Storia e contraddizioni di Largo Maradona a Napoli, l’attrazione turistica diventata più famosa dei musei

È raro vederlo accadere in pochi anni. Ma a Napoli è successo. Qui, nel giro di un lustro, un luogo preciso della città, un posto trascurato, non diremmo anonimo perché nessun luogo di Napoli lo è, ma simile a molti altri della sua zona, i Quartieri Spagnoli, è diventato un punto d'interesse sulla mappa dei turisti che lì giungono da ogni parte del mondo. Era la facciata scrostata di un palazzo della ricostruzione, squadrato, oppresso dagli altri stabili a ridosso ma oggi quella strada, intitolata ad un ragazzo martire della rivoluzione napoletana del 1799, Emanuele De Deo, è conosciuta solo in relazione ad un altro ragazzo che a modo suo la rivoluzione pure la fece, ovvero Diego Armando Maradona.
Quello che oggi è stato ribattezzato, senza bisogno di alcuna commissione toponomastica, Largo Maradona è un luogo che sintetizza in maniera perfetta le contraddizioni della Napoli di oggi, quella dell'overtourism, la città che scoppia di turisti, bed and breakfast, ristoranti e tavolini e non ha ancora chiaro qual è il pezzo da pagare per questa sua nuova ricchezza. Da quando Maradona è morto, nel 2020, si è compiuto il destino dello spiazzo privato che consente di osservare il grosso murale di "D10S" disegnato dal giovane Mario Filardi, e ritoccato anni dopo da Francisco Bosoletti, considerato la vera tomba di Diego Maradona, indimenticato numero 10 del Napoli dei primi due scudetti, campione del mondo con l'Argentina e personaggio inciso a fuoco nella storia del calcio mondiale.

Largo Maradona è epicentro della rinascita di un quartiere dove non molti anni fa a nessuno sarebbe mai venuto in mente di soggiornare, pranzare, cenare, fare aperitivo, dormire, passeggiare coi figli. È una attrazione turistica più frequentata perfino di molti musei (e la cosa non deve esaltare, semmai far pensare).
Cosa offre? Un concentrato di Napoli experience cucito sulla pelle e sul portafogli del turista medio nella città di Partenope: i vicoli, i panni stesi, i murale d'ogni tipo, storie e storielle vere e verosimile, pizza, limonata ‘a cosce aperte', caffè, sfogliatelle, babà, musica che esce dai vicoli, il brivido di passeggiare nel quartiere un tempo predominio esclusivo della camorra, il culto di Maradona, infarcito di teatralità a buon mercato, di gadget d'ogni tipo, dalla calamita alla t-shirt, dalla bevanda "brandizzata" a sciarpe, bandiere, santini e cappellini in quantità industriale.
Il tutto a quale costo? Al caos tra scooter, pedoni e auto, ad una fiscalità incerta e ad un bancarellame, che di recente è stato sanzionato dalla Polizia Locale. Il Comune di Napoli tenta di metter ordine al fenomeno, cresciuto più veloce delle regole. Ma diciamoci la verità: oggi il business dei Quartieri Spagnoli offre ad una parte di sottoproletariato (e non solo) una forma di sostentamento difficile da toccare senza scatenare tensioni sociali. Servirebbe intervenire chirurgicamente su singoli aspetti, problematiche e lamentele. Ma si può? Il Comune di Napoli ne è capace?
