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Emergenza lavoro

Da Napoli a Milano. La ricerca di un lavoro ha mangiato i miei sogni e mi ha sputata

La lettera in cui Roberta racconta a Fanpage.it le sue delusioni nel mondo del lavoro: “Vorrei con tutto il cuore trasformare questa rabbia e questa disperazione in qualcosa di positivo. Ma come si fa?”
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Fra le numerose lettere su lavoro ed emigrazione da Napoli giunte a Fanpage.it, quella di Roberta, napoletana emigrata al Nord e poi ritornata all'ombra del Vesuvio, colpisce non solo per la lucidità della sua analisi, appassionata ma senza retorica, ma anche perché abbraccia esperienze in molti ambiti, da quello dello spettacolo a quello della creazione di contenuti editoriali fino alle ultime esperienze, banca e azienda privata, piuttosto frustranti.

La lettera, come le tante già pubblicate dal nostro giornale, si inscrive in quell'emergenza lavoro solo parzialmente attutita da certi paracaduti sociali e nella disparità fra tempo e competenze richieste e compenso offerto.  Ecco dunque la lettera di Roberta:

Da bambina ero piena di sogni. Uno su tutti mi ha portato a sacrificare parte della mia adolescenza per questo. Volevo fare la cantante. A 11 anni ho chiesto ai miei genitori di iscrivermi ad un corso di canto e ho continuato a coltivare quel sogno per anni.

Spettacoli, provini e lo scontro con la realtà: nessuno ti regala niente. Innamorata della musica però, scelgo di non arrendermi e decido caparbiamente che in quel mondo ci avrei lavorato. Ancora piena di sogni e di speranze mi iscrivo all’università.

Letteratura, musica e spettacolo alla La Sapienza di Roma. I miei anni di università sono stati scanditi dalla sveglia alle 4 del mattino perché per scelta, ho preferito fare da pendolare. Mi alzavo, andavo alla stazione di piazza Garibaldi e prendevo il treno che mi portava a Roma.

Mi immaginavo che un giorno avrei vissuto lì o forse a Londra. Intanto facevo dei piccoli lavori per pagare le mie spese e avevo iniziato tra i tanti impieghi che ho svolto in quel periodo, a scrivere senza alcuna retribuzione per un magazine online. Mi piaceva e mi piace tanto scrivere ma sono fermamente convinta che il lavoro vada pagato. Nonostante questo però continuo, vado ad eventi pagando i viaggi di tasca mia e faccio esperienze onestamente arricchenti e irripetibili.

Ma nella mia mente qualcosa era scattato : volevo assolutamente fare un master post laurea a Milano. Uno dei meriti che mi riconosco è la caparbietà: se dico una cosa la faccio. Così mi laureo con un ottimo voto e dopo un anno mi trasferisco a Milano. Master in editoria e produzione musicale allo Iulm. Una doccia fredda.

La vita a Milano non è come l’avevo immaginata, le spese mi soffocano e alla fine del master mi rendo conto che quei sogni che avevo tanto perseguito, per cui avevo lasciato una terra che amavo tanto, sarebbero rimasti solo sogni. Intanto il mio compagno a Milano trova una sua stabilità e così decido di sacrificare i miei studi, i miei progetti in nome dello stipendio fisso.

Invio così un curriculum per lavorare come addetta alle vendite in una grossa multinazionale del retail. Lavoro lì per 3 anni e nonostante la mia totale inesperienza nel settore, riesco a cavarmela piuttosto bene al punto che mi propongono un posto da manager.

Vedo in questa opportunità un riscatto e anche se non era proprio il mio sogno, accetto. Peccato che ci ha pensato il Covid a mettere la parola fine a tutto. La mia ex azienda infatti decide di non rinnovare i contratti in scadenza e i miei progetti si infrangono di nuovo. Sono rimasta comunque a Milano accanto al mio compagno e da lì è stato un crescendo di disagio ed ansia.

Ho percepito la Naspi per un anno e mezzo e non mi sono mai sentita così frustrata, fallita e priva di prospettive. Ho iniziato ad incolpare me stessa e mi sono convinta di aver fatto solo scelte sbagliate. Dopo un anno e mezzo trovo un altro lavoro.

Reception all’università. Da subito mi rendo conto che qualcosa non va. Turni da 12 ore, angherie e soprusi di ogni genere. Ricordo un giorno in particolare in cui mi è stato impedito di andare in bagno. Inizio presto a guardarmi intorno perché non potevo assolutamente lavorare in un contesto così tossico e finalmente sembra che la fortuna inizi nuovamente a girare dalla mia parte.

Vengo contattata per lavorare nel comparto HR (risorse umane ndr.) di una banca. Contratto co.co.co. di 6 mesi. All’inizio l’esperienza mi sembra positiva e sfidante fino a quando non capisco che il mio capo, non ha alcuna intenzione di formarmi e in alcun modo.

Il mio turno iniziava alle 8.30 e non finivo di lavorare mai prima delle 17.30. Nonostante questo però, il mio capo era convinto che non dedicassi abbastanza tempo al lavoro e non mancava mai di farmelo notare. A giugno 2022 la mia esperienza in banca termina e stremata prendo con il mio compagno diventato ormai marito, la decisione di tornare a Napoli. Ormai anche nel suo settore le cose non andavano bene.

Troviamo entrambi un nuovo lavoro, potrebbe essere una storia a lieto fine ma non lo è. L’azienda in cui lavoro ha turni massacranti, vengo spesso trattata con sufficienza e in questi 15 giorni di lavoro, ho fatto più caffè che altro. In tutto questo mi sono ritrovata a combattere con lo spettro del lavoro a nero. In questo momento non so davvero definire il modo in cui mi sento.

Avverto nuovamente quel senso di frustrazione e fallimento, mi sento come se fosse colpa mia e sopratutto non vedo via d’uscita. La mancanza di prospettive è ormai il mio pane quotidiano e sono arrivata a pensare che non sarò mai felice e realizzata.

Milano ha mangiato i miei sogni, ha masticato me e mi ha sputata. Ho cercato di non perdere il sorriso ma non ce l’ho fatta. Ogni tanto mi chiedo come uscirò da questa situazione e ho tanta paura di non farcela.

Nessuno dovrebbe vivere così.

Spesso mi sono detta delle cose orribili:
– sei una fallita
– sei la preoccupazione di chi ti sta intorno
– fai pena perché sei la figlia sfortunata
– tutte le cose brutte che ti sono successe derivano dalle tue scelte sbagliate
– dovevi scegliere studi diversi invece di sognare visto che non sai stata in grado di portare a termine nulla
– ora non devi piangere perché è colpa tua

Vorrei con tutto il cuore trasformare questa rabbia e questa disperazione in qualcosa di positivo. Ma come si fa?

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