berlino.

La verità ormai sotto gli occhi di tutti è che la Germania sta guadagnando ogni giorno che passa dal perdurare della crisi stessa, che dirotta una massa crescente di liquidità verso i titoli di stato tedeschi, a volte con esiti paradossali come oggi che l’asta dei Bubill semestrali ha visto l’assegnazione 3,9 miliardi di euro di titoli con un rendimento negativo dello 0,0122%, complice l’entrata in vigore del nuovo regolamento di presentazione delle offerte non in termini di rendimento bensì di prezzo (essendo il prezzo di aggiudicazione risultato pari a 100,00616, mentre il rimborso avverrà a 100, questo ha determinato appunto un rendimento reale negativo, come peraltro già accade da qualche tempo sul mercato secondario).

Berlino dovrebbe però stare attenta: già la Gran Bretagna ha preferito farsi da parte (e non essendo mai entrata nell’euro rinviare sine die ogni decisione in tal senso per intanto evitando di farsi coinvolgere nel “rigore tedesco” sui propri conti pubblici), se anche l’Italia dovesse di propria volontà di uscire dall'euro per Berlino il vento potrebbe improvvisamente cambiare: ve lo immaginata (purtroppo dopo una crisi pesantissima per l’Italia) che succederebbe a beni e servizi tedeschi se il Belpaese (magari assieme agli altri “porcellini europei”) tornasse alla propria valuta nazionale e svalutasse di un 30%-40% rispetto a quello che sarebbe l’euro dei “puri e duri”?

Le autorità olandesi sembrano averlo capito e stanno infatti già mandando segnali di irrequietezza, ma quel che più dovrebbe preoccupare è il sostegno a movimenti nazionalisti e populisti che una simile esplosione della crisi determinerebbe.  Monti deve dunque essere il più duro possibile nei confronti dei partner europei potendo vantare, a differenza del suo predecessore, un credito non risibile dato da una manovra “monstre” (l’ennesima, pagata dalle tasche dei soliti noti e non certo di evasori e lobbies varie) che peraltro rischia di essere del tutto inutile se la Germania continuerà a chiedere ulteriore rigore (e ulteriori manovre pro-cicliche che farebbero avvitare la crisi economica che già si sta delineando in questi giorni, con consumi a picco anche sotto le feste di fine anno e sotto i saldi di inizio anno) senza concedere nulla in cambio e magari approfittando, anzi, delle difficoltà dei maggiori gruppi italiani (valga l’esempio di UniCredit, sottoposta al martirio a Piazza Affari certamente per errori del management passato e presente ma intanto a rischio di essere rilevata per il classico “boccone di pane” da qualsivoglia concorrente con le spalle sufficientemente larghe) per fare qualche acquisto a buon mercato.

Aziende e investitori in fuga, contribuenti italiani sempre più spremuti dal fisco, scenario macro incerto e quadro politico in deterioramento all’intero dell’Europa (per tacere di quello che avviene al suo esterno): la situazione non è delle migliori, ma Monti può e deve chiedere tempo per avviare un processo di bonifica dell’economia italiana dalle mille piccole e grandi cricche e lobbies che sono presenti a tutti i livelli, dal Parlamento (dove siedono 133 avvocati, 90 giornalisti, 53 medici,  23 commercialisti, 13 architetti e 5 farmacisti, pronti a battersi sino alla fine per gli interessi della casta di appartenenza) all’associazione di via e che finora hanno impedito qualsiasi riformaa favore di una maggiore concorrenza ed efficienza dei singoli settori d'attività (non solum sed etiam del trasporto privato su strada, ossia dei taxisti e degli autostrasportatori).

Insistere sulla strada del “virtuosismo fiscale” favorisce la Germania ma penalizza l’Italia (e tutti gli altri PIIGS) ampliando e non riducendo gli spread tra i tassi sui differenti debiti pubblici. Naturalmente questo significa anche trovare gli strumenti per ricorrere il meno possibile al mercato e gli strumenti dovranno essere capienti (e quindi prevedere la partecipazione piena della Germania) visto che solo l’Italia deve rinnovare 450 miliardi di titoli di stato tra qui e fine aprile. Ma onestamente possiamo sperare che questa sarà la strada che intraprenderanno le autorità europee, Germania compresa? O non è piuttosto il caso di iniziare a pensare a come sopravvivere ad una crisi che anziché essere “immaginaria” o “minore di quella di altri” ogni giorno di più rischia di essere tra le più pesanti in assoluto della storia della Repubblica? Speriamo che nei prossimi giorni giunga una risposta a questo interrogativo e speriamo che sia migliore di quella che ad oggi è lecito attendersi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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