Perché il caos al San Raffaele di Milano dimostra che ormai nella sanità si punta solo al guadagno

Una serie di "errori gravi" commessi da alcuni infermieri di una cooperativa esterna tra il 5 e il 7 dicembre ha generato il caos al terzo piano del polo Iceberg dell'ospedale San Raffaele di Milano. La somministrazione di un farmaco sbagliato a un paziente e altri problemi legati alla mancanza di competenze necessarie per quel tipo di lavoro hanno portato Francesco Galli a comunicare le proprie dimissioni irrevocabili dal ruolo di amministratore unico dell'ospedale. L'assessore al Welfare di Regione Lombardia, Guido Bertolaso, ha fatto sapere di aver avviato un'indagine "per garantire che situazioni analoghe non possano ripetersi". Per Vittorio Agnoletto, però, quanto accaduto sarebbe "in continuità con la deriva di un servizio sanitario regionale composto da una fortissima presenza del privato e finalizzato a ottenere i massimi profitti". Intervistato da Fanpage.it, l'esponente di Medicina Democratica e docente di Globalizzazione e Politica della Salute all'Università degli Studi di Milano ha dichiarato: "Questo episodio è un campanello d'allarme che dovrebbe farci riflettere se sia legittimo affidare interventi di tipo sanitario negli ospedali pubblici e privati convenzionati a cooperative esterne".

Cosa ne pensa di quanto accaduto al San Raffaele negli ultimi giorni?
Credo sia stato un caso estremo, ma comunque in continuità con quanto sta avvenendo ormai da tempo nella sanità lombarda. È la prosecuzione della deriva di un servizio sanitario regionale composto da una fortissima presenza del privato, quindi finalizzato a ottenere i massimi profitti, e dove viene a mancare il ruolo di controllo assolutamente fondamentale da parte dell'istituzione pubblica.
Perché in continuità? Si poteva in qualche modo prevedere un caos simile?
Che molte cose al San Raffaele non funzionavano si sapeva già da settembre. Per esempio, nella mia trasmissione 37e2 a Radio Popolare avevano parlato della diminuzione degli sportelli per fissare gli appuntamenti, la scarsità, e a volte la mancanza, di alcuni farmaci fondamentali e la ridotta possibilità di prenotazione che veniva limitata alle persone seguite dal San Raffaele. Poi la stessa Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria) aveva fatto un comunicato dove presentava una serie di problematiche al direttore generale e all'assessore regionale. L'elemento comune di tutto è la ricerca del massimo profitto e del risparmio che porta a modificare tutta una serie di cose dentro l'ospedale.
Periodicamente compaiono scandali più o meno grossi dentro la sanità privata convenzionata e ogni volta sembra che la Regione cada dalle nuvole. Non è accettabile che le vicende debbano essere segnalate solo dai lavoratori o dai mezzi di informazione, mentre la Regione arriva sempre per ultima.
Il caos è scoppiato in Medicina ad alta intensità e di cure intensive. Come è possibile che un reparto così delicato sia stato affidato a una cooperativa esterna?
La motivazione che viene utilizzata è che diversi lavoratori sono andati via e quindi in qualche modo quelle posizioni dovevano essere coperte. Non viene mai spiegato, però, perché se ne sono andati. Prima della pandemia al San Raffaele c'era un contratto uguale a quello dei dipendenti pubblici, poi durante l'emergenza Covid-19 è stato cambiato con quello della sanità privata, che è più debole. I lavoratori avevano iniziato una vertenza e alla fine una parte di loro è andata via. È sempre la stessa questione che a livello nazionale ha portato in 20 anni 180mila tra medici e infermieri formatisi in Italia ad andare all'estero per migliori condizioni di lavoro e stipendi più alti. La questione in questo caso è proprio il fatto di essersi rivolti a una cooperativa esterna.
Perché?
Le cooperative, per loro natura, giocano sempre al ribasso in ogni ambito lavorativo a cui si rivolgono. Qua, però, si parla di sanità e a mio avviso dovrebbero esserci leggi che vietino la possibilità di affidare certi incarichi a lavoratori esterni attraverso cooperativa dove la qualità della prestazione sanitaria e il rapporto con l'utenza sono le ultime cose di cui si occupano. L'ente pubblico, invece, deve sapere qual è il personale che presta l'opera. Quanto accaduto è un campanello d'allarme che dovrebbe farci riflettere tutti: è legittimo o no continuare ad affidare interventi di tipo sanitario negli ospedali pubblici e privati convenzionati a cooperative esterne?
Quindi, secondo lei, quello che è successo rappresenterebbe il punto d'incontro tra due grandi problematiche: la ricerca del profitto e le politiche contrattuali nella sanità.
C'è anche un terzo elemento: l'assoluta mancanza d'intervento da parte della Regione. Queste cose non esplodono da un momento all'altro. Prima c'è stata la vicenda degli operatori del call center che ricevevano premi se indirizzavano i pazienti verso il privato, poi il caso sollevato da Fanpage.it del medico che ha segnato una prestazione privata eseguita alle 15:20 con l'orario 20:10 perché in quell'orario non avrebbe potuto farla. Queste sono vicende che dovrebbero emergere normalmente attraverso dei meccanismi di controllo da parte della Regione e di Ats, ma in realtà vengono fuori dai giornali o dai lavoratori. I controlli vanno fatti prima che accadano queste cose, non basta metterci una pezza quando ormai è accaduto.
Quali rischi comporta adottare un modello basato sul profitto economico anche sulla sanità?
Il rischio di questo modello che punta al risparmio e a raggiungere gli obiettivi di bilancio è quello di mettere in pericolo la vita delle persone. In questa vicenda che riguarda il San Raffaele non c'è stata nessuna vittima, ma rimane una cosa gravissima che deve indurre una modifica delle politiche sanitarie.