Vandalizzata la panchina rossa dedicata a Valeria Bufo, la sindaca di Seveso: “È un attacco a tutte le vittime di femminicidio”

Vandali in azione a Seveso. La panchina rossa posizionata in centro al paese è stata vandalizzata con scritte nere sfregiando così il simbolo della lotta alla violenze sulle donne. A postare la foto sui social è la sindaca del paese in provincia di Monza e Brianza, Alessia Borroni.
"A poco più di 24 ore dalla Gionata del 25 novembre – scrive la sindaca – è stato compiuto un atto di vigliaccheria alla panchina rossa, simbolo delle donne vittime di violenza. Come Sindaco, ma soprattutto come donna sono indignata e senza parole".
E poi ha aggiunto: "Un evidente attacco non solo a tutte le vittime, ma a tutte le istituzioni, forze dell’ordine, scuole e famiglie che ogni giorno combattono contro ogni tipo di violenza. Sostituiremo la targa il prima possibile e invito chiunque abbia informazioni sui responsabili a rivolgersi alla nostra Polizia Locale".
La panchina rossa di Seveso
La panchina era stata inaugurata tre anni fa alla presenza dei figli di Valeria Bufo, la sevesina uccisa a colpi di pistola dal marito mentre era ferma con la sua auto a un semaforo di Bovisio Masciago.
Valeria era vittima di maltrattamenti e minacce: aveva trovato il coraggio di andare dai carabinieri e di denunciare tutto. Aveva trovato il coraggio di andare via di casa e chiedere ospitalità alla sorella. Ma non è bastato.
Valeria è stata l'ennesima vittima di femminicidio in Lombardia. Giorgio Truzzi, il marito, è stato condannato in via definitiva a 30 anni di carcere. Il giudice lo ha anche condannato a pagare una provvisionale sul risarcimento dei danni di 300mila euro a ciascuno dei tre figli.
I figli, Alessandro, Stefano ed Eleonora, hanno avviato un'associazione "Per noi Vale" in memoria della madre uccisa. A Fanpage.it hanno raccontato le difficoltà in Italia di essere orfani di femminicidio: i fondi statali in loro aiuto sono pochi.
E non solo: "Abbiamo dovuto far fronte a delle procedure burocratiche assurde. Come quelle legate alla cremazione: abbiamo dovuto tener fermo il corpo di nostra madre per giorni, perché avevamo bisogno dell'autorizzazione del coniuge. Questo perché per la legge i miei genitori erano ancora sposati. Tra aiuti e procedure qualcosa deve cambiare".