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La storia del bambino venduto al boss di camorra: al via il processo d’Appello

Il processo d’Appello riguarda il boss Ciro Rinaldi, assolto in primo grado dall’accusa di aver comprato un bambino per “donarlo” a un affiliato al clan che, invece, insieme alla moglie e alla madre biologica del piccolo, è già stato condannato. Durante il dibattimento è stato chiesto di ascoltare due collaboratori di giustizia.
A cura di Valerio Papadia
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È cominciato il processo d'Appello per il boss Ciro Rinaldi, accusato di aver comprato, per 10mila euro, un bambino di origine rom, per "donarlo" a uno storico affiliato del clan che opera nella zona Est di Napoli. Mentre l'affiliato e la moglie, insieme alla mamma del bambino, sono stati tutti condannati in primo grado, il boss Ciro Rinaldi – attualmente detenuto al 41 bis per duplice omicidio – è invece stato assolto. Il procedimento d'Appello si è aperto con la richiesta, da parte dei magistrati, di ascoltare nuovamente due collaboratori di giustizia, sulla base delle cui dichiarazioni l'accusa portò a processo Rinaldi e la coppia a cui sarebbe stato "regalato" il bambino.

Il boss Rinaldi assolto dalle accuse in primo grado

Il processo di primo grado, che si era celebrato con rito abbreviato, si è concluso con le condanne dell'affiliato al clan e della moglie, nonché della madre naturale del bambino, con l'accusa di alterazione di Stato: i tre sono stati ritenuti colpevoli di aver alterato i documenti del bambino. Ciro Rinaldi, invece, venne assolto dalla V Sezione Penale del Tribunale di Napoli e il gup non riconobbe l'aggravante camorristica, nonostante il sostituto procuratore avesse chiesto una condanna a 12 anni per il boss. Dopo l'assoluzione, la Procura di Napoli ha deciso di ricorrere in Appello, procedimento che è ora alle sue battute iniziali.

La storia del bimbo venduto alla camorra

Gli inquirenti credono che l'affiliato al clan Rinaldi e la moglie abbiano comprato il bambino dalla madre biologica grazie a 10mila euro messi a disposizione dal boss, sulla scorta delle dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia che hanno dato il via al procedimento giudiziario. Il bimbo è stato cresciuto effettivamente dalla coppia ma, come ha stabilito anche la sentenza di primo grado nei loro confronti, i suoi documenti sono stati falsificati anche con la complicità della madre biologica.

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