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Ciao, eccoci con una nuova puntata di Streghe! Questa volta la penna non è quella di Natascia Grbic: io sono Annalisa Girardi, una giornalista di Fanpage.it, e oggi sostituisco la mia collega per parlarvi dell’ennesimo attacco al diritto all'aborto da parte di questo governo e per fare qualche ragionamento insieme sull’obiezione di coscienza. Lo dico subito: secondo me essere obiettori di coscienza, quando si tratta di interruzione volontaria di gravidanza, non dovrebbe essere un diritto.

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No, non mi sono svegliata illiberale questa mattina, piuttosto penso che ci sia un po’ di confusione che ci porta a scambiare un privilegio con un diritto. Tra un attimo mi spiego meglio, prima dobbiamo raccontare quello che sta succedendo in Sicilia.

Lo scorso giugno la Regione Sicilia – che, lo preciso, non è governata da un collettivo femminista radicale, ma da una Giunta di centrodestra in cui stanno tutti i partiti di governo – ha approvato una legge che prevedeva l’obbligo, per gli ospedali pubblici di assumere dei medici non obiettori di coscienza. Nello specifico, con questa legge si riservavano dei concorsi esclusivamente a medici non obiettori, in modo da garantire la loro presenza negli ospedali pubblici.

Una presenza che non è affatto scontata. In teoria le strutture pubbliche sarebbero obbligate per legge a garantire l’accesso all’aborto, ma nella pratica le cose sono drasticamente diverse. Ci sono ospedali in cui il personale è quasi tutto obiettore e questo rende complicatissimo per le donne interrompere la gravidanza. La Sicilia poi è una delle Regioni dove la percentuale di obiettori è tra le più elevate del Paese: siamo all’81,5%, una cifra seconda solo al Molise. Capite bene che questo si traduce in molte zone in una sostanziale impossibilità ad abortire, in altre in un'impresa epica.

I dati infatti vengono aggregati a livello regionale, non per singola provincia o polo ospedaliero. Questo significa che – nonostante tutte le cose messe nero su bianco nella legge 194, quella che appunto dovrebbe garantire il diritto all’aborto (e il condizionale è d’obbligo) – in alcune aree della Regione non è nei fatti possibile praticare un'interruzione di gravidanza. Bisogna spostarsi, andare anche lontano, per vedersi riconosciuto quel diritto.

Comunque, il punto è che il governo di Roma, su proposta dei ministri di Salute e Famiglia – rispettivamente Orazio Schillaci ed Eugenia Roccella – ha deciso di impugnare questa legge siciliana di fronte alla Corte Costituzionale. Il motivo? Violava la Costituzione, discriminando un gruppo (quello dei medici obiettori) nell’accesso ai concorsi pubblici.

Ci hanno pensato Raoul Russo e Carolina Varchi, due parlamentari di Fratelli d’Italia, a precisare meglio questa posizione, dicendo che “l’obiezione di coscienza rappresenta l’espressione più autentica della libertà personale, religiosa, morale e intellettuale” e che invece questa legge “violava l’articolo 117 della Costituzione, che garantisce i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di concorso pubblico”. E poi, hanno aggiunto, in Sicilia non ci sarebbe alcun problema di accesso all’aborto, per cui quella legge era solo di “carattere strumentale”.

In realtà i dati, così come le associazioni che quotidianamente operano sul territorio, ci dicono una cosa un po’ diversa rispetto all’accesso all’aborto sicuro in Sicilia. Ma andiamo avanti.

Quella che descrivono i due parlamentari meloniani è una situazione per cui abbiamo due diritti – entrambi sanciti dalla legge 194 del 1978, quello all’aborto e quello all’obiezione di coscienza – e la Regione Sicilia che ne starebbe discriminando uno a favore dell’altro.

In realtà la Regione Sicilia non stava discriminando proprio un bel niente: stava trovando un modo per applicare la legge. Sì perché anche la stessa 194, all’articolo 9, quando prevede l’obiezione di coscienza prevede anche che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure” per l’interruzione volontaria di gravidanza ed è la Regione che ne “controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Ora, se con il personale esistente è impossibile garantire l’accesso al diritto all’aborto, perché riservare dei concorsi a del personale specifico, in modo da riequilibrare la situazione, sarebbe incostituzionale?

Persino il parere dato dal Comitato Nazionale della Bioetica nel 2012, quello in cui si afferma che l’obiezione di coscienza è un diritto costituzionale, si dice che questo non deve in alcun modo minare all’altro diritto, quello all’aborto. Nelle “Conclusioni e Raccomandazioni”, infatti, si legge che “la tutela dell'obiezione di coscienza, per la sua stessa sostenibilità nell'ordinamento giuridico, non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge”. Parafrasando: il diritto all’aborto non deve essere messo in discussione dal fatto che esistano medici obiettori di coscienza. Cosa che però, nella pratica, accade.

Il Comitato Nazionale della Bioetica – che, va sottolineato, è un organismo istituito presso la Presidenza del Consiglio, che fa consulenza al governo – in realtà ha detto molto di più. Ha detto che è necessaria “un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori”. In altre parole, esattamente quello che stava cercando di fare la Regione Sicilia: un reclutamento differenziato per riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori e, così facendo, garantire pienamente l’accesso all’aborto.

Anche riconoscendo pienamente la legittimità dell’obiezione di coscienza, insomma, le argomentazioni del governo non stanno in piedi. Però – come scrivevo all’inizio e adesso finalmente ci arrivo – io non credo che l’obiezione di coscienza sia un diritto. Quando parliamo di aborto almeno, perché non dobbiamo dimenticare che questo concetto è nato applicato ad altro. Pensiamo agli anni Settanta, quando l'obiezione di coscienza è stata introdotta nella nostra giurisdizione (dopo un percorso lungo e molto faticoso) per dispensare dal servizio di leva militare chi, per motivi etici, religiosi o filosofici, era contrario.

In quel caso, però, si dispensava da un obbligo. La Costituzione, quando è entrata in vigore, prevedeva all’articolo 52 che “a difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e che “il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge", senza alcuna possibilità di obiettare. Quando però questo obbligo, che riguardava tutti i cittadini maschi di 18 anni, è venuto meno, ovviamente non ha più avuto alcun senso parlare di obiezione di coscienza in ambito militare.

Ora la difesa della patria è appaltata a un gruppo di professionisti che scelgono di intraprendere la carriera militare. Pensate a quanto sarebbe assurdo e paradossale che una persona decidesse di intraprendere la carriera militare per poi esercitare l’obiezione di coscienza se chiamata in una certa missione piuttosto che in un’altra. Non funziona così: se hai problemi morali o filosofici con quello che comporta la carriera militare ti scegli un altro lavoro, molto banalmente.

Perché allora non è la stessa cosa in ambito medico? La professione è una scelta, ma perché allora a quella scelta arbitraria deve essere associata la possibilità di compromettere l’accesso a un diritto?

Tra l’altro, parliamo di una triplice scelta. La carriera in ambito medico, la specializzazione in ginecologia e ostetricia e poi anche l’esercizio in un ospedale pubblico. Ecco perché dico che in questo caso preciso l’obiezione di coscienza è un privilegio. Perché in nessun’altra professione viene garantita in questo modo la possibilità di astenersi dai propri obblighi – sanciti da una legge tra l’altro, come per l’interruzione volontaria di gravidanza, e che riguardano l'elargizione di un servizio pubblico – a causa delle proprie convinzioni etiche.

Se una persona ha un problema di carattere personale con l’aborto, perché le deve essere permesso di fare la ginecologa e di lavorare in una struttura pubblica, potenzialmente compromettendo l’erogazione e l'accesso a una prestazione sanitaria? Perché non le si può banalmente indicare un’altra specialità o un’altra professione?

Il punto forse è sempre il solito. Perché la scelta di quella persona – in Italia e nel 2025 – è considerata più di quanto non lo sia il diritto di una donna alla propria autodeterminazione.

Di tutte queste cose ne ho parlato anche con Federica Di Martino, che è una psicoterapeuta e un’attivista, fondatrice della piattaforma digitale “Ivg, ho abortito e sto benissimo” con cui da anni porta avanti una battaglia per l’autodeterminazione e per i diritti riproduttivi. E mi ha detto:

“Un grande problema rispetto a questa vicenda riguarda proprio come viene considerato l’aborto: di fatto l’aborto rientra all’interno dei LEA, cioè i Livelli Essenziali di Assistenza. Non stiamo parlando di piani velleitari: è vero che si intersecano piani politici, giuridici, bioetici, ma nei fatti l’aborto rientra nel novero della salute riproduttiva e dell’accesso alla sanità pubblica, che è quello che sfugge a molti. Non stiamo parlando di un’elargizione bonaria o di una concessione, stiamo parlando di un diritto a una pratica della salute, che in questo caso viene negato a fronte di una Regione che ha la media italiana tra le più alte di obiezione di coscienza, che si aggira intorno all’80%. Anche se i dati che abbiamo a disposizione sono dati vecchi e disaggregati. Questo ci restituisce l’immagine di un governo che odia le donne, che odia la possibilità per tutti i corpi e tutte le soggettività di potersi autodeterminare nei fatti”.

Di Martino ha ricordato che ci sono delle linee guida applicative, che risalgono al 2020, che prevedono la deospedalizzazione e la possibilità di poter effettuare l’aborto in consultorio e a domicilio. Queste linee guida, però, non vengono accolte dalle Regioni e così ci troviamo nella situazione in cui siamo: in teoria il diritto esiste, nella pratica l’accesso a questo diritto non è sempre garantito. Di Martino infine ha concluso:

“Quello che sta avvenendo in Sicilia è assurdo, ma è assolutamente in una linea di continuità con un governo e con delle amministrazioni regionali che ci stanno restituendo quotidianamente quanto queste politiche siano politiche contro le donne e contro il diritto di autodeterminazione sui propri corpi e sulle proprie scelte riproduttive. Sull’aborto stanno portando avanti una strumentalizzazione continua: pensiamo anche a quella che è la disinformazione che viene portata avanti di pari passo dai movimento antiabortisti, che sappiamo andare a braccetto con le destre nazionali. Si fa terrorismo alle donne rispetto alla pratica farmacologica: l’aborto farmacologico viene descritto con una serie di effetti collaterali tremendi, anche se poi sono esattamente quelli che si trovano sul bugiardino di qualunque antidolorifico. Questo è fare terrorismo psicologico alle donne, parlare di solitudine e di scarico in un cesso è quanto di più sgradevole. è lo sdoganamento del turpiloquio a scapito delle donne. E su questo interviene lo stigma che investe l’aborto: le donne che hanno abortito sono silenziate perché l’aborto continua a essere tradotto come una vergogna. E quindi si tace su quelle che sono le violenze istituzionali”.

Ho contattato anche Emilia Esini, del collettivo "Non è un Veleno" (associazione Maghweb), che opera proprio in Sicilia. E che ha evidenziato anche un altro aspetto molto importante da considerare, quando si parla di aborto e medici obiettori.

“Noi siamo portati a pensare che l’obiezione di coscienza abbia esclusivamente a che vedere con la morale e con la propria etica. In realtà, interfacciandoci quotidianamente con il personale medico, sappiamo che molto spesso è per motivi di carriera. A fare le spese di un tasso di obiezione di coscienza così alto non sono solo (e in primis) le persone che vogliono abortire, ma anche i medici che decidono di non essere obiettori. Perchè se c’è un lavoro da fare e invece che farlo in dieci è solo un medico e mezzo a farlo, questo ovviamente è un problema. Chi decide di essere obiettore non lo fa sempre per un problema con l’interruzione di gravidanza, ma perché vuol dire finire a fare esclusivamente solo quello. E questo vuol dire anche livelli di burnout altissimi, perché ci sono province in Sicilia dove c’è un solo medico non obiettore magari, e questo diventa un fardello. Quindi l’impugnazione non è solo contro il diritto all’autodeterminazione dei propri corpi, ma peggiora la qualità della nostra sanità, perché peggiora la qualità del lavoro delle persone che sono impiegate”.

E poi, secondo Esini, c’è anche un altro elemento da sottolineare:

“Qui a Palermo ci sono degli ospedali in cui la prima pillola viene somministrata solo da personale non obiettore. Ma la seconda, quella che non determina l’interruzione della gravidanza, ma solo l’espulsione, può venire tranquillamente somministrata da personale obiettore. C’è un abuso del concetto di obiezione di coscienza: si gioca molto sul grigio e sull’ignoranza. Un certificato può essere fatto da un obiettore, perché non è un pezzo di carta a interrompere una gravidanza. Ma se una persona non conosce i propri diritti, e non sa che non si può fare obiezione di coscienza su un certificato, fa fatica ad esercitare quel diritto”.

Potremmo continuare a discutere per ore di aborto e di obiezione di coscienza. Se ti va, fammi sapere cosa pensi del contenuto di questa settimana e aiutami a diffondere questo lavoro: non solo condividendolo, ma anche parlandone a scuola, in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro.

Se hai segnalazioni, vuoi raccontarci la tua esperienza, o pensi ci sia un argomento su cui è necessario fare luce, scrivi a streghe@fanpage.it.

Ti ricordo che ‘Streghe’ non ha un appuntamento fisso: esce quando serve. E dove serve, noi ci siamo.

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Femminicidi, misoginia e cultura dello stupro dominano la nostra società, intrisa di odio verso le donne. La "caccia alle streghe" non è un fenomeno così lontano nel tempo, perché tra istituzioni indifferenti e media inadeguati o complici, gli uomini continuano ad ammazzare le donne quando non riescono a dominarle.  È ora di accendere i nostri fuochi e indirizzarli dove non si voleva guardare: Streghe è il nostro Osservatorio sul patriarcato, il nostro impegno per cambiare il modo in cui si raccontano le storie alla base di una società costruita a misura di uomo.

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