
“Vai e racconta”: Rosaria Capacchione e la sua lezione di giornalismo

Rosaria Capacchione è giornalista professionista dagli inizi degli anni Ottanta, anche se, un tempo, all'agognato esame di Stato e alla tessera ci si arrivava con anni di gavetta alle spalle. La sua firma, in oltre quarant'anni di professione, «è Cassazione» su tutto quel che riguarda la storia, le gesta (nient'affatto epiche), i processi e gli affari del clan dei Casalesi, il sanguinario e ricco sodalizio criminale che – al pari dei Corleonesi in Sicilia – è diventato nel mondo più rilevante della città di provenienza, Casal di Principe, Caserta.
Capacchione nel corso degli anni ha conservato il tono asciutto del cronista di carta stampata: pochi aggettivi, ritrosia ad apparire, fastidio visibile nel parlare della sua vita anziché delle notizie sul taccuino. «Stavo in provincia, dove c’erano tanti morti e tanti arresti. Inevitabile occuparsene. Ma ero una neofita. Unica donna in ambiente esclusivamente maschile. Giovane. Guardata con sufficienza: "la piccirella che non capisce niente". Io ho lasciato che pensassero così. Poi ho messo le mani su un "rapportone", le maxi-informative dell’epoca. E ho cominciato a studiare».

Suo malgrado, il lavoro da giornalista in provincia di Caserta, in quella che chiamano "Terra di lavoro", a caccia di notizie su quello che è stato per decenni uno dei clan malvitosi più potenti d'Europa è diventato totalizzante: Rosaria Capacchione è sotto scorta da oltre un decennio, e lo "deve" a minacce ricevute nel più inconcepibile dei luoghi in cui ci si potrebbe immaginare di sentirle pronunciare: un’aula di giustizia. Era il 13 marzo 2008, durante il processo "Spartacus". Soltanto nel luglio 2025 siamo arrivati alla condanna in secondo grado per questa vicenda.
Oggetto delle attenzioni di Michele Santonastaso, avvocato del boss Francesco Bidognetti furono lei e Roberto Saviano. «Sosteneva l'accusa più ridicola ma infamante che vi possa essere: che io avessi agito prezzolata dalla procura. Il procuratore generale dell'epoca lanciò l'allarme e fu così che poi io ebbi la scorta».
Il lavoro e la vita cambiano se ha un dispositivo di tutela. « Cambia nel senso che se devi incontrare una fonte segreta, non è più segreta. Devi ricorrere a sotterfugi, o avere una fiducia cieca in chi ti accompagna. All’inizio non conoscevo nessuno di loro, cambiavano ogni giorno. Non era possibile. Devi arrangiarti. Non hai più la libertà di una volta. Dal punto di vista personale è tutta una questione di come sei tu. Se sei una persona abituata a comandare, magari non cambia nulla. Ma quei poveracci stanno lì appresso a te 24 ore al giorno. Io non lo farei mai. Se torni a casa alle 6 del pomeriggio e alle 8 e un quarto ti chiama un amico per uscire, tu dici di no. Perché dovresti richiamare in servizio gli agenti».
Oggi Rosaria Capacchione è un punto di riferimento per tante ragazzi e ragazze che vogliono fare giornalismo. «Li scoraggio in tutti i modi – dice, ma sorridendo -. Dovrei dire quello che hanno insegnato a me: vai e racconta. Non stare ad aspettare il comunicato stampa. Vai a vedere che è successo. Altrimenti, non fare questo mestiere».
