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È morto Raffaele Cutolo

Ciro Paglia, il giornalista che sfidò Raffaele Cutolo con un pezzo in prima pagina

Negli anni Ottanta Raffaele Cutolo dominava ancora la scena criminale napoletana comandando il suo clan dalla cella. E proprio in quel periodo un giornalista decise di pubblicare, sull’allora più letto giornale della città, un editoriale in cui il boss della Nco veniva messo sotto accusa: “Cutolo ed i suoi compari devono sapere che di fronte ai sistemi di camorra c’è una sola scelta da compiere. Essere contro”. Quel giornalista si chiamava Ciro Paglia.
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Il titolo del pezzo pubblicato domenica 26 ottobre 1980 sul Mattino di Napoli, all'epoca il più letto giornale del Sud Italia, era: «Imputato Cutolo Raffaele, ora basta». Sessanta righe dense e pesanti come piombo fuso ‘chiuse' in prima pagina. Una severa accusa non solo al boss della Nco – che dal carcere continuava a impartire ordini, disporre di uomini e commissionare omicidi – ma anche a magistrati e forze dell'ordine: basta incertezze, colpire duramente la criminalità organizzata. L'autore era Ciro Paglia, giornalista e poi leggendario capo cronaca del Mattino, morto nel 2013.

Due anni dopo Cutolo sarebbe stato rinchiuso in isolamento totale all'Asinara per volontà del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ma all'epoca di quell'articolo il capo della Nuova Camorra Organizzata era ancora potentissimo. Fu coraggioso scriverlo e pubblicarlo, quel pezzo, sapendo che a sgarrare con don Raffaele si rischiava la vita. Per questo motivo – aver ‘sfidato' il boss – a Ciro Paglia fu infatti assegnata per lungo tempo (3 anni di scorta) una scorta, conseguenza di una lettera di replica di Cutolo direttamente dal carcere di Poggioreale, ricca di minacce velate e meno velate a lui e ai suoi familiari.

Ora basta.
La magistratura faccia la magistratura, la polizia faccia la polizia, la direzione del carcere faccia la direzione del carcere.
Di fronte al signor Cutolo Raffaele, di professione pregiudicato, in arte sceneggiatore di storie camorristiche (con tanto di abbracci, baci e ossequi da parte di un certo mondo «insospettabile») le cosiddette «istituzioni dello Stato» sembrano incerte, contraddittorie, per non dire riluttanti.
Quel che è accaduto e quel che sta accadendo da quando è cominciato il processo all'uomo che viene definito il capo della nuova camorra rasenta l'incredibile. Ricorda storie d'altri tempi, storie della vecchia camorra quella dei Cuocolo e degli Abbatemaggio, storie di trame subdole ed oscure tra malavita e organismi dello Stato. Il processo a Raffaele Cutolo – lo dice la cronaca di ogni udienza – è sempre meno un processo ed è sempre più una rappresentazione teatrale con guitti d'avanspettacolo.
Quindici giorni fa «Il Mattino» denunciò il clima di queste udienze. Il giorno successivo «don» Raffaele Cutolo redarguì il magistrato. «Ora fate il duro, dopo aver letto il Mattino».
Ieri l'altro tutta la città di Castellammare è scesa in piazza contro la camorra all'Italcantieri. Ed al processo il presidente del tribunale ha interrogato Cutolo su questa vicenda. «Io non c'entro – ha risposto il boss – non mi sono mai schierato contro gli operai».

A distanza di poche ore la casa di chi la polizia doveva proteggere dalla camorra – la casa cioè del presidente che sta conducendo, sia pure con «delicatezza» il processo a Cutolo – è stata presa di mira da un «compare» della camorra: hanno fatto scoppiare un ordigno sotto quel portone. Un avvertimento. Raffaele Cutolo ci ha scritto dal carcere. Una raccomandata-espresso uscita chissà come (su cosa vigila la direzione del penitenziario?) da Poggioreale. Solite storie: oscure minacce e il «perdono» del boss per quanto avevamo scritto sul giornale. Al collega Mino Jouakim, che per «Il Mattino» segue il processo, Cutolo ha detto di essere stato generoso. «Avrei potuto mandare due operai miei…».

Quel che non hanno capito magistrati, politica, direzione del carcere è la grande lezione che proprio in questi giorni Napoli e la sua provincia stanno dando a tutti noi: una lezione di civiltà e di coraggio. Basta con la paura. Castellammare ieri l'altro s'è fermata per opporsi ai taglieggiamenti che minacciano la vita dei suoi cantieri. Tra una decina di giorni i commercianti di Napoli scenderanno in piazza contro gli estorsori: per la prima volta in Italia una grande metropoli lancia la sfida contro la delinquenza.

Una sfida che deve far riflettere: dopo aver subito in silenzio il ricatto degli estorsori, dopo aver assistito senza reagire alle spavalderie di questi delinquenti che vogliono imporre le leggi della nuova camorra, la città risponde. Risponde con fermezza. Con la sicurezza di chi sa che deve mobilitarsi se vuole che la nuova criminalità organizzata non stringa le sue mani su Napoli per ricavarne tangenti che andranno a finanziarie altre imprese di malavita. Di fronte a questa lezione gli organi dello Stato sono chiamati a tradurre nei fatti le affermazioni di principio.
Ciascuno faccia il proprio dovere. Senza esitazioni, senza colpevoli inerzie, senza paura. Raffaele Cutolo e il mondo che lui rappresenta devono sapere che le sceneggiate e gli «avvertimenti» non disorientano né magistrati, né poliziotti, né funzionari dello Stato.
Né giornalisti.
Cutolo ed i suoi «compari» devono sapere che di fronte ai sistemi di camorra c'è una sola scelta da compiere. Essere contro. I Cutolo possono parlare di perdono. Noi, la società civile, no. Per noi conta una sola legge, quella dello Stato. Pretendiamo che essa sia applicata. Contro tutti. A cominciare dai Cutolo e dai suoi «compari».

Ciro Paglia

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