Armi nascoste nei congelatori e fiumi di droga: il tesoro del clan Mazzarella che ha portato agli arresti a Napoli

Hanno ricostruito la struttura e il modus operandi del clan Mazzarella le indagini della Polizia di Stato che, all'alba di oggi, giovedì 10 luglio, nel centro di Napoli, hanno portato all'esecuzione di 25 misure cautelari: 18 persone sono finite in carcere, 2 agli arresti domiciliari, mentre per altre 5 è scattato il divieto di dimora a Napoli. In particolare le indagini, svolte dalla Squadra Mobile tra il 2022 e il 2023 sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia partenopea, si sono concentrate sulle tre ramificazioni di quella che gli inquirenti chiamano "confederazione Mazzarella": quella guidata dalle famiglie Barattolo e Galiero nel cosiddetto "Connolo", il Rione Sant'Alfonso; quella guidata dalla famiglia Buonerba a Forcella; quella guidata dalla famiglia Nunziata a Poggioreale.
Nel corso delle indagini, che come detto sono andate avanti tra il 2022 e il 2023, i poliziotti della Mobile hanno sequestrato numerose armi nella disponibilità degli indagati: come testimoniano i video girati dalla polizia durante le operazioni, fucili a canne mozze, ma soprattutto pistole, sono state rinvenute nascoste in congelatori oppure in intercapedini ricavate nei muri.

Non sono mancati, poi, i sequestri di droga, in particolare cocaina, hashish e marijuana. Il clan Mazzarella, secondo gli inquirenti, avrebbe controllato il traffico e la vendita al dettaglio della sostanza stupefacente attraverso una capillare filiera di approvvigionamento delle piazze di spaccio presenti nel territorio di sua competenza. La vendita veniva poi effettuata sia al dettaglio, sia in modalità "delivery", ovvero effettuata a domicilio su commissione telefonica. Nel corso delle indagini, un autolavaggio è stato individuato dagli inquirenti come base logistica per stabilire contatti con gli acquirenti e per la conseguente vendita.
Infine, un altro elemento importante dal punto di vista investigativo è stato quello rappresentato dalla gestione della cassa comune del clan. Il reggente, infatti, avrebbe gestito i proventi derivanti dalle attività illecite portate avanti dai vari gruppi associati – in particolar modo lo spaccio di droga – e li avrebbe utilizzati, in parte, per il mantenimento degli affiliati in carcere e delle loro famiglie.