
Il Comune di Napoli ha realizzato una nuova unità di emergenza sociale a supporto dei senza fissa dimora, ovvero di coloro che non hanno un tetto sotto il quale vivere. L'iniziativa, illustrata dalla giunta di Gaetano Manfredi, parla di personale «presente in strada sette giorni su sette per otto ore al giorno», supportato, quando necessario, dalla Polizia Municipale, ovvero dall'unità specializzata in azioni e interventi di natura sociale.
C'è un problema, enorme. E riguarda il nome di questa neonata iniziativa comunale. Si chiamerà «Unità Decoro». Decoro, lo dice il dizionario etimologico, è ciò che riguarda la «Dignità che nell’aspetto, nei modi, nell'agire, ciò che è conveniente alla condizione sociale di una persona». Usarla per esseri umani che per scelte diversissime l'uno dall'altro, spesso dolorose, di povertà estrema, disagio mentale e sociale, sono finite letteralmente in mezzo ad una strada, non è rispettoso della storia di una città inclusiva come Napoli.
Se una iniziativa del genere, definita «di contrasto e alla prevenzione dell’homelessness» (e come fanno a impedirlo? Sarebbe importante saperlo) viene definita «di decoro» è davvero imbarazzante per l'Amministrazione di una grande città del Sud Italia spesso definita di inclusione e tolleranza. Usare il termine decoro in questo contesto equivale a definire degrado degli esseri umani.
Ironia della sorte, questa iniziativa viene annunciata a ridosso della Nona Giornata Mondiale dei Poveri, in programma domenica 16 novembre 2025, durante la quale, Caritas Napoli e i padri Carmelitani hanno organizzato un pranzo di comunità con il Cardinale don Mimmo Battaglia, alla mensa del Carmine.
Che farà, il Comune di Napoli? Manderà i tutori del decoro a sorvegliare?
Vale la pena sottolineare l'opinione di Padre Carmelo Raco, responsabile Binario della Solidarietà della Caritas Napoli, uno che la povertà la tocca (nel senso bergogliano del termine) ogni giorno: «La Chiesa di Napoli attraverso le strutture operative della Caritas Diocesana esprime profondo compiacimento per ogni iniziativa che miri a sostenere e assistere le persone in condizioni di estrema marginalità, inclusi i fratelli e le sorelle senza dimora che popolano le nostre strade». «Per questo motivo – conclude Padre Raco – riteniamo necessario richiamare l'attenzione sul linguaggio utilizzato e sul fatto che la fragilità e l'emarginazione delle persone non vengano in alcun modo fraintese o ricondotte a un mero aspetto di "decoro urbano". Le parole fanno cultura e possono contribuire in modo sostanziale alla stigmatizzazione, o al contrario, alla promozione della dignità delle persone».