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L'omicidio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica

L’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore, raccontato dal figlio Antonio

Antonio Vassallo, 42 anni, ristoratore cilentano, è il figlio di Angelo, il sindaco-pescatore. A 15 anni dal delitto racconta i momenti immediatamente precedenti la tragedia.
A cura di Redazione Napoli
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Angelo Vassallo, il sindaco–pescatore di Pollica, ucciso nel 2010
Angelo Vassallo, il sindaco–pescatore di Pollica, ucciso nel 2010
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Antonio Vassallo aveva 27 anni quando, il 5 settembre 2010, suo padre Angelo Vassallo, pescatore e sindaco di Pollica, perla della costiera del Cilento, fu assassinato in strada. Colpi di scena, arresti, lunghi silenzi. Fatto sta che – ancora oggi – non c'è una verità giudiziaria su questo delitto, mandanti ed esecutori restano ignoti.

In un flusso di coscienza, affidato ai social, l'oggi 42enne ristoratore cilentano, ricorda i momenti immediatamente precedenti e successivi il delitto del genitore. Una cesura totale: dopo quel fatto la vita di Antonio non sarebbe mai più stata la stessa.  «Papà, più volte, mi chiedeva come andasse il ristorante, cosa pensassero le persone, se fossero soddisfatte. Non lo diceva apertamente, ma nei suoi sguardi si leggeva l’orgoglio. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio, ma non immaginavo che ci stavamo avvicinando al giorno più brutto della nostra vita». Così inizia il racconto.

«Passa agosto e, con la partenza dei turisti, l’atmosfera cambia. Cambiano tante cose che, purtroppo, in quel momento non potevo vedere né conoscere. È la prima domenica di settembre, l’ultimo giorno d’estate per molti villeggianti che anche quell’anno avevano scelto Acciaroli come meta delle loro vacanze.
Quella mattina papà va a pesca e mi chiede di andare con lui. Sono troppo stanco: il sabato avevo lavorato molto e preferisco riposare. Al ritorno mi chiama e mi chiede di andare ad aspettarlo. Quando arriva, mi mostra con orgoglio una grossa cernia che ha pescato, quasi a prendermi in giro: "Vedi? Se fossi venuto anche tu, magari avresti avuto questa soddisfazione". Mi chiede di portarla al ristorante e di prepararla per la cena di Lodovico, uno dei suoi amici più cari. Alle 12:05 mi chiama di nuovo per chiedermi il peso del pesce. È la sua ultima telefonata».

La giornata scorre come tante altre. È una serata di fine estate. «Noi – scrive Antonio – credevamo fosse stata un’estate tranquilla, ma solo anni dopo avremmo capito quante insidie avesse nascosto».

Il suo racconto continua: «Quella sera mamma è al lavoro al ristorante di zia Rosa, sul porto. Mancava personale e noi eravamo sempre pronti a dare una mano […] Se fossi andato direttamente a casa percorrendo un’altra strada avrei cambiato i tempi di scoperta della giornata più brutta della nostra vita. Ma invece vado a casa e senza badare a chi c’era e mi metto a dormire.
Nel mezzo della notte arriva una telefonata. È zia Rosa. Per me è come una seconda mamma, non solo per il rapporto speciale che abbiamo, ma anche perché mio padre e mio zio Claudio, suo fratello, avevano sposato due sorelle: mia madre e zia Rosa. Rispondo. "Antonio, vieni subito… c’è stato un incidente."
Mi alzo di scatto. Sono in slip, corro nella stanza di papà per chiamarlo e chiedere aiuto, ma quella volta lui non poteva aiutarmi. La stanza è vuota. Il giornale è ancora aperto sul letto disfatto. Guardo fuori dalla finestra del corridoio che dà sulla collina. Vedo luci blu intermittenti, tante macchine, tanta confusione. Non penso, non mi vesto, corro. A piedi nudi, su una strada di campagna piena di pietre. Ma non sento nulla. L’unica cosa che mi attraversa la mente è la necessità di arrivare.
Ancora non sapevo chi fosse coinvolto nell’incidente. Quando arrivo, tra la folla, vedo l’auto di papà sul bordo della strada. La prima persona che mi parla è mia madre.
È seduta su un muretto di cemento, il viso sconvolto.
"Hanno ucciso papà."
Alzo lo sguardo. Le luci blu dei lampeggianti illuminano a intermittenza l’interno della macchina. Papà è lì, con la testa chinata sul lato destro.
Mi avvicino alla macchina. Poi mi giro. Capisco che l’unica cosa che posso fare in quel momento è stare accanto a mamma.
La abbraccio. Un abbraccio lunghissimo.
Resto con lei, senza dire una parola. Insieme, viviamo la notte più brutta della nostra vita».

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