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Siamo entrati nel “bosco della droga” di Rogoredo: ecco cosa abbiamo visto e le storie di chi abbiamo incontrato

Nonostante le tante promesse di riqualificazione, oggi il “bosco della droga” di Rogoredo è più “vivo” che mai: usato come laboratorio di cavie umane dagli spacciatori. Per vedere cosa accade davvero, ci siamo entrati. Ecco cosa abbiamo visto.
A cura di Giulia Ghirardi
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Uno degli ingressi del "bosco della droga" di Rogoredo. Credits: Fanpage.it (Giulia Ghirardi).
Uno degli ingressi del "bosco della droga" di Rogoredo. Credits: Fanpage.it (Giulia Ghirardi).

Milano è una città che vive di contrasti, ma pochi luoghi raccontano questa frattura come il "boschetto della droga" di Rogoredo. Da anni le istituzioni parlano di riqualificazione, di un bosco ripulito e restituito alla città, ma basta arrivarci per capire che la realtà è ben diversa. Il bosco è ancora lì, più "vivo" e più "economico" che mai: usato dagli spacciatori come un laboratorio di cavie umane.

Qui esiste un confine invisibile in cui la città si spezza. È un viaggio breve, quasi impercettibile. Un viaggio che non parla solo di degrado o dipendenze, ma soprattutto di persone: volti, storie, tentativi di resistere. È qui che siamo andati, accompagnati da chi ogni giorno sceglie di non distogliere lo sguardo. Ecco cosa abbiamo visto.

Dalla stazione al "bosco della droga"

Sono le 20:13 quando parcheggiamo l’auto a pochi passi dalla stazione di Rogoredo, nella periferia sud-est della città. È l’ora in cui Milano cambia pelle in questo periodo dell'anno: i grattacieli sono acquari di vetro vuoti e i treni si affollano di persone. Una linea invisibile separa ciò che vedo alla mia destra e ciò che esiste alla mia sinistra.

Da un lato la luminosa sede di Sky. Sotto di lei: strade ordinate, aiuole pulite, muri imbiancati, palazzi con il portiere all’ingresso. Tuttavia, basta girare lo sguardo di 180 gradi per scorgere un'altra città che comincia esattamente dove la luce si affievolisce. La prima cosa che salta all’occhio è il buio: pochi lampioni, le case hanno le persiane chiuse, non ci sono negozi. Subito dopo: il senso di allerta. È pieno di agenti che fanno controlli, ispezioni, altri che chiedono i documenti. I muri non sono bianchi, ma ricoperti di murales. Il primo che si vede, scendendo le scale della stazione, è l’immagine di una siringa con alcune gocce di sangue. È un segnale sfuggito alla politica di chi sostiene che il "boschetto della droga" di Rogoredo non esista più.

Stazione di Rogoredo
Stazione di Rogoredo

Attraversiamo il sottopassaggio e ci ritroviamo in via Cassinis, una delle vie dove inizia il tragitto verso il bosco. Lì c’è Don Diego ad aspettarci. Da molti anni si occupa delle persone che frequentano il bosco con l’obiettivo di portarle su un percorso di disintossicazione nella comunità che gestisce in Valtellina. Saliamo in macchina e insieme percorriamo via Sant’Arialdo diretti dove alcuni volontari, tutte le settimane, costruiscono un presidio alle porte del bosco. Più avanziamo, più il silenzio aumenta. È come se la città si ritirasse per paura di guardare. Noi, invece, andiamo avanti.

Alle porte del bosco: le storie delle persone che abbiamo incontrato

Le prime persone le abbiamo viste camminare sul bordo della strada: una carovana silenziosa, carica di borse, sacchetti, zaini logori. Hanno gli occhi vacui, lo sguardo che scivola sulle cose senza riuscire ad aggrapparsi a niente. Tutti sono diretti allo stand che alcuni volontari hanno allestito alle porte del bosco per portare cibo, bevande calde e vestiti. D'inverno anche coperte e sacchi a pelo. Ci avviciniamo al tendone, c'è già chi è in coda. "A volte arrivano in centinaia in una sola sera", ci spiega subito Don Diego guardando le persone in attesa di prendere ciò di cui hanno bisogno. "A volte vengono anche solo per parlare del più e del meno. Fa effetto, ma per alcuni è l’unico posto dove è possibile farlo", aggiunge una delle volontarie.

Il presidio dei volontari alle porte del bosco di Rogoredo – Credits: Fanpage.it
Il presidio dei volontari alle porte del bosco di Rogoredo – Credits: Fanpage.it

Poi, ci indica un ragazzo fermo davanti al banchetto dei libri. "Lui è Richard", ci dice. I volontari lo chiamano "il poeta" perché, quando esce del bosco di Rogoredo, girovaga per la città per dipingere quadri e scrivere poesie su pezzi di cartone. "Guadagna anche bene" – scherza uno dei volontari – "solo che poi i soldi che guadagna li spende tutti qua". Nel bosco, intende. Dove girano la "nera" e la "bianca": eroina e cocaina, tagliate male. Dentro ai libri che sta sfogliando Richard ci sono le dediche di alcuni studenti milanesi. "Chiediamo loro di scrivere un pensiero per uno sconosciuto, non importa che abbiano letto il libro. L'importante è creare un collegamento, qualcosa che permetta loro di essere visti", mi spiega una delle volontarie della comunità la Casa del Giovane di Pavia. Un ponte tra la Milano che può vivere e quella che sopravvive.

Ci avviciniamo. Richard ci saluta in elfico, è un appassionato di J.R.R. Tolkien. Poi, ci racconta parte della sua storia. Ha 31 anni, dopo l'infanzia e gli studi a Como si è spostato a Milano per fare "l'artista maledetto", dice. Com'è questa vita? "È vita", si limita a sorridere. Richard fa parte dei cosiddetti pendolari del boschetto: va lì per comprare la droga perché "costa poco ed è disponibile h24", ma non ci vive. "Spero di non metterci mai radici", si affretta ad aggiungere. "Il cancro di Milano è qui".

Non facciamo in tempo a chiedere altro perché arriva Pina. Quarant'anni, svariate borse addosso, una sigaretta sempre in bocca, il corpo che ondeggia a un ritmo solo suo. Pina vive nel bosco da circa 10 anni. I volontari la conoscono, la salutano come fosse una di famiglia. Perché la sua, di famiglia, Pina non la sente più. "Ogni tanto riusciamo a farla parlare con i figli al telefono”, ci racconta un altro volontario. "Ma nella quotidianità non esistono gli uni per l’altra". Eppure, vedendola, Pina conserva una forma di innocente felicità: ride per nulla, canta tra sé, parla con chiunque le rivolga un saluto. "È la follia e la dolcezza di chi non ha più nulla da perdere", ci dice uno dei volontari.

Ma non è finita qui. Ci sono anche Paco, Amanda, Alfonso, Linda, Maria e tanti, tanti altri. C'è chi è scappato dalla comunità, chi cerca un lavoro per andarsene e ricominciare. Chi, ancora, è arrivato al bosco perché era solo e senza prospettive e chi, intrappolato, non ricorda più da dove è arrivato. Il bosco è pieno di nomi, di storie. Centinaia ogni sera. Alcune sono di passaggio, altre il bosco le inghiotte senza restituirle mai.

"La bianca e la nera": le droghe del bosco

Nel bosco si trova la "bianca" e la "nera": cocaina ed eroina. "Adesso la bianca va per la maggiore", ci racconta Simone Feder, educatore e psicologo che, da anni, lavora nelle strutture della comunità Casa del Giovane di Pavia dove è coordinatore dell’Area Giovani e dipendenze. Tutte le settimane Simone va a presidiare il bosco con alcuni volontari: "C’è una nuova versione di cocaina, tagliata male, che crea paranoia", continua. "Li vedi piegati, le braccia protese verso terra. In costante ricerca di qualcosa che non esiste. In realtà non cercano niente. È la droga che glielo fa credere".

Per acquistarla non servono banconote. Una "punta" (una piccola dose, ndr) costa soltanto pochi euro. "Con 2 euro ti fai", ci spiega ancora Simone. "Anche per questo, sempre più spesso, passano per il bosco anche minorenni. Ragazze giovani, ragazzi stranieri. Rogoredo è diventato un laboratorio a cielo aperto". E non si tratta di carità, tanto meno di crisi del mercato. È sperimentazione: "Qui gli spacciatori testano i nuovi tagli di droga prima di immetterli nelle altre piazze milanesi", conclude Simone. "Vedono quanta dipendenza creano, quanta mortalità producono. Trattano le persone come le cavie umane di un mercato della morte".

Ormai, però, sono le 23:00. Per noi è tempo di andare. I volontari cominciano a smontare il presidio mentre le poche persone rimaste se ne vanno. Nessuna, però, ci seguirà verso la stazione: come sono venute, silenziose, rientrano nel bosco che torna a chiudersi su di loro, inghiottendo quelle tante vite che Milano preferisce non riconoscere. Come se bastasse il buio a cancellarne l’esistenza.

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