Rino Bonifacio, l’ex re del narcotraffico mai pentito: “Ho fatto più soldi con i locali e la moda che con la coca”

El Chapo italiano, l'Élite, il re del narcotraffico: questi sono solo alcuni dei soprannomi che sono stati dati a Rino Gennaro Bonifacio, ex trafficante internazionale di droga uscito dal carcere – per la quarta volta, visto che ci era già stato per due mesi nel 1986, poi dal 1991 al 1996 e dal 1999 al 2012 – a luglio 2025, dopo otto anni. L'accusa che lo ha riportato dietro le sbarre nel 2017 è quella di associazione finalizzata al narcotraffico internazionale e transnazionale per un carico di 118 kg di cocaina dalla Colombia sequestrata nel porto di Livorno.
Fanpage.it lo sente per la prima volta qualche giorno dopo la sua scarcerazione in una chiamata durata oltre due ore. Sembra impaziente di raccontare la sua storia come in preda a un flusso di coscienza, rivendicandone anche gli aspetti più controversi. Alla richiesta di fare l'intervista, però, tutte quelle parole si esauriscono in un "non me la sento in questo momento".
Continuiamo a parlare al telefono per tre mesi, approfondiamo la sua storia. Poi, finalmente, decide di incontrarci. Ci dà appuntamento in un luogo specifico: la palestra in un comune alle porte di Milano dove è stato arrestato l'ultima volta, nel 2017, che per lui è una seconda casa anche oggi.
Lo sguardo è lo stesso che avevamo visto nelle foto: sfrontato, deciso. Ci sediamo uno di fronte all'altro, separati da una scrivania in legno. Davanti a me c'è il microfono per registrare, il computer, un'agenda con degli appunti e la sua autobiografia Malabellavita. Davanti a lui, invece, gli occhiali da sole con i quali gioca nervosamente durante l'intervista.
"Chi è Rino Bonifacio?", chiede Fanpage.it. "Chi era. Basta, chi era" risponde subito lui, probabilmente consapevole del fatto che il suo nome sia associato in modo inscindibile al profilo criminale delineato negli anni dalle attività illecite che ha commesso."Oggi torno a essere il padre che vorrei essere", dice.
Il racconto parte dal suo ultimo arresto, quello avvenuto il 9 novembre del 2017 proprio nel posto in cui ci troviamo nel momento dell'intervista: "Finivo di allenarmi come ogni mattina, poi sono sceso giù negli spogliatoi. Vengono alcune persone che si identificano come agenti della polizia, erano in tanti. Una decina in spogliatoio, altri dieci o quindici erano sopra quando sono salito. Non mi aspettavo così tanti agenti".

Per comprendere il personaggio e cosa l'abbia condotto a quella mattina del 9 novembre 2017, facciamo un passo indietro e torniamo alle origini della sua storia.
L'infanzia tra Napoli e Milano
Nato nel 1968 a Gragnano, in provincia di Napoli, quando ha solo un anno la sua famiglia si trasferisce a Milano "perché c'era la fame giù", ma rimane sempre legato alla sua terra. Ci torna ogni estate, appena concluso l'anno scolastico. Mentre ne parla ricorda quando, insieme agli altri "scugnizzielli", prendeva in giro i turisti nei porti a Castellammare di Stabia chiedendo loro di buttare 100 lire in mare, con la scommessa che sarebbero riusciti a recuperarli anche se l'acqua era molto scura. Li prendevano, ma facevano finta di non esserci riusciti "per racimolare qualcosa".

Una volta arrivato a Milano "i miei genitori facevano dei sacrifici", il padre era un meccanico e la madre faceva le pulizie. Sin da ragazzino Rino Bonifacio inizia a fare lavoretti in giro – "anche se in nero" –, perché ha sempre voluto essere indipendente dalla sua famiglia.
A 12 anni, tramite un amico, riesce a entrare in una cooperativa di pony express che organizza piccole consegne prioritarie in giro per la città. Gli viene affidata la zona di Vincenzo Monti, dove ci sono tutte le agenzie di moda: è qui che inizia a conoscere il mondo della Milano di lusso e ne rimane affascinato. "Vedevo un po' questo mondo e mi sono introdotto, conoscevo persone" e così da adolescente entra già in tutti "locali in" di Milano frequentati anche da gente dello spettacolo come "Fiorello, Cecchetto, Big Mama che era una famosissima PR".

Sono i primi anni '80 e club come il Divina, il Plastic, l'Amnesia sono il centro della movida milanese e della disco music e Rino Bonifacio li vive a pieno: "Eravamo simpatici, brillanti nel modo di fare. Attiravamo l'attenzione di tutti, anche dei pregiudicati […], quando ci vedevano ci accarezzavano. Ancora non avevo mai fatto attività illegali, avevo 15-16 anni".
Nell'86 arriva il primo reato che gli costa due mesi di carcere: "ero militare e ho fatto un paio di mesi a Peschiera Borromeo [dove si trovava l'ex carcere militare, ndr] perché per questioni di nonnismo avevo picchiato un ragazzo e l'avevo mandato in coma, fortunatamente si è svegliato…"
Tra Riccione e Ibiza, il primo a importare l'ecstasy in Italia
Affascinato dal mondo del lusso e della vita notturna, Rino Bonifacio decide di andare insieme a un amico a Riccione, la capitale della notte di allora, "Qui apriamo un'agenzia di go-go, le ballerine di oggi. Avevamo molti ballerini".

Poco tempo dopo da Miami gli viene segnalato anche il boom degli striptease maschili, che decide di far arrivare anche in Italia: "Ho iniziato a trovare dei ragazzi, si vendevano e si guadagnava tantissimo. Tra i locali, l'agenzia di go-go, gli strip maschili, si lavorava benissimo".
Nell'87, invece, approda per la prima volta a Ibiza, che ancora oggi considera la sua seconda casa. Qui conosce quelli che oggi chiamiamo "after party" e decide di portarli anche a Riccione, dove prende vita lo storico locale aperto dalle 6 alle 12 del mattino, il Diabolika, che "sfonda, perché è una novità, quindi nell'89 lo portiamo anche al Movida di Jesolo e al Macrillo di Asiago".
Torna spesso a Ibiza, dove fonda un'agenzia di sicurezza e protezione – anche armata – che lo fa entrare in contatto con vip internazionali del calibro di Robert De Niro, Claudia Schiffer, Monica Bellucci, Diego Armando Maradona.

La sua vita si divide tra locali alla moda, festini, personaggi dello spettacolo e soldi. Alla fine degli anni '80, però, si verifica l'episodio che cambia la sua storia: "Conosco un olandese e anche un americano che avevano delle cosettine in mano, delle pastiglie". Quando gli capita di provare una di queste pastiglie "a un certo punto ero talmente allegro, ridevo, scherzavo e questo americano mi diceva che le davano ai reduci del Vietnam".
La chiamavano "la pillola della felicità, prima di chiamarla ecstasy". Così Rino Bonifacio inizia a cercare queste pastiglie: va a prenderle in Olanda senza paura dei controlli perché "siamo nell'88" e l'ecstasy ancora non è stata classificata come sostanza stupefacente.

"Pensavo fosse un prodotto come tutti quanti gli altri", ma nel 1991 arriva l'arresto dopo le dichiarazioni di un acquirente e le intercettazioni telefoniche che riconducono a lui. L'accusa è di associazione di stampo mafioso, tentato omicidio e traffico di droga. I primi due capi d'accusa cadono perché il fatto non sussiste, rimane il traffico di droga che lo farà passare alla storia come il primo importatore di ecstasy in Italia.

Con il decreto del Presidente della Repubblica n.309 del 9 ottobre 1990, infatti, l'ecstasy viene introdotta nella tabella I delle sostanze stupefacenti, a pari merito della cocaina.

"Quindi tutte quelle stragi che succedevano del sabato sera, incidenti… Ahimè la colpa, secondo loro, era dell'ecstasy, ma non è vero", dice Bonifacio a Fanpage.it. Come gli facciamo subito notare, però, le morti e le intossicazioni per ecstasy non si sono fermate agli anni '80. Anche nella pagina MDMA: la situazione attuale in Europa della Relazione europea sulla droga 2025, infatti, sono riportati dati che attribuiscono all'ecstasy – chiamata MDMA – decessi e ospedalizzazioni.
La sua risposta, però, è pronta: "Ma i decessi sono successi negli anni dopo [perché, ndr] hanno fatto la prova dei principi attivi e hanno riscontrato purtroppo del taglio, quindi c'erano altre cose dentro. […] Guarda quante persone muoiono per l'alcol e per il tabacco". La differenza, puntualizziamo, è che alcol e tabacco sono legali, mentre la droga no.
Gli chiediamo anche come reagirebbe se una persona a lui cara gli comunicasse di fare uso di cocaina o ecstasy – le due droghe che lui ha importato principalmente – e se questo lo renderebbe contento o indifferente: "No, certo, scherza? Lo aiuterei".
L'incontro con i cartelli colombiani a Miami e la coca nel marmo di Bogotà
Dopo cinque anni (dal 1991 al 1996) passati nel carcere di Padova per la cessione dell'ecstasy, nel 1997 va a Miami. Qui gestisce un servizio di noleggio di motoscafi di lusso – i Cigarette, "le Harley Davidson del mare" – ed è sempre qui che ha contatti per la prima volta con una persona che fa parte di un cartello della droga colombiano, "uno di quelli che avevano la disponibilità di… Decidere, sicuramente".

Si sarebbero conosciuti per caso, ma questa persona sa che locali frequenta Bonifacio anche a Ibiza. Poco dopo il primo incontro a Miami si rivedono in Spagna, si mettono d'accordo "e così è successo". Con questa frase si riferisce a uno dei più importanti sequestri di droga fatti in Italia: 4,7 tonnellate di cocaina occultate in blocchi di marmo con il quale, a detta di Bonifacio, sarebbe stato rivestito il tribunale di Bogotà.

Usano il marmo perché è difficile da controllare, ma i blocchi sono sottoposti a carotaggio e la droga viene sequestrata nel porto di Livorno. "Attraverso le intercettazioni telefoniche sono arrivati a me" e così arriva anche il terzo arresto, nel 1999, per associazione finalizzata al narcotraffico, per la quale viene condannato a di 18 anni in regime di carcere duro (41bis), che vengono ridotti a 15 per buona condotta. Nel 2001, uscito per la scadenza dei termini di custodia cautelare prima della conclusione delle indagini, la sua compagna rimane incinta. Rino diventa padre nel 2002, ma non può assistere alla nascita di suo figlio perché il processo giudiziario a suo carico si è concluso con una condanna e sta scontando la sua pena: "Ero in carcere, mi venne a informare mio padre, mandandomi un telegramma: È nato Ciro. La mia compagna venne subito a portarmelo dopo dieci giorni [dalla nascita, ndr]. È [stata, ndr] una gioia".
Una redenzione durata 6 anni e poi la "neve" nel parquet
Una volta uscito dal carcere, nel 2012, Rino Bonifacio dice di voler cambiare vita. Di lì a poco scrive un'autobiografia per raccontare la sua storia tra lusso, mondo dello spettacolo e traffico internazionale di droga e dice di avere in programma un incontro con Papa Francesco. Nel 2017, però, arriva l'ultimo arresto proprio nel posto in cui ci troviamo durante l'intervista.

L'accusa è di associazione finalizzata al traffico internazionale e transnazionale (quest'ultima aggravante poi caduta) di droga per 118kg di cocaina nascosti in lastre di pregiato parquet arrivate dalla Colombia. "Un reato associativo non penso ci sia, ma ero recidivo e […] siccome eravamo in tre, il numero legale per comporre un'associazione c'era e quindi… La terza persona è un ragazzo che per sdebitarsi di una macchina che gli avevo venduto, gli avevo chiesto se mi trovava un capannone perché avevo bisogno di scaricare del legname per un giorno", dice. Quando gli chiediamo se questa terza persona fosse consapevole dei motivi per cui a Bonifacio serviva il capannone che gli aveva chiesto di trovare, la risposta è: "Ma poteva anche essere consapevole, ma lui non c'entrava niente in quel traffico, se c'era quel traffico. Nelle intercettazioni telefoniche si parla chiaramente che io non sapevo nemmeno la quantità e dicevo io non voglio venderla".
Gli facciamo notare che nonostante nelle intercettazioni possa aver detto di non voler vendere la droga, il traffico c'è stato: "È stato un mio ennesimo errore, questo non lo voglio mettere in dubbio. Ero uscito e […] volevo aprire una società di noleggio, quindi mi serviva della liquidità e quindi purtroppo ho fatto quest'altra fesseria e mi sono messo in moto per cercare di trovare come farli [i soldi, ndr]"
Quando arriva la merce, la droga viene sequestrata al porto di Livorno nel 2016 (un anno prima dell'arresto) e le persone sospettate di aver gestito il traffico – quindi anche lui – non vengono avvertite. Quando il legname arriva a destinazione, Bonifacio non trova la cocaina all'interno e capisce che qualcosa è andato storto.

Sulla sua autobiografia pubblicata dieci anni fa, Rino Bonifacio scrive: "Mi dividevo fra la gestione dei miei affari legali e diversi interessi che era meglio tenere nascosti. A volte, se ci ripenso, mi chiedo: lo rifarei? Devo essere sincero, non sono sicuro di poter rispondere di no". A distanza di dieci anni da questa frase, gli chiediamo se la risposta rimane la stessa: "No, se tornassi indietro non lo farei. Ho guadagnato più soldi nella legalità, e quindi lavorare nei locali, agenzie di moda, spettacolo, agenzie di sicurezza, vendita di auto, che a trafficare droga. Quanti sequestri ho avuto?"
Bonifacio non si è mai pentito a livello legale e quando gli chiediamo perché, ci risponde: "E di cosa mi devo pentire? Non lo rifarei perché ho sofferto troppo". Pentirsi, dal punto di vista legale, vuol dire riconoscere i propri reati e fornire alle autorità informazioni utili sui traffici criminali e sulle persone coinvolte. La sua posizione sul tema, però, è chiara: "Se io faccio un reato mi prendo la mia condanna e se c'è da prendere la responsabilità del reato me la prendo, ma perché devo mettere in mezzo qualcun altro?". Gli facciamo notare che le informazioni rilasciate dai collaboratori di giustizia, spesso, sono fondamentali per ricostruire e interrompere le attività criminali in essere, ma lui dice che, nel suo caso, durante i processi e le carcerazioni "tutte le vicende sono state chiarite. Cos'altro devo dire?".
Più volte ha dichiarato di non aver mai avuto a che fare con "ndranghetisti o camorristi" e di averli incontrati sono dietro le sbarre, nonostante i reati che ha commesso – come il traffico di droga – siano storicamente gestiti in grande parte proprio dalle mafie: "Ho sempre fatto le cose per i fatti miei, non c'è stato neanche bisogno di dire no perché non mi sono mai accostato. Forse perché ho vissuto tanto a Milano, probabilmente se vivevo a Napoli mi avrebbero affibbiato come camorrista. Bonifacio comandava se stesso".
Gli chiediamo se nei confronti delle mafie esprime disprezzo, la sua risposta è: "Io non disprezzo nessuno. Queste parole mafia, camorra, ‘ndrangheta sono tutte dicerie, sono parole inventate". Citiamo gli omicidi, le estorsioni e le guerre di mafia: "Tante guerre di mafia, dici?". Così, al netto dei reati commessi e delle dichiarazioni rilasciate, rimane l'ultima domanda: perché si dovrebbe credere che un uomo come Rino Bonifacio voglia abbandonare questo modo di vivere?
"Io l'ho già cambiato da quando sono uscito. Sì, è bella la vita spericolata, i soldi facili, ma prima o poi finisce. Troppa sofferenza. Perdi la famiglia, perdi i soldi, e poi quando esci che fai?", abbassa lo sguardo, "è la sofferenza che ti cambia. Noi dobbiamo vivere con la paura, perché è quella che ti frena, ti fa capire quello che hai attraversato e che non vuoi attraversare più".
Oggi Rino Bonifacio ha finito di scontare la sua pena in carcere, dove ha frequentato anche dei corsi professionalizzanti per il reinserimento nella società. Lavora per un'azienda che si occupa di promozione di borse, scarpe e profumi, si allena nella palestra che ha sempre frequentato e vuole fare il padre. La sua vita racconta un'epoca: quella dei traffici criminali internazionali – negli anni del boom della cocaina e l'arrivo dell'ecstasy in italia – e della Milano da bere e da ballare dove tutto sembra possibile, delle capitali della notte come Riccione e Ibiza e dei personaggi iconici come Maradona o Renato Zero.
Una storia che si conclude con quasi 30 anni di carcere sulle spalle e che Bonifacio vorrebbe raccontare in un film o una fiction, perché "Si deve raccontare ai ragazzi effettivamente quello che si attraversa quando ti arrestano e ti chiudono in una cella. […] Chi me l'ha fatto fare, dico io?"