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Ucciso perché faceva la cresta sulle estorsioni del clan: in carcere 4 uomini dei Casalesi

Quattro persone arrestate per l’omicidio di Crescenzo Laiso, uomo vicino al clan dei Casalesi. Sarebbero tutti esponenti di spicco dell’omonimo clan: Laiso avrebbe pagato con la morte l’aver tenuto per sé forti somme di denaro ricavate dalle estorsioni invece di metterle nella cassa comune del clan.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Immagine di repertorio
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Ucciso perché tratteneva per sé una parte del denaro estorto per conto del clan dei Casalesi: un omicidio, quello di Crescenzo Laiso avvenuto nel 2010, per il quale ora sono vgravemente indiziate quattro persone, tutte considerate elementi di spicco all'interno del clan dei Casalesi. Due di essi erano già nelle carceri di Saluzzo (Cuneo) e Sulmona (L'Aquila), dove gli è stato notificato il provvedimento, mentre gli altri due sono stati raggiunti a ridosso delle province di Napoli e Caserta. I due già detenuti sono Mirko Ponticelli e Nicola Della Corte, mentre gli altri due arrestati sono Bartolomeo Cacciapuoti e Mario Iavarazzo, tutti considerati membri di spicco del clan dei Casalesi.

L'omicidio di Crescenzo Laiso fece scalpore per l'epoca: aveva 31 anni il 20 aprile del 2010, quando era alla guida della propria Smart in via Castagna, a Villa di Briano (Caserta). A bordo di una motocicletta arrivarono i killer, che aprirono il fuoco contro di lui, che cercò di scappare abbandonando l'automobile e fuggendo a piedi. Inutili i tentativi di fuga: venne freddato da una pioggia di proiettili che non gli lasciò scampo. Tredici i colpi che lo raggiunsero, tanto che si pensò immediatamente ad una resa di conti interna: Laiso era infatti considerato un uomo del clan dei Casaleri, e si suppose che la sua morte potesse essere stata ideata all'interno dello stesso clan.

Omicidio che ora viene pienamente considerato come ideato e avvenuto all'interno del medesimo clan dei Casalesi: secondo le ricostruzioni, Laiso avrebbe commesso "errori" nella gestione dei proventi delle estorsioni, trattenendo per sé una grossa parte del denaro destinata invece alla cassa comune del clan dei Casalesi. Una "cresta" sul pizzo che Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco, detto Sandokan, avrebbe ordinato che venisse punita con la morte. Le indagini sono durate anni, attraverso dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e investigazioni approfondite, che già avevano portato all'individuazione del killer vero e proprio (Francesco Barbato, oggi collaboratore di giustizia), mentre ora sono scattati i provvedimenti anche per il complice che guidava la moto (Mirko Ponticelli), nonché degli uomini che fornirono supporto logistico all'agguato (Mario Iavarazzo, Nicola Della Corte e Bartolomeo Cacciapuoti.

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