Immagine

Ciao!
È stata una settimana piena di polemiche dopo la protesta di alcuni maturandi, che si sono ribellati all’attuale sistema scolastico, ritenuto troppo competitivo e poco attento al benessere psicologico dei ragazzi, e hanno scelto di non sostenere il colloquio orale. Il gesto ha fatto infuriare il ministro dell’Istruzione Valditara, che ha risposto minacciando di far ripetere l’anno a coloro che emuleranno gesti simili il prossimo anno. Ancora una volta quindi il governo, invece di accogliere e comprendere il disagio degli studenti, ha fatto la voce grossa, annunciando una norma che punirà il boicottaggio della Maturità con la bocciatura. Una misura del genere lascia aperti molti interrogativi. Per esempio il ministro, contattato da Fanpage.it, non ha spiegato come concretamente si potrà distinguere tra chi volontariamente non sarà collaborativo e chi non risponderà alle domande perché impreparato o perché troppo emotivo. Mentre attendiamo di leggere il testo della riforma della Maturità promessa da Viale Trastevere, continueremo a seguire il dibattito, con uno sguardo sempre critico nei confronti di atteggiamenti inutilmente e spropositatamente persecutori.

Ti è piaciuto questo episodio di La nostra scuola?

Nella newsletter di oggi torniamo a dare voce ai precari della scuola: questa volta abbiamo raccolto le preoccupazioni dei docenti specializzati sul sostegno verso i corsi INDIRE che stanno per partire. Buona lettura!

IL TEMA DEL GIORNO

Proteste contro la Maturità, i pedagogisti: “Posizione di Valditara comprensibile ma l’esame va ripensato"

Sta continuando la protesta degli studenti italiani contro l’esame di Maturità. Dopo lo studente di Padova che si è rifiutato di sostenere il colloquio, si moltiplicano i casi, da Treviso a Belluno passando per Marche. Il ministro Valditara ha fatto sapere di voler prendere provvedimenti perché i ragazzi “non possono farla franca”, per cui chi fa scena muta dovrà ripetere l’esame. Ma è davvero questa la misura giusta? fanpage.it lo ha chiesto a Maria Angela Grassi, presidente e social fondatrice di Anpe (Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani).

Cosa ne pensa di questa “protesta”?

“Dal punto di vista evolutivo, l’adolescenza è un’età caratterizzata da forti spinte all’autonomia e da un fisiologico spirito critico nei confronti delle istituzioni. Manifestare dissenso, anche in forme eclatanti, fa parte di questo percorso di costruzione dell’identità.  Infatti, la propensione alla ribellione che si osserva negli individui tra i 17 e i 19 anni — età corrispondente alla preparazione dell’esame di Maturità — non rappresenta un segno di disfunzione, ma piuttosto una manifestazione neurofisiologica adattiva. In parallelo, le fluttuazioni dopaminergiche potenziano la spinta alla ricerca di novità e alla sperimentazione di comportamenti divergenti, funzionali alla definizione di un’identità autonoma. Tutto ciò si inscrive in una fisiologica ricerca di omeostasi psico-affettiva, essenziale per consolidare un equilibrio neuropsichico stabile nella transizione verso l’età adulta”.

Il Ministro Valditara ha affermato che chi rifiuta di fare l’orale verrà bocciato. Secondo lei può essere una soluzione adatta?

“La posizione del Ministro è comprensibile dal punto di vista della tutela della serietà dell’esame e del rispetto verso il lavoro dei docenti. Tuttavia, questa risposta rischia di chiudere il dialogo e di non affrontare le ragioni profonde del malessere studentesco. La bocciatura come unica soluzione può essere percepita come una misura punitiva che non risolve le criticità strutturali del sistema educativo. Sul piano pedagogico, limitarsi a una risposta di tipo sanzionatorio rischia di non intercettare le ragioni profonde del disagio o della protesta. È fondamentale interrogarsi su cosa abbia spinto questi studenti a un gesto tanto radicale: si tratta di una critica verso l’impostazione dell’esame? O di una percezione di inadeguatezza del sistema educativo rispetto ai bisogni reali delle nuove generazioni?”.

Secondo lei così come è l’esame di Maturità andrebbe ripensato? Come?

“L’esame di Maturità, nella sua attuale configurazione, porta con sé pregi e difetti. È senz’altro importante che esista un momento conclusivo di verifica delle competenze acquisite, anche come simbolico rito di passaggio all’età adulta. Tuttavia, ci sono diversi profili che meriterebbero un ripensamento:

Maggiore personalizzazione: rendere la prova orale più centrata sul percorso specifico dello studente, con discussioni su progetti trasversali o elaborati personali, potrebbe aumentare il senso di protagonismo e di responsabilità.Valutazione delle competenze trasversali: integrare l’esame con prove che valutino capacità di problem solving, pensiero critico e cittadinanza attiva.Meno nozionismo, più riflessione: evitare che l’orale diventi un susseguirsi di domande mnemoniche, per lasciare spazio a una discussione che valorizzi la capacità di argomentare e collegare i saperi.Orientamento al futuro: inserire nel colloquio una parte di riflessione sul progetto post-diploma, per aiutare i ragazzi a collegare quanto appreso con le scelte universitarie o lavorative.

In definitiva, l’atteggiamento di rifiuto dell’orale è un segnale che non va archiviato. Occorre ascoltare le istanze dei giovani, senza rinunciare al valore formativo ed educativo dell’esame di Stato, ma anche rimodulandolo affinché diventi un vero momento di crescita personale e orientativa”.

L’APPROFONDIMENTO

Corsi INDIRE e TFA: il maxi piano del ministero fa acqua

Negli ultimi anni il numero di alunni con disabilità a scuola è aumentato. Gli ultimi dati Istat mostrano un deciso incremento: negli ultimi 5 anni se ne sono registrati 75mila in più (+26%); nell’anno scolastico 2023-2024 erano quasi 359mila, il 4,5% del totale degli iscritti (+6% rispetto al precedente anno scolastico). Eppure gli insegnanti di sostegno specializzati sono ancora troppo pochi. Nelle scuole italiane si contano circa 246mila insegnanti per il sostegno. Lunedì scorso il ministro Valditara ha firmato un decreto per l’assunzione, per l’anno 2025-2026, di poco più di 48mila docenti, di cui 13.860 sul sostegno. Per il momento, a livello nazionale, il rapporto alunno-insegnante è al di sotto dei limiti di legge: è pari a 1,4 nella scuola statale e a 1,7 nella scuola non statale, mentre la soglia minima dovrebbe essere di 2 alunni per ogni docente. Ma il dato davvero preoccupante è un altro: attualmente il 27% degli insegnanti di sostegno non ha una formazione specifica (oltre 66mila docenti).

In risposta a queste carenze, nelle scuole arriveranno presto nuovi docenti specializzati sul sostegno agli alunni con disabilità, tra corsi di TFA (Tirocinio Formativo Attivo per il sostegno didattico agli alunni con disabilità per l'anno accademico 2024/2025) e corsi INDIRE (questi ultimi attivati per specializzati all’estero e per docenti che abbiano già svolto tre annualità di servizio come supplenti negli ultimi 5 anni). Si sono chiuse proprio venerdì scorso le domande per partecipare al primo ciclo di corsi di specializzazione sul sostegno, organizzati dall'INDIRE, riservati ai triennalisti. In questa prima tranche di corsi saranno 5.850 i candidati a conseguire la specializzazione su sostegno ma, in base al decreto ministeriale 75/2025, complessivamente sono 52.622 i posti previsti – distribuiti su più cicli formativi – da qui al 31 dicembre 2025. L’obiettivo è far sì che questi percorsi si chiudano in tempo per l’aggiornamento delle GPS in primavera 2026, quando questi docenti potranno passare in prima fascia. Basteranno a garantire un servizio di qualità in classe?

Ricapitolando, facciamo un po’ di chiarezza sui numeri dei posti già banditi:

-35.784 posti per i TFA (Tirocinio Formativo Attivo) per il sostegno didattico agli alunni con disabilità per l'anno accademico 2024/2025

-10485 posti per candidati già specializzati all'estero (6.000 INDIRE e 4.485 attraverso gli atenei)

-5.850 posti per corsi INDIRE + 20.700 tramite atenei per docenti triennalisti (già autorizzati)

Questo maxi piano del ministero però presenta delle criticità, evidenziate dal Coordinamento Nazionale per l’Inclusione, composto da diversi comitati di docenti specializzati per le attività di sostegno in Università italiane, che lo scorso 10 luglio è stato anche ricevuto a Viale Trastevere. La richiesta di questi prof, lungi dall’alimentare una guerra tra precari, è sostanzialmente questa: “Una giusta valorizzazione del percorso di specializzazione universitario da 60 CFU svolto in Italia (cioè il TFA)”. Il problema che segnalano è appunto la possibile equiparazione tra il TFA, della durata di circa 8 mesi, un anno accademico, in presenza, che include tirocini supervisionati e laboratori, e i nuovi corsi INDIRE, più brevi (durano solo 4 mesi), online, senza prove preselettive e senza tirocinio se il candidato ha accumulato una annualità di servizio.

“Per entrare al TFA ho fatto tre prove: una preselettiva, a risposta multipla ma non semplice, una prova scritta e una prova orale”, ci racconta al telefono Valentina, del Coordinamento Nazionale per l’Inclusione. “Anche all’interno dei corsi INDIRE bisogna fare delle distinzioni tra chi è triennalista, e ha già maturato quindi un’esperienza a scuola, e chi rinuncia al contenzioso con il ministero per il titolo estero”. A quest’ultima categoria appartengono coloro che hanno un procedimento di riconoscimento pendente oltre i termini di legge: la condizione per iscriversi ai corsi INDIRE è la rinuncia formale a ogni istanza di riconoscimento del titolo estero, Ma i titoli acquistati all’estero, come l’inchiesta di Fanpage.it La Cattiva Scuola ha denunciato, non offrono garanzia di qualità: in alcuni Paesi, come Spagna o Romania, gli aspiranti docenti li hanno ottenuti a volte senza studiare e senza sostenere esami. “Questi insegnanti passano in prima fascia, hanno un titolo equiparato a un TFA, è un potenziale danno per la qualità dell’inclusione scolastica. Anche perché a volte il titolo è conseguito in Paesi dove esistono ancora classi differenziali (ovvero separate per gli alunni con disabilità complessa) e alcuni titoli valgono per tutti i gradi di scuola mentre i titoli universitari italiani sono specifici per ogni grado e ordine di scuola”, commenta Valentina. “È giusto far valere l’esperienza in classe, ma questa ha valore se supervisionata e valutata con criteri oggettivi. Chiediamo quindi che si tenga conto di questi elementi al momento di valutare il percorso di chi ha completato una specializzazione universitaria in Italia rispetto a coloro che hanno frequentato i corsi INDIRE”.

Newsletter a cura di Ida Artiaco e Annalisa Cangemi

api url views
Abbonati e leggi la newsletter
Otterrai l'accesso a questo e a molti altri contenuti

Attraverso l'abbonameno a Fanpage.it, sosterrai il nostro giornalismo libero e indipendente.
Tutto ciò che conosci resterà gratuito, ma insieme potremo fare di più.

Inoltre:
  • Sito web e App senza pubblicità
  • Newsletter e Podcast esclusivi, ogni settimana
  • Rassegna delle news più rilevanti del giorno
  • Live con la Redazione e ospiti speciali