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Ciao,

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due numeri, prima di lasciarti a domande e risposte. Ogni anno, si stima, vengono intentate circa novemila querele contro i giornalisti. Di quelle novemila querele, seimila vengono archiviate nel giro di qualche mese e si arriva a condanna solamente in circa duecento casi. Duecento su novemila – ti risparmio i calcoli – vuol dire poco più di due su cento.

Per tagliarla a fette spesse: 9 querele su 10, una più una meno, sono querele temerarie, fatte al solo scopo di intimidire i giornalisti. Vale per Sigfrido Ranucci così come per chiunque faccia inchieste o esprima opinioni, più o meno.

Se siete appassionati dei piccoli record che detiene l’Italia in Europa, questo è uno. E dice tutto su quanto tutte le chiacchiere sulla libertà di stampa che avete ascoltato in questi giorni siano, per l’appunto, chiacchiere. Un motivo in più per sostenere chi il giornalismo libero e indipendente lo pratica davvero.

Anche la nostra presidente del Consiglio ha subito rivolto a Sigrfido Ranucci la sua solidarità. Ma la domanda che viene da rivolgere è: se davvero si vuol essere solidali, perchè non provano a ritirare le numerose querele che nel frattempo ha collezionato Report? Magari sarebbe un buon segno di sincera espressione.

Orazio

Caro Orazio,
dopo l’attentato a Sigfrido Ranucci sono arrivati attestati di solidarietà anche da quelle figure e forze politiche che più spesso, in passato, hanno attaccato proprio Report, Ranucci e in generale il giornalismo libero. Da quanto ne sappiamo, però, nessuno ha ritirato le denunce a carico del giornalista – che nel 2023 disse di aver subito 176 tra querele e richieste di risarcimento, senza mai essere condannato. In molti casi si parla di cosiddette querele-bavaglio: denunce fatte non perché pensi davvero di avere subito un torto, ma perché vuoi silenziare un giornalista. Anche se la querela viene archiviata o la causa viene persa, nel frattempo il giornalista ha subito danni economici, stress, possibili ricadute professionali, per mesi o anni. Così si lancia un messaggio ai suoi colleghi: meglio lasciar stare quel politico, o quel potente, per evitare di subire la stessa sorte.Ranucci stesso ha parlato della cosa: “Io non voglio che ritirino le querele contro di me, io voglio vincere sul campo”, ha detto. Ma ha aggiunto: “Però vorrei che se un politico denuncia un giornalista, sapendo che quello che il giornalista ha detto è vero, poi paghi. E paghi anche salato”. Sarebbe anche questo un passo avanti. Fatto sta che dell’attentato nei suoi confronti, la politica sembra già essersi scordata. Senza dubbio tra poco gli attacchi ripartiranno. E anche le denunce.

Luca Pons, redattore area Politica Fanpage.it

Credete possibile che ci sia una pace mesi tra israeliani e palestinesi ?

Giuliana

Cara Giuliana,
la sua è una delle domande più complesse della storia contemporanea. I processi di pace che sono stati tentati nel tempo hanno fallito l’uno dietro l’altro e adesso, dopo due anni di guerra senza precedenti e di genocidio del popolo palestinese, chiaramente qualsiasi prospettiva futura pare ancora più difficile da realizzare. Nelle ultime settimane si è parlato tanto di pace, in relazione al piano di Trump che ha effettivamente portato al rilascio degli ostaggi israeliani e di circa duemila prigionieri palestinesi, a un cessate il fuoco – nonostante sappiamo come gli scontri e gli attacchi stiano continuando nella Striscia di Gaza, oggi su Fanpage.it trovate anche la testimonianza di un ragazzo ferito dalle bombe alcuni giorni fa – e a un percorso diplomatico di tavoli e di trattative. Il problema di questo piano di pace è che non tiene conto del popolo palestinese, del suo diritto ad autodeterminarsi e decidere del proprio futuro, ma impone un board internazionale presieduto sempre dal presidente statunitense: insomma, un progetto dai contorni decisamente neocoloniali. E non è tutto: perché mentre non coinvolge a dovere i palestinesi, il piano di Trump è volutamente fumoso per quanto riguarda ciò che dovranno fare le IDF, le Forze di difesa israeliane, e il governo di Netanyahu. E i risultati di questa vaghezza già si vedono, sia con delle continue violazioni del cessate il fuoco, che con continui avanzamenti nei piani di occupazione, anche in Cisgiordania. Insomma, “il piano di Trump più che la strada giusta per la pace è il modo giusto per continuare la guerra” e a dirlo è stato Ilan Pappé, tra i principali storici israeliani, uno dei primi a denunciare i piani di pulizia etnica della Palestina. C’è da dire, però, che proprio Pappé recentemente ha pubblicato un libro che si intitola “La fine di Israele, il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina”, in cui si dice convinto che in un futuro esisterà uno Stato dove palestinesi ed ebrei possano vivere insieme e con gli stessi diritti. Secondo lo storico un processo si è messo in moto, per cui siamo all’inizio della fine. La vicinanza globale alla causa palestinese non era mai stata così sentita e, al tempo stesso, Israele non si era mai trovato così isolato. Chiaramente si parla di processi lenti: in questa fase la pace sembra lontanissima anche perché mai le politiche israeliane erano state così cruente, ma la storia ci insegna che molto spesso proprio le fasi più repressive e sanguinarie sono anche state quelle finali. Per cui, per concludere, rispondere alla sua domanda è difficilissimo e non possiamo nemmeno farlo con certezza. Ma possiamo dire che la pace è sempre possibile.

Annalisa Girardi vice capoarea Video

Siamo veramente un paese democratico?La mafia è entrata a tutti gli effetti nel tessuto economico e sociale di questo paese?

Angelo

Gentile Angelo,
Purtroppo sì, la mafia è nel tessuto economico e sociale italiano. E purtroppo lo è già da tempo. Tanto è vero che in molte zone, così al Sud così al Nord, si parla di “collusione”. Ovvero c’è una vera e propria collaborazione tra mondo legale e mondo criminale: tra politica e mafia c’è un tacito accordo, uno scambio di vantaggi. Esempio: durante le elezioni la mafia porta voti mentre il futuro sindaco o assessore garantisce all’organizzazione criminale vantaggi sul territorio, come gare d’appalto o diversi permessi edili.Lo stesso succede nel mondo imprenditoriale. In questo caso, per esempio, l’imprenditore si rivolge al mafioso quando ha bisogno di liquidità. E la criminalità organizzata non aspetta altro perché deve riciclare il denaro ottenuto dai traffici illegali. Anche in questo caso però è uno scambio di favori. Cosa chiede la mafia? Di entrare in società, di avere quote dell’azienda. Però una volta dentro il criminale usa il metodo mafioso fatto di intimidazione e minacce. Così in poco tempo la mafia ha il pieno controllo dell’azienda. Riassumendo: in molte aree la criminalità organizzata ha già trovato l’accordo con il politico o con l’imprenditore. Quindi il pieno controllo del territorio e della società. Le organizzazioni criminali – lo ripeto sia al Nord che al Sud – si servono di quella che viene chiamata zona grigia. Ovvero quella parte di mondo legale che offre i propri servizi alla mafia. Si pensi al professionista della zona, come a un commercialista che insegna al mafioso come creare una società fantasma o al medico di paese che scrive una consulenza falsa per far uscire il parente del mafioso detenuto in carcere. Di casi ce ne sono molti purtroppo. Tutto si trasforma dunque in strette relazioni tra mondo legale e mondo mafioso. Ecco quindi che la mafia da questi accordi, e dal silenzio della restante popolazione, trae solo benefici. E in un paese democratico la mafia dovrebbe stare fuori dallo Stato.

Giorgia Venturini redattrice area Cronaca Fanpage.it

Sulla vicenda dei tre carabinieri deceduti nell’esplosione nel Veronese, sono profondamente addolorata e mi sento sinceramente vicina alle famiglie delle vittime e dei feriti. Al tempo stesso, non posso nascondere una certa perplessità, riguardo alla modalità dell’intervento condotto dalle forze dell’ordine. In una situazione già segnata da una lunga storia di disagio psichico e ossessione patologica da parte dei tre fratelli, mi sarei aspettata un approccio diverso, forse più cauto e calibrato. E anche la scelta dei funerali di Stato mi ha lasciata interdetta. Non per mancanza di rispetto verso le vittime, ma perché mi sembra che si rischi di creare una gerarchia del dolore, quando ogni giorno, in silenzio, tante persone perdono la vita sul lavoro senza ricevere lo stesso riconoscimento pubblico.

Paola 

Gentile Paola,
le sue parole riflettono un sentimento comune a molti cittadini: dolore, sgomento, ma anche bisogno di comprendere cosa è accaduto la notte tra il 13 e il 14 ottobre a Castel d'Azzano, con la morte dei carabinieri Marco Piffari, Valerio Daprà e Davide Bernardello durante una perquisizione nel casolare abitato dai fratelli Ramponi. È comprensibile una simile tragedia faccia sorgere domande sul modo in cui l’operazione è stata condotta. Stando a quanto emerso finora, l’esplosione sarebbe stata innescata da Maria Luisa Ramponi; lei e i fratelli Dino e Franco non volevano saperne di lasciare casa, pignorata e destinata all’asta per debiti mai pagati. Accusati tutti e tre di strage, resistenza a pubblico ufficiale e detenzione di esplosivi, più volte avevano minacciato di far saltare tutto in aria. Per questo era stato ordinato un blitz inviando sul posto carabinieri dei reparti speciali addestrati a condurre anche operazioni anti-terrorismo. A questo punto non ci resta che attendere l'esito delle indagini, coordinate dalla Procura di Verona e volte a ricostruire con esattezza la sequenza dei fatti, le decisioni prese e le eventuali criticità operative. Occorrerebbe, però, che accanto all'accertamento di cosa è accaduto a Castel D'Azzano anche la politica avviasse una riflessione più ampia: viviamo in una società in cui un diritto fondamentale, quella alla casa, è del tutto negato, ignorato, considerato un lusso, qualcosa di subordinato al "merito". E questo, semplicemente, non è accettabile. Riguardo ai funerali di Stato, la scelta nasce dal riconoscimento del servizio svolto da chi indossava una divisa e ha perso la vita nell’adempimento del proprio dovere. È vero, tuttavia, come lei sottolinea, che questa distinzione può far emergere un senso di diseguaglianza rispetto ad altre tragedie quotidiane – come quelle sul lavoro – che spesso non godono della stessa attenzione e a malapena trovano spazio sui giornali. Quello della sicurezza dei lavoratori è un tema che meriterebbe di essere affrontato molto più spesso, e molto meglio di quanto non si faccia oggi, con il rispetto che si deve a tutte le persone che escono di casa per andare al lavoro e non vi fanno ritorno, che indossino o meno una divisa.

Davide Falcioni, redattore area Cronaca Fanpage.it

Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua.

Francesco

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