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Il 28 novembre, nel bagno del liceo Giulio Cesare di Roma, è comparsa una ‘Lista stupri’ con accanto i nomi di alcune studentesse. Un atto intimidatorio, pensato per zittire e punire attraverso la minaccia della violenza sessuale, che non può essere liquidato come una semplice bravata, ma va riconosciuto come un vero e proprio atto di violenza.

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Non c’è correlazione tra l’educazione sessuale a scuola e una diminuzione di violenze contro le donne. Lo vediamo nei Paesi dove da molti anni (l’educazione sessuale a scuola) è un fatto assodato, come per esempio la Svezia. La Svezia ha più violenze e femminicidi di noi”. Chi l’ha detto? Ma la ministra per le Pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella ovviamente. Tirare in mezzo a caso il ‘paradosso nordico’ ormai va di moda tra la destra reazionaria, soprattutto quando si vuole screditare ogni approccio sensato alla violenza di genere.

Perché parto da qui? Perché parlare di violenza di genere, soprattutto alle nuove generazioni, non è più rimandabile. Questa non riguarda solo i femminicidi, ma anche come le persone intendono le relazioni, il consenso, i confini, il rispetto per l’altra. Abbiamo un problema serio da questo punto di vista, un problema che riguarda anche le persone più giovani, come quelle in età scolastica. Creare una ‘Lista stupri’ all’interno di una scuola non è una bravata, non è un episodio responsabilità di un singolo. È la manifestazione di un problema culturale e sociale che va affrontato qui e ora.

Per questa nuova puntata di Streghe ho parlato con le ragazze del collettivo Zero Alibi del liceo Giulio Cesare. Che confermano come quanto accaduto non sia un fatto isolato, ma l’ennesimo episodio di vari atti di violenza che vanno avanti da tempo. “Da anni a scuola si respira un clima di violenza. Il tema è molto sentito dalla maggior parte della comunità studentesca ma ci sono alcuni gruppi, più ristretti dentro il Giulio Cesare, che sono violenti, e fanno cose molto gravi”, mi spiega F. (l’anonimato, essendo minorenne, è d’obbligo). “Il problema è che dalla scuola non sono mai stati presi, in nessuna di queste occasioni, provvedimenti educativi. Lo scorso anno abbiamo denunciato alla preside che ci avevano bruciato dei cartelloni contro la violenza di genere. Le due persone che sono state viste farlo sono state sospese, ma nessun percorso, educativo o di responsabilizzazione, è stato poi attivato”.

Nelle assemblee d’istituto abbiamo provato varie volte a proporre corsi sulla violenza di genere – continua F. -. Il tutto è sempre però molto complicato: la preside non vuole che trattiamo temi troppo politici, e quindi in sede di consiglio d’istituto vengono sistematicamente bocciati, oppure passano sottotraccia. Ad esempio, una studentessa aveva proposto un’iniziativa con una ragazza che per sette anni era stata in una relazione tossica. Era stata bocciata perché si diceva che non aveva le competenze per parlare. Allora l’ha riproposta con una psicologa, e a quel punto è passato, ma è stato faticoso. Nel 2023, invece, un corso sulla violenza di genere che si sarebbe dovuto tenere in aula magna, è stato messo in un’aula piccolissima al secondo piano, cosa che non ha favorito la partecipazione. Non era stato bocciato ma è stato fatto in modo che passasse più sottotraccia. La preside ha detto che attività di sensibilizzazione – non usa mai la parola ‘educazione sessuo-affettiva, e non è un caso – sono state svolte, ma non è vero. E se magari sono state organizzate una volta non hanno avuto alcun ruolo rilevante. La verità è che non sono mai stati portati corsi dalla scuola sull’educazione al rispetto. Tutto quello che è stato fatto lo hanno fatto gli studenti, con fatica, perché tutto viene sempre bocciato”.

Da qualche ora si parla di un presunto responsabile. Un ragazzino che però rischia di diventare il capro espiatorio di un problema più grande. “Nelle ultime ore – conclude F. -, si parla tanto di un sospettato che avrebbe scritto questa lista. Io non so se è stato lui, sono sicuramente scettica, ma credo sia grave addossare la responsabilità di quanto accaduto a una sola persona. Perché nella nostra scuola c’è un serio problema che riguarda la violenza di genere, ed è un problema più grande e sistemico, che non riguarda il solo gesto di un singolo. Così è troppo comodo”.

Ho parlato di quanto accaduto al liceo Giulio Cesare con la psicoterapeuta e sessuologa esperta in violenza di genere Roberta Biondi. Che conferma come quanto accaduto non sia assolutamente da sottovalutare. “Il problema grave, quando ci troviamo davanti a questi episodi, è che vengono trattati come una bravata”, mi spiega. “E non si va a evidenziare che si tratta di un atto di violenza vera e propria. Nel senso che, sostanzialmente, è la manifestazione concreta di una cultura che permette a qualcuno di usare l'altro come oggetto, come bersaglio. E una scritta come ‘lista degli stupri’ e tutta la serie di nomi, in realtà, contiene un messaggio molto preciso: ‘il tuo corpo non vale, non è tuo e qualcun altro può decidere cosa farne'. È un messaggio di disumanizzazione, un tentativo chiaro di togliere la dignità, o comunque la voce della persona. E se siamo all'interno di un gruppo di adolescenti che interiorizza questa logica, la distanza poi tra la minaccia simbolica – che è sul muro del bagno – e il comportamento concreto, si assottiglia enormemente. Nessuna bravata quindi, ma un vero e proprio atto di dominio”.

L’educazione sessuo-affettiva non è un pallino della ‘sinistra woke’ come piace dire alla destra reazionaria. Ma un’esigenza concreta, sulla quale siamo già in ritardo di anni. “Il problema, secondo me, dell'educazione sessuo-affettiva è che, con questo nome, si pensa sempre che parliamo di sesso degli adolescenti, quando questo è uno dei piccolissimi temi trattati – continua Biondi -. Il macro-tema è insegnare a stare nelle relazioni: cioè educare al consenso, al rispetto dei confini, alla gestione delle emozioni, a riconoscere l'altro come soggetto e non come oggetto. E queste sono competenze che non sono innate, vanno apprese, nutrite e alimentate, perché se non c'è un contesto che in qualche modo le supporta, non possono crescere, non possono radicarsi nelle persone. E, dato scientifico, i paesi come l'Olanda, la Germania, la Danimarca, che hanno adottato programmi di educazione sessuo-affettiva nelle scuole in maniera uniforme, hanno visto diminuire le molestie e gli episodi di violenza su adolescenti. Ma soprattutto, la cosa più importante è che portano a un pensiero comune: ‘questo non è accettabile’. Quindi il riconoscimento, da parte dei ragazzi e delle ragazze, di capire che cosa si può fare e che cosa non si può fare dentro una relazione. E questa competenza personale e affettiva si sviluppa proprio nelle comunità che sono riuscite a garantire ai ragazzi l’accesso a programmi di educazione sessuo-affettiva. Se prendiamo il messaggio implicito in quella lista scritta nel bagno del Giulio Cesare — ‘il tuo corpo non vale’ — l’educazione sessuo-affettiva serve proprio a smontarlo e a sostituirlo con un principio opposto: il corpo dell’altro è un confine, e i confini si rispettano. Però, finché non esisterà un’educazione al rispetto dell’altro, continueremo non solo ad avere episodi come questo, ma anche a vederli liquidati come semplici bravate, senza riconoscere che affondano le loro radici in una forma di violenza di genere”.

Il fatto che una minaccia così seria venga da una persona molto giovane, rende concreto il rischio che la stessa persona in futuro possa avere comportamenti abusanti. “Sono competenze che si formano presto: impariamo a stare con gli altri fin da piccolissimi, nella prima socializzazione e nelle prime esperienze scolastiche. E se già allora non capiamo che l’altro ha dei limiti che non possiamo in alcun modo violare, non è un buon inizio. Quattordici-diciassette anni in realtà è un’età piccola ma non troppo, perché vuol dire che comunque sono cresciuto o cresciuta con l'idea che l'altro non sia così importante, che l'altro possa essere violato. E in un momento dove ci sono relazioni simmetriche – perché tra i pari ci sono relazioni di amicizia o affettive – avere questa idea per cui ‘io dell'altro posso fare quello che mi pare’, e soprattutto non riuscire neanche a concettualizzare le conseguenze psicologiche per tutte queste persone a cui faccio questo danno, vuol dire che c'è una mancanza totale di empatia. E nella violenza, la mancanza totale di empatia è uno degli aspetti cruciali, perché non si riesce a vedere l'altro e rispettarlo. È già un dato molto preoccupante, perché se una persona nella fascia d’età 14-17 anni arriva a compiere un gesto del genere… davvero dovremmo stupirci se a 22 anni minaccia la propria ragazza, o le vieta certi comportamenti o uscite? Senza contare che da lì si può anche scivolare verso reati più gravi. Perché stupirci? Lo vediamo già. Se arrivo a scrivere un nome su un muro accanto alla parola ‘stupro’, allora vuol dire che per me l’altro non ha valore. E se il corpo dell’altro non ha valore, è come se la persona stessa non esistesse”.

Il ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara vieta l’educazione sessuo-affettiva all’asilo e alle scuole primarie, mentre nella scuola secondaria di primo e secondo grado è consentita, ma solo previa autorizzazione dei genitori. Un potere enorme alle famiglie, che spesso sono proprio il primo luogo dove la violenza si vede, si apprende e si tramanda.

Il punto è questo – continua Biondi-, se la famiglia non ha trasmesso questi insegnamenti, può essere perché si vive in una relazione disfunzionale, in cui, per esempio, vedo mio padre insultare, non rispettare o picchiare mia madre, e finisco per normalizzare quel modello. Oppure, senza arrivare agli scenari più gravi, può anche darsi semplicemente che i genitori non abbiano mai sviluppato queste competenze e che nessuno abbia insegnato loro che cosa siano il consenso, la reciprocità o la gestione di un conflitto senza violenza, né verbale né fisica. E se loro non le possiedono, inevitabilmente non possono trasmetterle ai figli”.

Ci sono famiglie che magari si formano e scelgono di coltivare queste competenze affettive: in quel caso il problema non si pone. Ma nelle famiglie che queste competenze non le hanno — per mancanza di strumenti, per stereotipi culturali radicati, per disinteresse — delegare a loro l’autorizzazione a far partecipare ragazzi e ragazze ai programmi di educazione sessuo-affettiva significa, quasi sempre, ottenere un rifiuto. Se fino ad ora non hanno considerato importante questo tema, perché dovrebbero autorizzarlo ora? Il problema è che quella parte di popolazione continuerà a rimanere priva di competenze affettive che invece sono fondamentali se vogliamo prevenire episodi come questi e, più in generale, la violenza di genere. Ecco perché delegare tutto alle famiglie può diventare un ostacolo, Perché se avessimo famiglie accomunate da una cultura del consenso e della reciprocità, non assisteremmo a episodi come questi, né ai numeri di violenza che continuiamo a vedere, né a tutto ciò che emerge quotidianamente nella cronaca”.

Sicuramente, quello che riscontro spesso quando parlo di questo tema è la confusione tra educazione sessuale, educazione sessuo-affettiva e presunta ‘ideologia gender', che tra l’altro non esiste: si fa un mischione di tutto. Ma l’aspetto più importante è riportare al centro il vero significato dell’educazione sessuo-affettiva, che non è educazione sessuale. Anche se, parlando di affettività, non possiamo far finta che la sessualità non ne faccia parte. Purtroppo certa politica non aiuta e diffonde false informazioni per evitare che si parli in modo sano di come stare nelle relazioni. Questo sotto-messaggio per cui i programmi possono cambiare orientamento sessuale o identità di genere è terrificante. E ribadisco: non dobbiamo pensare solo alle famiglie disfunzionali, ma banalmente a famiglie che non hanno gli strumenti per trattare temi così importanti. Anche se cominciamo i programmi di educazione sessuo-affettiva adesso, i primi risultati li avremo tra 10-15 anni. Capisci che qua dobbiamo recuperare anni e anni”.

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Ciao!

Natascia Grbic

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Femminicidi, misoginia e cultura dello stupro dominano la nostra società, intrisa di odio verso le donne. La "caccia alle streghe" non è un fenomeno così lontano nel tempo, perché tra istituzioni indifferenti e media inadeguati o complici, gli uomini continuano ad ammazzare le donne quando non riescono a dominarle.  È ora di accendere i nostri fuochi e indirizzarli dove non si voleva guardare: Streghe è il nostro Osservatorio sul patriarcato, il nostro impegno per cambiare il modo in cui si raccontano le storie alla base di una società costruita a misura di uomo.

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