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Perché la Basilica di San Pietro al Monte non sarà un sito Patrimonio Unesco: le motivazioni

La Basilica di San Pietro al Monte a Civate (Lecco) è stata esclusa dai siti che appartengono al Patrimonio Mondiale Unesco. La presidente della Fondazione comunitaria del Lecchese ha espresso rammarico per la decisione. Ecco i motivi dell’esclusione dalla lista.
A cura di Vittoria Brighenti
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La Basilica di San Pietro al Monte (Fonte:Instagram)
La Basilica di San Pietro al Monte (Fonte:Instagram)

Crescono il rammarico e l'amarezza per l'esclusione dai siti Unesco della Basilica di San Pietro al Monte, il gioiellino di Valle dell'Oro, in provicia di Lecco. Il complesso architettonico in stile romanico non entrerà nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco. La notizia ha portato tristezza per chi, ogni giorno, lavora per far riconoscere a livello internazionale il valore unico di questo luogo. L'esclusione è legata a criteri cronologici ristretti e a modalità di selezione dei siti contestate dalla Fondazione.

Dove si trova la Basilica

La Basilica di San Pietro al Monte si trova a una quota di 630 metri sulle pendici del monte Cornizzolo. Ci si può arrivare solo a piedi in meno di un'ora partendo dalla frazione Pozzo nel comune di Civate (Lecco). L'alternativa è una mulattiera più comoda che passa per un bosco. Una volta arrivati in cima, il panorama è da cartolina: si vede tutta la Brianza, i monti del Lecchese, con il famoso Resegone e il Monte Barro, oltre che il bellissimo lago morenico di Annone.

La storia

Secondo la leggenda, l'ultimo re longobardo Desiderio, fece costruire un cenobio a San Pietro al Monte nel 772 come ringraziamento per la miracolosa guarigione all'occhio di suo figlio Adelchi, ottenuta grazie alle acque di una fonte che scorre ancora oggi vicino alla chiesa. Il primo documento che cita il luogo è del IX secolo e menziona l'abate Leutgario insieme a 35 monaci benedettini, legati al monastero di Pfäfers in Svizzera.
Nel 1097, il vescovo di Milano Arnolfo volle essere sepolto proprio lì, dopo aver trascorso gli ultimi anni della sua vita. In quel periodo venne ampliata la struttura originaria, risalente all'VIII-IX secolo, e fu capovolto l’asse est-ovest della basilica, seguito poi da importanti decorazioni.

Durante il periodo delle lotte tra comuni e impero, i monaci si schierarono con l’imperatore Federico Barbarossa, e per questo motivo il Libero Comune di Milano distrusse il monastero in segno di ritorsione. I benedettini si trasferirono a valle, lasciando la custodia ai pochi monaci eremiti. Con la costruzione della chiesa civatese di San Calocero, San Pietro al Monte andò in rovina.

A metà del XVI secolo, i monaci Olivetani tornarono a far vivere l'abbazia, che venne nuovamente abbandonata nel 1798, dopo la soppressione degli ordini religiosi durante la Repubblica Cisalpina. Il chiostro risale al XVIII secolo, mentre nel corso dell’Ottocento fu demolito un campanile esterno alla chiesa.

L'esclusione dal patrimonio Unesco

Maria Grazia Nasazzi, presidente della Fondazione comunitaria del Lecchese, attivamente coinvolta sin dall'inizio del progetto, esprime profondo dispiacere per la scelta comunicata pochi giorni fa. Il sito di Civate era infatti stato incluso nel progetto di candidatura Unesco per gli insediamenti benedettini in Italia. La decisione è stata formalizzata da una comunicazione del Ministero della Cultura che fa riferimento alla valutazione espressa un anno fa da Icomos, l’organo scientifico di consulenza dell’Unesco.

Icomos ha stabilito che il periodo di riferimento per riconoscere la centralità della regola benedettina fosse nei secoli VI, VII e VIII d.C. La Fondazione ha contestato come riduttiva tale scelta, dal momento che è solo in epoca carolingia, quindi intorno al IX secolo, che la regola di San Benedetto viene imposta e diventa legge spirituale e culturale dell'Europa. È qui che: "I monasteri di Civate offrirono un rilevante contributo a questa dinamica grazie anche all’opera del Maestro Hildemaro, il quale scrisse il commento alla regola di San Benedetto che divenne riferimento operativo per ogni abate e monastero", ha scritto Nasazzi.

Un'altra perplessità sollevata dalla Fondazione riguarda i criteri materiali di selezione. Icomos ha incluso nella candidatura solamente tre siti di quei tre secoli di vita benedettina, pur in assenza o con presenza marginale di elementi realmente databili a quel periodo. Nonostante ciò, Icomos ha comunque attribuito il requisito di "integrità e autenticità".

In conclusione, per la presidente della Fondazione, l'esclusione del sito di San Pietro al Monte rappresenta un'occasione mancata non solo per il luogo in sé, ma per l'intero territorio lecchese, al quale non viene riconosciuto il giusto valore storico e culturale. In ogni caso, la Fondazione conferma l'impegno per continuare a valorizzare e promuovere il sito.

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