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Giovanni Sarno ucciso nel suo letto per vendetta contro i fratelli ex boss pentiti: caso risolto dopo 10 anni

Dopo 10 anni ricostruito l’omicidio di Giovanni Sarno: sarebbe stato ucciso dai Minichini-Schisa perché i fratelli, ex boss di Ponticelli, avevano testimoniato nei processi contro il clan.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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Giovanni Sarno, ucciso nella sua abitazione di Ponticelli nel 2016, finì nel mirino dei killer soltanto perché era fratello degli ex boss pentiti di Ponticelli: estraneo alla camorra, con problemi di alcolismo, invalido e indigente, fu vittima di una vendetta trasversale contro i familiari, che avevano deposto al processo che ha portato alla condanna all'ergastolo per Roberto Schisa. Ricostruzione degli inquirenti, che ha portato alle misure cautelari nei confronti di sei persone, tutte all'epoca ritenute inquadrate nel clan Minichini-Schisa di Ponticelli, legato al clan Rinaldi.

Risolti tre omicidi di camorra a Ponticelli

L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, arrivata al termine delle indagini svolte dalla Polizia di Stato, è stata eseguita il 17 giugno. Tra i destinatari, i presunti responsabili di tre omicidi: quelli di Mario Volpicelli e Giovanni Sarno, entrambe vendette trasversali, e quello di Salvatore D'Orsi, ritenuto legato al clan De Micco, quindi al gruppo di camorra rivale dei Minichini-Schisa.

Giovanni Sarno, 54 anni, venne ucciso tra il 5 e il 6 marzo 2016: data incerta, perché il corpo venne rinvenuto soltanto parecchie ore dopo, a cavallo della mezzanotte tra il 6 e il 7 marzo. Destinatari di misura per questo omicidio sono Michele Minichini, Vincenza Maione, Ciro Contini, Gabriella Onesto, Mariarca Boccia e Giulio Ceglie.

L'omicidio di Giovanni Sarno

La decisione di uccidere Giovanni Sarno sarebbe stata presa dai sei per vendetta trasversale nei confronti dei fratelli, Ciro Sarno, detto ‘o Sindaco, Carmine Sarno, detto Topolino, Giuseppe Sarno, detto Peppe ‘o Mussillo, Luciano Sarno, Pasquale Sarno e Vincenzo Sarno, tutti diventati collaboratori di giustizia; gli ex boss di Ponticelli avevano accusato Roberto Schisa, marito di Luisa De Stefano, come autore dell'omicidio del fratello, Giuseppe Schisa.

A commettere materialmente l'omicidio sarebbero stati i tre uomini. Avrebbero raggiunto in auto l'abitazione della vittima, in via De Meis, nel rione De Gasperi. Contini (nipote del boss Edoardo Contini ‘o Romano e in quel periodo latitante) sarebbe entrato in casa e avrebbe sparato a Sarno mentre era nel suo letto, colpendolo al fianco destro e alla testa.

Mariarca Boccia avrebbe fatto da supporto: nei giorni precedenti avrebbe avvertito gli altri che Sarno aveva l'abitudine di lasciare la porta di casa aperta e, il giorno dell'omicidio, avrebbe avvertito i killer segnalando che in quel momento non c'erano persone in giro; infine, durante l'agguato, avrebbe aspettato all'esterno del "basso" insieme a Vincenza Maione.

"Va' a vedere tuo fratello"

A raccontare i retroscena è Luisa De Stefano, oggi collaboratrice di giustizia ma all'epoca nel gruppo delle "pazzignane" con Vincenza Maione e Gabriella Onesto. La De Stefano sostiene di non avere "chiesto il permesso" a Ciro Rinaldi, boss dell'omonimo clan, in quanto quell'omicidio sarebbe stato fatto a Ponticelli, quindi nel proprio quartiere.

Avrebbe detto al figlio, Tommaso Schisa (anche lui oggi collaboratore) di non andare quel giorno a Ponticelli, per evitare che fosse coinvolto. L'omicidio non venne scoperto subito. Il giorno dopo, racconta ancora la De Stefano, "visto che la polizia non arrivava", si decise di avvisare i familiari.

Una donna, mai identificata (secondo la collaboratrice fu Gabriella Onesto) citofonò a Consiglia Sarno, detta "Zezella", sorella della vittima, e la invitò a controllare se fosse accaduto qualcosa al fratello. Consiglia Sarno andò sul posto insieme alla sorella Rita e trovò il cadavere del fratello, che non vedevano dal giorno precedente, il 4 marzo 2016.

La pistola calibro 357 magnum

Secondo il collaboratore Tommaso Schisa la pistola utilizzata sarebbe stata un revolver calibro 357 magnum, lo stesso usato poco più di un mese prima per uccidere Mario Volpicelli e che sarebbe poi servito anche per l'agguato a Raffaele Cepparulo, il 7 giugno 2016, nel quale venne ucciso anche l'innocente Ciro Colonna; subito dopo l'omicidio del boss dei "Barbudos" l'arma sarebbe stata tagliata con un flex in piccoli pezzi e buttata.

Gli esami balistici, viene riportato nell'ordinanza, hanno permesso di appurare che per gli omicidi di Volpicelli e di Cepparulo è stata effettivamente usata la stessa arma, mentre per quanto riguarda quello di Giovanni Sarno il calibro è compatibile ma non c'è certezza che si tratti della stessa pistola.

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