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Ciao, in questi tempi estivi dove escono fuori tutte le nostre paturnie, parliamo di corpi, diet culture, capitalismo e grassofobia. Perché è ora di farla finita con il fat shaming e lo stigma per tutte le fisicità considerate non conformi.
Sei lì al mare con il tuo costume nero intero. Volevi comprare in realtà quello super floreale alla brasiliana, ma poi hai pensato che ‘non ti stava bene’, e hai virato su un’altra scelta. In questo momento vorresti alzarti e prenderti un gelato, ma non puoi. C’è una voce interna che ti tiene con le chiappe incollate all’asciugamano, e che non smette di ricordarti: “ma che ti prendi il gelato? Vuoi che tutti ti guardino con disprezzo mentre lecchi quel cornetto Algida? Da brava, mangiati due finocchi, che sono pure freschi”. Lo so che anche tu hai spesso sentito quella vocina. E so anche che quella vocina spesso non era solo nella tua testa, ma veniva da tua madre, da tuo padre, da tuo fratello, da tua sorella. Da amicə che dovrebbero pensare ai fatti loro, da quel lontano zio che vedi una volta l’anno e speri di vedere ancora meno, dal collega che ha fatto la ‘battuta’ (ah ah, che ridere, aspetta che mi sganascio) perché ti sei presa il pangocciole al bar. Mi piacerebbe dirti di ignorare quella vocina, e mandare a cacare amicə e parentado, ma so che questa cosa non è semplice. Scriverlo in un articolo fa molto empowerment, ma applicarlo nella vita reale non è immediato e non sempre ci si riesce.
Possiamo però cercare di capire che cosa vuol dire vivere in una società grassofobica che stigmatizza i corpi non conformi che non rispecchiano lo standard di perfezione imposto dalla società. Possiamo capire che la diet culture non ha nulla a che vedere con la salute, e che controllo sociale e disciplinamento dei corpi si attuano anche tramite le norme estetiche. Possiamo capire che tutti i corpi sono diversi e tutti hanno pari dignità. Avere un corpo conforme non ti innalza automaticamente nell’Olimpo della superiorità morale.
DISCLAIMER GROSSO COME UNA CASA, perché già vi vedo che dite “tu promuovi l’obesità e abitudini non sane!”. No. Qui però non parleremo di problemi medici che non ci competono assolutamente, né siamo qui a dire come non farvi venire diabete e pressione alta (che possono venirvi pure se pesate sessanta chili comunque). Qui ci interessa capire come soprattutto le donne siano colpite da stereotipi e narrazioni tossiche riguardanti lo standard fisico e come di questo impatti la loro vita.
Siamo costantemente bombardatə da account di fitness coach, nutrizioniste che ti contano le calorie del cocomero (!!!), guru delle proteine che ti spiegano come fare la fit pizza senza carboidrati (ma come può essere anche solo lontanamente commestibile il bianco dell’uovo con la farina di mandorle sant’iddio), pubblicità di pilates al muro, creme che mandano la cellulite su Marte, bibitoni brucia grassi, vestiti che ti strizzano per eliminare la pancia. Fatevelo dire da una che ha buttato un sacco di soldi in app di coach bionde che te fanno mangià l’avena con l’acqua a colazione e che ha speso 50 euro per un costume che doveva rimpicciolire cosce e fianchi (si, lo so, non mi dite niente): non servono a nulla, ma soprattutto non CI servono a nulla. Non ne abbiamo bisogno. Servono solo ad alimentare il sistema capitalista malato e consumista in cui siamo immersə, che ci crea problemi dove non esistono.
Adesso che vi ho fatto risparmiare lo stipendio, andiamo avanti. Creiamo degli anticorpi, per vivere meglio tuttə.
Mara Mibelli e Chiara Meloni sono le fondatrici di ‘Belle di faccia’, un progetto che si occupa di sensibilizzare le persone sui temi della grassofobia e del body shaming, e di come in questa società i corpi non conformi vivano discriminazioni ed esclusioni costanti. Hanno scritto un libro, “Belle di faccia: tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico”, in cui spiegano perché la liberazione dei corpi grassi sia una questione femminista. In Italia sono pochissime le persone che si occupano di fat studies: loro, sono tra queste. Lascio che siano a loro a spiegarti perché la grassofobia non è solo discriminatoria, ma anche un pericolo per la salute (oltre che un’alleata del sistema capitalistico). E perché dovremmo fare un bello sforzo collettivo e liberarcene una volta per tutte. Ecco l’intervista.
La nostra società tende a stigmatizzare i corpi grassi e quelli che si discostano dagli standard imposti. Ma da dove nasce questa profonda grassofobia, spesso celata dietro la falsa pretesa che sia "un problema di salute, non estetico"?
Una delle ragioni per cui la grassofobia non è percepita come uno stigma è data dall'idea che il disprezzo che nutre nei confronti dei corpi grassi sia qualcosa di innato mentre invece si tratta di un processo culturale che è durato secoli e che affonda le sue radici nel colonialismo, il suprematismo bianco e la costruzione dell'identità bianca per differenziarsi da tutti quei popoli che erano considerati dalle potenze colonizzatrici selvagg e inferiori. Purtroppo ci sono pochi testi disponibili in Italia ma tra questi suggeriamo ‘Fatphobia, Grassi – storia della materia della vita’ e ‘Fatshame’. L'obiezione "ma la salute" che in gergo tecnico viene chiamata ‘concern trolling’ ovvero celare una critica con della preoccupazione, si può smontare facilmente anche senza fare excursus storici: innanzitutto perché sono innumerevoli gli aneddoti che possiamo raccontare su come la salute vada in secondo piano quando si tratta di dimagrire, perché pur di essere magra ogni cosa è lecita. Per esempio, a Mara è stato diagnosticato un tumore quest'anno, e davanti a una perdita di peso data dalle cure, le è spesso stato detto che comunque c'era un lato positivo a tutto quello che stava passando, sarebbe dimagrita.
La diet culture propone la falsa promessa di raggiungere standard estetici irrealistici. Dalle riviste ai social, siamo bombardatə di pubblicità di prodotti che ci vendono determinate caratteristiche fisiche come un problema da eliminare (ad esempio la cellulite), invitandoci ovviamente a comprare per raggiungere la ‘perfezione’. Volevo chiedervi quanto la diet culture è quindi funzionale al capitalismo e non ha nulla a che vedere veramente con la salute.
La diet culture non ha assolutamente niente a che fare con la salute: è lo strumento perfetto del capitalismo perché crea un problema inesistente – il nostro corpo al naturale – a cui risponde con innumerevoli soluzioni che ci vende, continuamente, ad altissimo prezzo. Basti pensare che la cellulite è stata definita un inestetismo per la prima volta in un articolo di Vogue del 1968, con un articolo che titolava ‘Cellulite, the new word for fat you couldn't lose before"’ Il termine nella letteratura medica esisteva già, ma è con i magazine femminili che entra a far parte del discorso mainstream e inizia ad essere considerata un difetto. Inoltre, il capitalismo, penalizza tutti i corpi che secondo bias propri dello stesso sistema, sono considerati non funzionali al profitto, quelli che mettono in discussione lo status quo, troppo lenti per essere produttivi, indisciplinati soprattutto se esistono senza chiedere scusa.
Nel vostro libro parlate dell’esclusione che i corpi grassi vivono all’interno della società. Vorrei approfondire questo aspetto, sia dal punto di vista delle discriminazioni nel quotidiano (ad esempio i vestiti di taglie superiori alla L, che non vengono venduti da certe marche) sia dal punto di vista medico, quando si riconducono eventuali problemi di salute a un fantomatico “problema di peso”, senza approfondire.
Spesso chi non abita un corpo grasso tende a pensare che la grassofobia si limiti ai commenti non richiesti sul corpo altrui, che sia una questione di poco conto e che basti lavorare sulla propria autostima per combattere questa discriminazione. In realtà, a prescindere da come le persone grasse percepiscono se stesse, i loro corpi vengono sistematicamente esclusi e stigmatizzati. In sede di colloquio, ad esempio, le persone grasse, in particolare le donne, vengono spesso escluse per il loro aspetto fisico considerato non di bella presenza e che molti datori di lavoro associano a caratteristiche negative come pigrizia, stupidità e sporcizia; se invece un posto di lavoro ce l'hanno, ricevono vessazioni per il loro corpo e fanno meno carriera. Parliamo poi di accessibilità: spesso i sedili degli aerei, le cinture di sicurezza, le sedute sui trasporti pubblici e nelle sale d'aspetto, i tornelli, le poltroncine dei cinema, le sedie dei locali e persino i mobili di uso comune non sono fatti per accomodare o accogliere i corpi grassi. Il diritto alla salute, poi, già fortemente minacciato in particolare per le donne che sono spesso vittime di violenza medica come molte altre categorie marginalizzate, è ancora meno garantito se sei una persona grassa: ogni tuo sintomo viene ricondotto al peso e spesso si torna a casa senza ulteriori esami e accertamenti e senza una cura, solo un generico invito a perdere peso. Questo porta a diagnosi errate o mancate, spesso con conseguenze fatali. In ultimo, la cosa che sembra più frivola, ma non lo è: per presentarci in società dobbiamo vestirci, a seconda del nostro lavoro anche avere un dress code, e le opzioni oltre una certa taglia sono significativamente inferiori e reperibili solo online, in negozi specializzati o su misura a costi nettamente superiori.
Quali sono i passi da fare per liberarci dalla grassofobia interiorizzata? Cosa possiamo fare tuttə per cambiare le cose?
Smettere di usare la parola grasso/grassa come un insulto, utilizzarla in modo neutro come un semplice aggettivo, smettere di parlare continuamente di diete e calorie e di demonizzare e moralizzare il cibo, non commentare i corpi altrui e il proprio e non celebrare la perdita di peso come se fosse sempre e soltanto qualcosa di positivo, mentre l'aumento di peso viene inquadrato come sempre negativo. Infine, informarsi sui movimenti per la fat liberation e i fat studies per conoscere le origini e la storia della grassofobia, le sue conseguenze e l'esperienza delle persone grasse.
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Ciao!
Natascia Grbic