Mario Volpicelli, ucciso da innocente perché era lo zio di un killer del clan: 3 arresti

La sua unica colpa era quella di essere lo zio di un camorrista rivale. Legame esclusivamente di sangue, non di affari: Mario Volpicelli non era un criminale, con quel mondo non aveva nulla a che fare. Eppure è finito nel mirino dei killer: il 30 gennaio 2016 è stato ucciso a colpi di pistola mentre rientrava a casa. E non era stato scelto a caso nemmeno il giorno: esattamente tre anni dopo l'agguato che era costato la vita ad Antonio Minichini e Gennaro Castaldi, di 21 e 19 anni.
Per la morte di Volpicelli gli arresti sono arrivati ieri, 17 giugno, a 10 anni di distanza: misura cautelare per Michele Minichini, detto Tiger, la "pazzignana" Vincenza Maione, e Giulio Ceglie, tutti all'epoca dei fatti inquadrati nel clan Minichini-Schisa di Ponticelli.
L'omicidio di Mario Volpicelli a Ponticelli
Volpicelli era lo zio di Gennaro Volpicelli, indicato come killer del clan De Micco e responsabile dell'omicidio di Antonio Minichini, fratello di Michele "Tiger". Il 53enne era imparentato coi fratelli Sarno perché aveva sposato una delle loro sorelle, ma era estraneo alla criminalità. Quel 30 gennaio, intorno alle 21, i killer entrarono in azione in via Bartolo Longo, nei pressi di una delle entrate del Rione De Gasperi, seguendo la vittima in via Malaparte. Sette colpi d'arma da fuoco, che lo raggiunsero alla testa, al torace, alle gambe.
La vendetta trasversale per la morte di Antonio Minichini
Antonio Minichini è morto all'alba del 30 gennaio 2013, gravemente ferito nell'agguato in cui, poche ore prima, aveva perso la vita Gennaro Castaldi. Fratello di Michele Minichini, Antonio non era inserito in dinamiche criminali. Probabilmente l'obiettivo del killer era l'altro giovane che era con lui.
Secondo il collaboratore di giustizia Eduardo Mammoliti Fiorentino, Michele Minichini sapeva benissimo, come del resto tutti gli altri, che Mario Volpicelli "era una brava persona", ma non si era fatto nessuno scrupolo nel decidere l'omicidio e poi occuparsene in prima persona "perché anche suo fratello Antonio era un bravo ragazzo".
La dinamica dell'agguato
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, quell'omicidio venne deciso da Michele Minichini e Vincenza Maione, insieme a Luisa De Stefano, altra "pazzignana" oggi collaboratrice di giustizia le cui dichiarazioni sono agli atti in questa inchiesta. Qualche giorno prima dell'agguato Minichini, insieme alla Di Stefano e a Ceglie, avrebbe anche fatto un sopralluogo nel negozio "Solo 50 centesimi" di via Bartolo Longo per individuare la vittima, con la scusa di dover fare un acquisto.
La pistola sarebbe stata procurata da Ceglie e fornita dalla Maione a Minichini e Antonio Rivieccio (collaboratore di giustizia dal 2020). Questi ultimi si sarebbero mossi dopo aver ricevuto due squilli per segnalare la presenza della vittima: il primo dalla Maione, il secondo da Ceglie. Avrebbero quindi seguito Volpicelli su uno scooter fino a via Malaparte e lì Minichini, sceso dal mezzo, avrebbe esploso i sette colpi di pistola. Dopo l'omicidio i due killer sarebbero andati a casa di Minichini e avrebbero bruciato i guanti e gli scaldacollo usati durante l'agguato e avrebbero pulito l'Sh con dell'alcol, mentre Ceglie si sarebbe nascosto a casa di Luisa De Stefano.