L’omicidio di Giancarlo Siani: quell’ultimo articolo che fece tremare la camorra

Ventitré settembre 1985, una Citroën Mehari verde si fermò sotto casa in Piazza Leonardo 21B, al Vomero. Al volante, un giovane giornalista di 26 anni, Giancarlo Siani. Non sapeva che quella sera la sua corsa contro la camorra sarebbe giunta al capolinea, interrotta da otto colpi di pistola. Una storia amara, quella di Giancarlo, "abusivo" di un mestiere che amava più della sua stessa vita, ma anche la storia di un'Italia in cui l'informazione era un'arma pericolosa nelle mani di chi non aveva paura di usarla.
Talento emergente di una Napoli buia

Giancarlo Siani nasce a Napoli nel 1959, una città di contrasti e sfumature. Fin dai primi anni, la sua vocazione per il giornalismo emerge con chiarezza, spingendolo verso le periferie, dove il disagio sociale e la disperazione si intrecciano alimentando la criminalità organizzata. Con i suoi primi articoli per "Lavoro nel Sud", e come corrispondente da Torre Annunziata per "Il Mattino", Siani si immerge nelle profondità delle inchieste, denunciando e smascherando le intricate connessioni tra i clan, i loro affari illeciti e i legami sotterranei con il potere. La camorra diventa il fulcro delle sue investigazioni, e lui, con la sua penna affilata, la voce più scomoda. Non era il classico giornalista affermato. Anzi. Era un "abusivo", un collaboratore senza contratto. Eppure, nonostante la precarietà, Giancarlo sognava in grande. In quei giorni il direttore, Pasquale Nonno, aveva pronta la sua lettera d'assunzione. Quella firma, purtroppo, non arrivò mai.
L'articolo che segnò il suo destino

Era il 10 giugno 1985 quando l'articolo "Camorra: gli equilibri del dopo-Gionta" apparve dirompente sulle pagine de "Il Mattino". Quattromila battute di pura verità, in cui Giancarlo, con una lucidità disarmante e un coraggio fuori dal comune, svela l'ipotesi più pericolosa e sconvolgente: l'arresto di Valentino Gionta era in realtà il prezzo, concordato nel sangue, pagato dai Nuvoletta per porre fine a una sanguinosa guerra di camorra. Un giovane giornalista osava rivelare i patti segreti dei clan, denunciare i loro rapporti incestuosi con la politica e persino esporli al discredito pubblico, infrangendo il velo di impunità. Quell'articolo fu la sua condanna a morte. Nell'agosto del 1985, il destino di Giancarlo Siani era tragicamente segnato.
Il silenzio assordante di una sera d'estate

La sera del 23 settembre 1985, la Citroen Mehari verde di Giancarlo Siani faceva a casa, nel quartiere del Vomero, illuminata dalle luci crepuscolari di Napoli. Due killer, senza volto e senza pietà, lo attendevano nell'ombra. «Spara! Spara ’sto bastardo». I sicari aprirono il fuoco con raffiche brutali, colpendolo ripetutamente. Giancarlo chinò la testa verso la spalla sinistra, l’odore di polvere da sparo nell’aria, la vita di un ragazzo di ventisei anni spezzata per sempre. La verità, che Siani aveva perseguito con determinazione incrollabile e passione autentica, gli era costata il bene più prezioso. Un'esecuzione vile, nel buio più profondo, tesa a imporre un silenzio assoluto. Ma quel silenzio fu solo apparente, un'illusione destinata a infrangersi.
Le indagini e i processi: omertà di sangue

Gli esecutori materiali, Armando Del Core e Ciro Cappuccio, due giovani del clan Nuvoletta di Marano. I mandanti, i boss Angelo e Lorenzo Nuvoletta. Saranno i pentiti Salvatore Migliorino, affiliato ai Gionta, e Ferdinando Cataldo, coinvolto nell'omicidio, a fornire una serie di elementi che porteranno fino ai Nuvoletta. Ma l'ordine, quello vero, qualcuno sosterrà che sarebbe arrivato direttamente dalla Sicilia, da Totò Riina. L'omicidio di Giancarlo Siani non fu un gesto impulsivo, ma un'esecuzione pensata, un monito chiaro a chi osava toccare gli interessi della camorra. La faida tra il clan Nuvoletta (alleato dei Corleonesi di Totò Riina) e la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo aveva già mietuto molte vittime. Giancarlo, con la sua penna, era diventato un ostacolo, una "penna scomoda" che documentava nomi e intrecci che l'omertà voleva seppellire: Valentino ed Ernesto Gionta, Lorenzo e Angelo Nuvoletta, Antonio Bardellino.
Una notizia scomoda, anche per il giornale

La notizia della morte di Giancarlo arrivò in redazione a Il Mattino mentre il giornale era in chiusura. Una tragedia che scosse i colleghi. Tre colonne di spalla in prima pagina, anziché l'articolo centrale. La paura era palpabile, tanto che per giorni nessun giornalista firmò i propri pezzi. Il 26 settembre, ai funerali, oltre 2.000 persone resero omaggio a Giancarlo. Il vescovo Antonio Ambrosanio, con parole toccanti, disse che:
"Siani ha scritto l'ultimo articolo con il sangue"
e il ministro dell'Interno, Oscar Luigi Scalfaro, confermò che l'omicidio era "di chiaro stampo camorristico". Un omicidio che stava già lasciando un segno indelebile.
L'eredità di una penna libera

L'Italia degli anni '80 era un Paese segnato dalle violenze, tra gli "anni di piombo" e l'inizio delle stragi di Cosa Nostra. L'omicidio di Giancarlo Siani non fu un caso isolato, ma si aggiunse a una lunga lista di cronisti uccisi per aver toccato gli interessi sbagliati: Peppino Impastato, Mino Pecorelli, Walter Tobagi, e molti altri.
Il 19 settembre di quest'anno Giancarlo Siani avrebbe compiuto sessantasei anni. Sono passati esattamente 40 anni anni da quella sera buia. La sua storia, quella di un cronista "abusivo" ma convinto della missione del giornalismo, risuona ancora oggi come un monito potente.
Nel 2009, il film "Fortapàsc" del regista Marco Risi ha raccontato la vita e la morte di Giancarlo Siani, contribuendo a far conoscere la sua storia a un pubblico più ampio.
La penna di Giancarlo, spezzata troppo presto, è diventata un simbolo di coraggio e integrità, un faro che continua a illuminare la strada di crede nel potere della verità.