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Covid 19

Cosa succederà in Campania con lockdown di De Luca, zona rossa a Napoli, Dpcm e scontri

Per la gestione Covid in Campania sono ore cruciali: i contagi aumentano, è saltato per ora il lockdown chiesto da Vincenzo De Luca e si va verso una zona rossa nelle aree più a rischio. Intanto le proteste non si fermano e il rischio di infiltrazioni della camorra è evidente. Il presidente della Regione fa muro contro muro col Governo Conte e la cosa non è affatto positiva.
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Il lockdown in Campania è saltato. Ieri, sabato 24 ottobre, durante la riunione Stato-Regioni con ministri e governatori, il presidente della Regione Vincenzo De Luca ha compreso suo malgrado che, pur se la legge glielo consente, non ci sono i presupposti tecnici per avviare la chiusura totale e indiscriminata 24 ore su 24 di attività e dei collegamenti interni e interregionali della Campania. «Senza misure di ristoro non possiamo decidere il lockdown» ha detto. I motivi sono in verità più articolati e non solo tecnici, anche politici. Il penultimo  Dpcm firmato da Giuseppe Conte consente alle Regioni possibilità di provvedimenti draconiani (chiusure e blocchi) però «sentito il governo». Venerdì, durante la sua diretta video Facebook settimanale, De Luca ha annunciato coram populo una richiesta di lockdown totale, producendo uno strappo nel percorso istituzionale con Palazzo Chigi proprio nelle ore in cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella auspicava coesione politica in Italia sulle azioni da porre in essere per fermare la nuova ondata di Coronavirus.

Schiaffo incassato, i Palazzi romani hanno risposto come sempre in questi casi: al momento del dunque, De Luca si è trovato isolato nelle sue posizioni. La pandemia aggredisce è vero, ma al momento – è la sintesi della posizione dell'esecutivo Conte – provvedimenti di chiusura non nazionali implicherebbero un tale impegno circa le normative da varare, un tale sforzo di uomini e mezzi da spedire in Campania per controllare i soli suoi confini e non di meno un tale stress per cittadini di una regione sostanzialmente povera e ad altissimo tasso di precariato e disoccupazione, da rendere il lockdown candidato alla sconfitta e scintilla per una rivolta sociale. Meglio limitare orari serali e circolazione nelle zone dei maggior contagi (è il senso dell'ultimo decreto).

Cosa succede oggi con lockdown e Zona rossa

Anche se fonti della Regione Campania fanno sapere di avere "quasi pronta" l'ordinanza lockdown, oggi quel testo vale meno della carta su cui è scritto. Obtorto collo De Luca dovrà rimangiarsi il lockdown totale per ripiegare su un provvedimento calibrato, meno orizzontale e soprattutto più mediato con le forze di governo nazionali. Dunque l'ipotesi è una zona rossa nelle zone critiche di Napoli e provincia (e forse non solo provincia di Napoli).

Cos'è una zona rossa ormai lo sappiamo: è una chiusura limitata di un'area circoscritta dove viene avviato anche uno screening di massa (tamponi Covid) alla popolazione. Accade già ad Arzano, popoloso centro del Napoletano, da stanotte anche a Marcianise, in provincia di Caserta. L'ordinanza sulla zona rossa è molto delicata: quali aree prendere in considerazione? Quali i criteri? E i controlli? Per ora è certo che non riaprono le scuole, per ora è certo che resta attivo il provvedimento di coprifuoco. Ma per quanto ancora?  E cosa ci attende?  «Quante vicende/  tante domande», direbbe il lettore operaio di Bertolt Brecht.

La situazione Covid-19 in Campania

La pandemia morde Napoli e la Campania. Abbiamo scollinato i mille contagi al giorno , i posti letto nelle terapie intensive e di degenza ordinaria scarseggiano. Ancvhe con la mascherina obbligatoria i contagi sono saliti, stanno salendo anche col blocco della movida notturna. Dicono gli esperti che occorre attendere e continuare con le misure di distanziamento sociale. L'interrogativo è uno e uno soltanto: cosa è stato fatto da maggio ad oggi in Campania? Per trovarci con le stesse carenze sanitarie (gli ospedali , i rianimatori, i medici) e di indagine epidemiologica (i tamponi sempre pochi)  cosa è stato fatto?  Medici, primari, infermieri, sono quasi tutti concordi con una sola parola: nulla.

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L'ossessione mediatica di De Luca

De Luca è preoccupato di rispondere sulla vicenda della gestione Covid solo ai commentatori nazionali. Sappiamo ad esempio che giorni fa ha telefonato a Massimo Giannini (mentre il direttore de La Stampa era peraltro in ospedale proprio a causa del Covid-19) per lamentarsi di alcune ‘letture' sulla Campania; ieri in piena bufera istituzionale si premurato di rispondere a mezzo social all'editorialista del Corriere della Sera Massimo Gramellini; stasera sarà in tv nel talk show di Fabio Fazio Che tempo che fa per parlare della pandemia.

De Luca da mesi non tiene più una conferenza stampa, spesso le sue visite agli ospedali non sono annunciate ai giornalisti per paura di domande a margine; più volte l'Ordine dei Giornalisti ha richiamato il governatore al rispetto del lavoro dei cronisti, appello caduto nel vuoto. È saltato un elemento della democrazia.

De Luca alimenta e si nutre della polarizzazione, del muro contro muro da quando era il sindaco-sceriffo di Salerno. Il suo è un limite umano e politico. È la ragione per cui non ha mai fatto il grande salto verso Roma e quando ha avuto incarichi di governo ha semplicemente litigato con tutti.  Un mese fa, appena un mese fa, egli ha stravinto le elezioni in Campania col 70%. Cosa accadrebbe oggi?

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Chi c'è dietro le manifestazioni a Napoli

Già, la rivolta sociale: da venerdì sera a Napoli si susseguono proteste sfociate anche in violenti sconti in due casi, sotto Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale della Campania e sotto l'Unione degli industriali. Per la tipologia di mobilitazione – non verticistica e  fortemente eterogenea – si tratta di mobilitazioni molto difficili da prevedere per le forze dell'ordine che rischierebbero di dover correre a destra e sinistra per arginare focolai, stavolta non di Covid ma di rivolta sociale. Napoli nelle proteste di venerdì si è fatta trovare clamorosamente impreparata sul fronte dell'ordine pubblico: è stata sottovalutata la portata della mobilitazione in programma la sera del primo coprifuoco regionale alle ore 23

La platea delle mobilitazioni è variegata: c'è quella grande zona grigia di fattorini, ragazzi dei bar e camerieri che se non lavorano non guadagnano quegli 80-120 euro a settimana fondamentali per la loro sopravvivenza. Con loro i titolari di bar, gastronomie, mense, ristorantini, minimarket,  ma anche professionisti della protesta che a loro volta si dividono in due ‘rami', quelli che hanno imparato ad affrontare la polizia allo stadio, dietro gli striscioni degli ultras e quelli che invece conoscono il cordone di polizia perché hanno preso parte alle manifestazioni antagoniste (la parte di sinistra che è scesa in piazza è minimale ed è soprattutto quella anti-De Luca dei centri sociali) e quelli di estrema destra (Forza Nuova ha tentato di rivendicare le proteste a Napoli ma non ha la forza per portare più di 15 persone in strada nel capoluogo partenopeo).

Come sempre in questi casi non è saggio etichettare una intera piazza: il richiamo alla protesta è mosso dai social, quindi da propulsori di legami deboli che prendono forza solo nella polarizzazione uno-contro-l'altro in un clima di emergenza e stress sociale.  In questo la pandemia è  la trappola perfetta: basta sfogliare un libro di storia per capirlo. A  ciò che fu occorre aggiungere il ruolo dei social, capaci di raggiungere chiunque e ovunque. E mica in modo segreto, con chissà quale artifizio: la chiamata alla piazza è perfino su Tik tok, il social del giovanissimi.

La camorra pilota le proteste di Napoli?

Eccola qui, la domanda delle domande. Si può permettere di affermare semplicemente "sì, è stata la camorra" soltanto chi ha una carta d'identità che riporta "nato a Castelpusterlengo" oppure soltanto chi di recente ha fatto overdose di puntate di "Gomorra".

La camorra, intesa come organizzazione criminale verticistica e monolitica, non esiste più da tempo. Lo dicono le indagini, lo dicono gli inquirenti dell'Antimafia, lo dicono i Servizi di intelligence italiani, l'Aisi.

Parliamo di gang, cioè di sodalizi che controllano vicoli o parti di rioni e quartieri, con alleanze deboli che spesso sfociano in faide. Ciò è ancora più pericoloso perché significa che questa dinamica di appoggio malavitoso rischia anche di sfuggire alle indagini perché si annida – proprio come il virus e di tale si tratta –  negli interstizi della città.  Sicuramente alla protesta di venerdì sera a Napoli in zona Santa Lucia hanno preso parte elementi riconosciuti come borderline o facenti parte di sodalizi malavitosi delle zone Pallonetto e Santa Lucia ma non solo.

Sia chiaro: non c'è stato alcun ordine al vertice della ‘mala', quella è roba da film. Possiamo tuttavia affermare che una parte di pregiudicati e personaggi nient'affatto raccomandabili è scesa in piazza ed è andata allo scontro con le forze dell'ordine. Perché? Perché chiudere una città anche per la camorra significa non fare affari, perché lo spaccio di droga trae vantaggio dal caos dei vicoli, non dalla solitudine che rende evidente  ogni movimento. Perché senza gente in strada si fermano scippi e rapine e anche le estorsioni ai negozi. La camorra è una azienda che fa i soldi, mica proteste ideologiche.

Sbaglieremmo tuttavia a bollare tutto come camorra: finiremmo per etichettare la vicenda come "di ordine pubblico" quando è soprattutto sociale, finiremmo per togliere responsabilità alla politica che invece nella gestione dell'emergenza Covid di responsabilità ne ha, tantissima.  E Vincenzo De Luca prima o poi sarà chiamato a risponderne.

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