Milano, morto per Covid il poliziotto penitenziario di 59 anni Mario De Michele: “Stimato da tutti”

È un poliziotto penitenziario l'ennesima vittima Covid di Milano. Oggi giovedì 3 dicembre il virus ha portato via anche Mario De Michele, il sostituto commissario della casa circondariale di San Vittore. Per tutta la sua vita ha prestato servizio garantendo la sicurezza nelle carceri.
Il Coronavirus non gli ha permesso di andare la pensione
Non ha fatto in tempo però a godersi quella meritata pensione: nei programmi ci sarebbe dovuto andare la prossima estate. A dare la notizia è il sindacato autonomo della polizia penitenziaria "Sappe": "Un collega stimato e apprezzato da tutti – lo definiscono dal sindacato -. Un uomo con la grande passione per il suo lavoro e che tra qualche mese avrebbe raggiunto il traguardo della meritata pensione. Sì, perché il virus maledetto non glielo ha permesso, ma sarebbe andato in pensione tra sei mesi".
Alle spalle aveva 37 anni di servizio
Il virus l'ha portato via troppo presto, ad appena 59 anni. Mario De Michele era apprezzato da tutti i colleghi che ha incontrato nel corso della sua lunga carriera: alle spalle aveva più di 37 anni di servizio. Gran parte del qualche lo aveva passato a Milano, nonostante le sue origini molisane. Il suo paese d'orine era Campodipietra, in provincia di Campobasso.
La Commissione carceri annuncia la sciopero della fame
Intanto il Direttivo e la Commissione carcere della Camera penale di Milano ha lanciato l'allarme Covid nelle case circondariali. Secondo quanto riferiscono dal direttivo sarebbero quasi 900 i detenuti positivi, circa mille invece gli operatori del settore risultati positivi al tampone. Numeri che non lascia indifferente il direttivo che ha dichiarato "di voler aderire allo sciopero della fame di Rita Bernardini", la radicale presidente di "Nessuno tocchi Caino". Non solo, dalla commissione lanciano persino un appello al governo e al parlamento: "Ci uniamo alla richiesta rivolta alle istituzioni di ridurre drasticamente la popolazione detenuta attraverso qualsiasi intervento di legge aderente alla Costituzione e alla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo". Una richiesta già "accontentata" durante la prima fase della pandemia, quando dal carcere era uscite anche boss di mafia, condannati al 416 bis. Una decisione che aveva sollevato l'indignazione di tutto il movimento antimafia d'Italia.