“Milano ha ancora fame di hockey, ma mancano gli impianti”: perché le Olimpiadi sono un’altra occasione sprecata

Per quasi un secolo l'hockey sul ghiaccio ha trovato a Milano le giuste piste per scivolare e un pubblico appassionato con cui condividere numerosi successi. Un movimento sportivo che ha portato grandi famiglie di imprenditori a investire su una propria squadra, come i Cabassi e i Berlusconi, tra uno Scudetto con il Milan e l'altro. Tra gli spalti, gruppi di tifosi si organizzavano con cori, striscioni, bandiere e fumogeni arrivando a competere con l'organizzazione degli ultras di Inter e Milan sulle curve di San Siro. Ormai da dieci anni, però, nessuna formazione milanese riesce a competere a livello nazionale.
"A Milano c'è ancora fame di hockey, ma nessuno oggi può fornire uno spettacolo adeguato, anche a causa della mancanza di impianti all'altezza. Quello storico di via Piranesi è stato ormai riconvertito e quello in zona Inganni è abbandonato a sé", ha spiegato a Fanpage.it il presidente degli Sgularat, Roberto Sterza: "Noi siamo nati per gioco e ora, anche se nei campionati dilettanti, siamo una delle maggiori realtà milanesi, ma siamo costretti ad allenarci e giocare a Sesto San Giovanni. Le Olimpiadi di Milano-Cortina potrebbero dare una spinta al movimento, ma servono investimenti mirati e una progettazione seria. Altrimenti nessuno ha modo di avvicinarsi a questo sport".

Qual è la situazione dell'hockey su ghiaccio a Milano ad oggi?
Per darti un'idea. Condividiamo il palazzetto di Sesto San Giovanni con il pattinaggio artistico e, a livello di importanza, oggi loro vengono prima. Quindi noi iniziamo gli allenamenti alle 23, il che significa finire a mezzanotte e mezza. Tra cambiarsi e fare la doccia, si esce all'una della notte. La maggioranza dei giocatori, però, o lavora o studia. Alcuni di loro impiegano anche tre ore di macchina per venire ad allenarsi, per poi arrivare a giocare la domenica. Diciamo che serve molta passione.
La squadra degli Sgularat ha quasi 13 anni. Possiamo dire che è nata in un periodo quando ormai l'età d'oro dell'hockey milanese era già terminata. Di chi è stata l'idea?
La nostra squadra è nata un po' per gioco e un po' per passione, con i fondatori che erano persone che circolavano nell'hockey milanese da tanti anni. Molti ormai avevano abbandonato questo sport, ma poi con la scusa di passare delle domeniche assieme nel 2013 hanno fondato la squadra. Nel tempo l'impegno è diventato più intenso, sono arrivati progressivamente sempre più nuovi giocatori e abbiamo cominciato a partecipare a campionati amatoriali fino al Libertas, che ha comunque uno stampo molto professionale.

Che è il campionato in cui vi trovate oggi, giusto?
Esatto. Il campionato Libertas, riconosciuto dal Coni, si divide in tre categorie: A, B e C. Da quest'anno noi partecipiamo a tutte e tre, abbiamo fatto un salto di qualità che presuppone un'organizzazione societaria attenta e costi importanti, seppur sempre in ambito dilettantistico. Si passa dalla categoria C, dove giocano persone che si sono appena avvicinate allo sport, alla categoria A, dove si trovano ex giocatori delle massime serie nazionali.
Avvicinarsi a questo sport, però, è molto difficile. Noi proponiamo un corso annuale che si rivolge a chiunque, anche a chi parte da zero, con l'obiettivo di portare gli atleti ad allenarsi con la squadra e, chissà, anche a farne parte un giorno. È triste dirlo, ma Milano soffre della mancanza di impianti. Noi siamo di Milano, ma ci alleniamo al PalaSesto. Altre squadre si allenano al Forum di Milano di Assago e c'è una pista a San Donato. Ma in città non c'è più nulla. Cerchiamo di approfittare delle piste che vengono allestite per Natale per fare esibizioni e cercare di mantenere vivo lo spirito dell'hockey.
Eppure fino agli anni '90 l'hockey è stato uno degli sport più seguiti e amati a Milano. Anche Silvio Berlusconi era entrato in questo mondo, pensando anche potesse arrivare a rivaleggiare con il calcio. Cosa è cambiato?
Era l'epoca della Polisportiva Mediolanum, con Berlusconi che aveva deciso di entrare in molti sport, anche pallavolo e rugby. Pensava che potessero avere un potenziale di crescita importante, soprattutto l'hockey su ghiaccio che negli Stati Uniti ancora oggi riscuote parecchio successo. Berlusconi aveva la seconda squadra di Milano e c'era un derby cittadino con il Saima. Giocava al Forum e lo riempiva. La passione c'era, il potenziale c'era. L'hockey, però, è uno sport costoso e i ritorni nel senso di sponsor sono minimi. O si trova un mecenate, come era successo per Saima, oppure è molto difficile.
Per quanto riguarda la mancanza di impianti, il palazzetto del ghiaccio di via Piranesi nel tempo è stato riconvertito. Rimane un monumento storico, perché che è stata la prima pista da ghiaccio indoor d'Europa. Era stato sostituito dall'Agorà, che è in zona Inganni: ospitava partite di Serie A e gare internazionali, e faceva da traino del settore milanese. Finché c'è stato il palazzo del ghiaccio la città aveva una squadra nella massima serie. Ora è in stato di abbandono e Milano non ha più una squadra che compete nei campionati nazionali. Speravamo che con le Olimpiadi l'Agorà potesse rientrare tra gli edifici da ristrutturare, invece si è persa anche questa occasione.

Pensa che le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 possono ridare uno slancio all'hockey sul ghiaccio? Un po' come è stato per il tennis dopo i successi di Jannik Sinner.
Le Olimpiadi rappresentano un palcoscenico irripetibile e unico. La doccia fredda è sapere che, una volta terminate le Olimpiadi, smantelleranno il ghiaccio dal palazzetto che stanno costruendo a Santa Giulia proprio per le partite di hockey. Sembra, infatti, che l'imprenditore in questo caso abbia altri interessi e l'impianto dovrebbe diventare una location per concerti. Diciamo che per noi è un'altra occasione mancata per fare crescere questo settore.
Dopo le Olimpiadi del 2006 a Torino c'era stata una crescita del movimento in Piemonte, dove erano stati fatti gli impianti. Con il tempo, però, molti di questi non sono sopravvissuti e l'effetto al lungo termine è stato minimo. Probabilmente anche in quell'occasione non c'è stato un investimento mirato a rendere il movimento stabile, che potesse vivere di vita sua. Non credo che la rinascita dovrebbe passare attraverso un imprenditore o un mecenate, perché se poi diventa una goccia nel deserto perde di entusiasmo anche lui. Ritengo, invece, che si dovrebbe fare un lavoro a livello di federazione, per promuovere, scendere dalle valli e andare a occupare le grandi città con un programma di investimenti.
La passione di Milano per l'hockey sul ghiaccio era concreta. C'erano tifosi che si organizzavano per le coreografie, un po' come gli ultras nel calcio. Dove sono finiti?
Ancora oggi c'è una base di tifosi che aspetta che torni una squadra di Milano. Tanti, infatti, vanno a vedere le partite nel Canton Ticino, in Svizzera, dove ci sono squadre molto forti a livello europeo. C'è fame di hockey. A Milano c'è stato il tentativo dei Devils, che come nome si rifacevano ai vecchi Diavoli, che però quest'anno non partecipano a campionati nazionali per difficoltà strutturali, come proprio la mancanza di un palazzo del ghiaccio di riferimento. Il panorama milanese oggi è tenuto in piedi solo da realtà amatoriali come la nostra. Mancano proprio i presupposti per fare di più. Lo sport è bello, piace, chi lo fa difficilmente lo molla. Bisogna però conoscerlo, altrimenti non ha modo di avvicinarsi.