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È una partita amara, questa dei dazi, e Giorgia Meloni si trova a giocare su due fronti. Entrambi scivolosissimi. Un primo, molto pratico, che riguarda le pesanti conseguenze delle tariffe di Donald Trump: il nostro è un Paese esportatore e i calcoli che sono stati fatti in questi mesi ci restituiscono uno scenario più nero dell'altro. Solo una cosa è certa: pagheremo care le ambizioni protezionistiche del presidente statunitense. E poi c'è anche un altro dato che potrebbe non fare sconti a Meloni e che riguarda, invece, il suo posizionamento politico: essersi schierata dalla parte di Trump, del presidente MAGA, rischia di ritorcisele contro. E alla fine non ci sarebbe troppo da stupirsi: uno che dice come una radio rotta "America First", difficilmente farà qualcosa per beneficiare gli altri.

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Sono giorni di trattative frenetiche. Se nelle prossime due settimane non si raggiungerà un accordo, dal primo agosto scatteranno dazi del 30% su tutte le merci esportate dai Paesi dell'Unione europea verso gli Stati Uniti. Bruxelles prova a negoziare con una voce unica, ma non è semplice. Ci sono Paesi – come appunto l'Italia, ma anche la Germania – che spingono per la linea morbida, per le trattative con la Casa Bianca, sdoganando anche le tariffe al 10%, che ormai è abbastanza chiaro che non si possono evitare. E poi però c'è anche la Francia, che vuole invece la linea dura. Se Trump conosce solo la retorica del più forte, allora è giusto parlargli nella sua lingua.

Meloni ha ribadito la sua posizione dopo aver incontrato il cancelliere austriaco Christian Stocker a Palazzo Chigi. "Occorre scongiurare in ogni modo una guerra commerciale tra le due sponde dell'Atlantico. Continueremo insieme agli altri leader, e in costante contatto con la Commissione, a lavorare per un accordo che possa essere reciprocamente vantaggioso", ha detto. Per poi aggiungere: "L'obiettivo per me rimane quello di rafforzare l'Occidente nel suo complesso, rendere ancora più forti le nostre economie che sono già economie strettamente interconnesse. Tutti gli altri scenari sarebbero totalmente insensati in questo contesto".

Insomma, la posizione della presidente del Consiglio è chiara. Ma lo è per tutte le forze che compongono la sua maggioranza?

Sul Corriere della Sera, Marco Cremonesi scrive: "Ci si potrebbe chiedere se la Lega è sulla stessa lunghezza d'onda. Il capo dei senatori Massimiliano Romeo riconosce senza esitazioni alla premier di essere al lavoro «per cercare una soluzione, una mediazione, un filo diretto con gli USA» invece che «andare al muro contro muro come vuole fare la Francia e qualche altro». Per concludere, però, con una considerazione un po' diversa: «Che l'elite che comanda questa Europa sia ormai alla deriva, l'hanno capito tutti»".

Insomma, la Lega vorrebbe che le trattative le facesse l'Italia per l'Italia sola, bypassando quindi i tavoli europei. E questa posizione è l'ennesima che mette in difficoltà Meloni con la sua stessa maggioranza, sempre più litigiosa. A replicare alle considerazioni del Carroccio, infatti, è il portavoce di Forza Italia, Raffaele Nevi, in un'intervista sul Fatto Quotidiano firmata da Lorenzo Girelli. "La trattative deve essere a livello europeo. Ma lo deve essere per legge, per quello che stabiliscono i Trattati, non per scelta politica. Nessun Paese europeo può fare singoli accordi commerciali con gli Stati Uniti", dice Nevi. E alla domanda del cronista, sulle divisioni in maggioranza, ha aggiunto: "Mi pare che lo stesso Salvini abbia riconosciuto il ruolo dell'Europa. Poi se qualcuno ha idee diverse posso solo dire che non si può fare: non è cattiveria o mancanza di volontà politica. La competenza sul commercio internazionale è esclusivamente dell'Unione".

Nevi poi ha commentato il viaggio di questi giorni negli States del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Un viaggio per dire che la guerra commerciale non conviene a nessuno. Il leader azzurro ieri ha incontrato il segretario di Stato Marco Rubio. Da Washington, Massimo Gaggi scrive sul Corriere della Sera: "Sui dazi Tajani ha definito il 30% minacciato nei confronti dell'Ue eccessivo, addirittura «irraggiungibile: un messaggio forte, per accelerare i negoziati». Trump è parso deciso a imporre la logica dei rapporti di forza, più che in vena di lanciare ballon d'essai. Il ministro, però, è venuto a Washington per tentare ancora la via del dialogo («ma a testa alta» ha detto) rispetto a quella del muro contro muro, ribadendo che «una guerra dei dazi non conviene a nessuno». Tajani ha trovato conforto nell'accoglienza cordiale, amichevole di Rubio, che lo ha rassicurato: l'inasprimento di Trump non deriva da un conflitto di tipo politico con l'Europa: solo motivazioni economiche".

A queste motivazioni, però, Tajani aveva la risposta pronta: "Una mappa degli Stati Uniti, nella quale sono indicati i principali impianti produttivi realizzati da imprenditori italiani negli USA: dai cantieri navali della Fincantieri in Wisconsin e Florida agli stabilimenti automobilistici Stellantis, alle fabbriche di materiale per la difesa di Leonardo sparse tra Virginia, Ohio, North Carolina, California, New York, Alabama e Arizona, agli impianti Eni in Texas e Louisiana, alle aziende di Enel, Pirelli, Barilla, ferrerò Luxottica, Bracco e molte altre". E le imprese italiane saranno ben disposte a investire ancora, nel caso in cui andasse tutto bene.

In tutto questo, concludiamo con il commento di Gigi Riva su Domani: "Solo chi ha il coraggio di trattare Trump da pari a pari guardandolo negli occhi riesce a renderlo docile. Putin ne è capace, Xi Jinping altrettanto, visto che tenendo la schiena dritta è uscito vincente dalla battaglia dei dazi, né si cura troppo delle nuove minacce di sanzioni contro la Cina e l'India perché acquistano idrocarburi da Mosca. Non altrettanto, e siamo alle note dolenti, l'Europa. Che, vista la forza economica di cui dispone, si potrebbe permettere di andare allo scontro, ma si ritrae impaurita dai bau bau di Washington. Con il Vecchio Continente Donald Trump non si accuccia e si permette la voce grossa". E chiude: "Giorgia Meloni, così come Ursula von der Leyen, insiste sulla morbidissima linea della trattativa. La presidente della Commissione Ue ha almeno la scusante di guidare un'istituzione in cui molti membri sovranità, di cui deve tenere conto, sono legati a doppio filo con la Casa Bianca. Ma Meloni, beh Meloni è affetta dalla sindrome di Stoccolma verso il sequestratore di ogni sua volontà. Così si lascia il solo Emmanuel Macron a issare la bandiera dell'orgoglio e a rivendicare la postura della fierezza. L'Europa, lacerata al suo interno e già irrilevante, scivola nell'insignificanza".

Per oggi da parte mia. Per qualsiasi dubbio puoi scriverci a eveningreview@fanpage.it ,

Annalisa

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