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“Ti mangio il fegato”: così il boss della ‘ndrangheta di Rho minacciava chi non sottostava alle sue regole

“Oggi vengo a casa tua e ti ammazzo di botte capito o no?”: è tra le frasi che sarebbero state pronunciate dagli indagati, affiliati al clan Bandiera, per minacciare chi non seguiva le regole imposte dal clan.
A cura di Ilaria Quattrone
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"Io ti mangio il fegato a te e a questi due infami di m***a": è quanto emerso dalle intercettazioni relative all'inchiesta condotta dalla polizia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano che nella giornata di oggi, martedì 22 novembre 2022, ha eseguito 49 misure cautelari nei confronti di persone ritenute vicine al clan Bandiera.

I reati contestati sono associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, minacce, violenza privata, incendio, detenzione e porto illegali di armi aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa e infine per intestazione fittizia di beni.

La locale di Rho

"C’è sempre la mano della ‘ndrangheta a Rho, è ritornata la ‘ndangheta a Rho. È ritornata la legge ‘ndrangheta. È tornata la ‘ndangheta": sono le parole intercettate dagli investigatori durante il corso delle indagini. Dichiarazioni che dimostrerebbero come il 74enne Gaetano Bandiera – già condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso – insieme ad alcuni membri della sua famiglia abbiano ricostruito la locale nel comune alle porte di Milano.

Gli arresti domiciliari

Gli investigatori hanno scoperto che l'uomo avrebbe ottenuto gli arresti domiciliari presentando documenti falsi che avrebbero attestato una presunta invalidità tanto da muoversi su una sedia a rotelle. Grazie ai domiciliari, sarebbe riuscito a ripristinare la locale e controllare lo spaccio controllando l'intero territorio con intimidazioni e estorsioni anche ad appartenenti a gruppi criminali.

Le minacce

"Oggi vengo a casa tua e ti ammazzo di botte capito o no?": minaccia uno degli indagati. Altri avrebbero orchestrato piani per intimidire coloro che non avrebbero rispettato le regole imposte dal clan: "Dobbiamo bruciare una macchina, chi mandiamo?", "Che poi ti faccio vedere io chi sono", "Una bottiglia, mettete il coso ora che se arriva la bottiglia.. Gliela mettete vicino alla gomma davanti.." e ancora "gli ho detto: “Ma tu fai il mafioso con me? Con Noi? Oh”.

Le minacce e violenze sarebbero state perpetrate nei confronti di coloro che "non rispettavano le regole del clan". In due occasioni, per esempio, gli investigatori hanno potuto documentare l'acquisto e il posizionamento di una testa di maiale davanti all'abitazione di uno degli indagati: l'azione sarebbe nata per convincerlo a non collaborare con la giustizia.

La testa di agnello

Gli investigatori hanno intercettato altri indagati mentre progettavano di inviare una testa di agnello, con in bocca un biglietto in cui si avvertiva che la prossima testa sarebbe stata quella del figlio, a un uomo e al figlio che erano considerati collaboratori delle forze dell'ordine.

È stato poi scoperto che il clan avrebbe gestito il traffico di stupefacenti a Rho grazie anche all'ausilio di un altro gruppo criminale. Quest'ultimo avrebbe rifornito i Bandiera con la garanzia che avrebbe avuto l'esclusività della piazza di spaccio e la risoluzione di qualsiasi problema.

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La struttura gerarchica

Dalle intercettazioni è stato possibile ricostruire la struttura gerarchica della locale: il boss 74enne, per esempio, sarebbe stato in possesso della dote superiore della "Santa"che gli avrebbe permesso di conferire "doti" agli affiliati, tra i quali ci sarebbe stato il figlio. Sempre secondo i rituali della ‘ndrangheta, avrebbe composto la "Copiata" così da battezzare e conferire la dote di "picciotto" a un altro soggetto.

Dalle indagini – rese complesse anche dalle accortezze degli indagati che facevano effettuare controlli e bonifiche sulle loro auto – è emerso inoltre che i proventi delle attività illecite sarebbero stati utilizzati per l'acquisto di negozi, attività che vendevano alimenti e bevande, intestate a prestanome, una palazzina e il sostentamento dei detenuti affiliati.

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