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“In Lombardia il caporalato si maschera in cooperative sporche”: la denuncia di Angela Danzì

L’ultimo report dell’Associazione Terra! ha mostrato come su 405 distretti italiani accusati di caporalato, un terzo si trovano nel Nord Italia. Tra le regioni più colpite, c’è la Lombardia: £un tutte le province lombarde, e del Nord, c’è un raffinato quanto evidente sistema di cooperative spurie o sporche che ottengono appalti a ribassi insostenibili se non con lo sfruttamento di lavoratori”, ha spiegato a Fanpage.it l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Maria Angela Danzì.
A cura di Ilaria Quattrone
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Il caporalato è una piaga che interessa diverse aziende italiane. L'ultimo report dell'Associazione Terra! ha mostrato come alcune filiere della produzione agro-alimentare della Lombardia siano tra le più colpite da inchieste sullo sfruttamento del lavoro. Su 405 distretti italiani accusati di caporalato, un terzo si trovano nel Nord Italia.

"In tutte le province lombarde, e del Nord, c’è un raffinato quanto evidente sistema di cooperative spurie o sporche che ottengono appalti a ribassi insostenibili se non con lo sfruttamento di lavoratori costretti ad associarsi", ha spiegato a Fanpage.it l'europarlamentare del Movimento 5 Stelle Maria Angela Danzì.

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I produttori hanno riscontrato difficoltà economiche dovute all’aumento dei costi delle materie prime. Questo ha permesso che molti imprenditori decidessero di ridurre i costi della manodopera. Terreno fertile, quindi, per il caporalato. Come contrastare questo fenomeno?

In realtà l’impennata dei costi delle materie prime si è registrata dopo la pandemia, ma già nel 2016 si era arrivati, comunque in ritardo, a una legge di contrasto al caporalato. A dare un’accelerata era stata la morte, nel 2015 in Puglia, di una bracciante italiana, Paola Clemente, per la fatica mentre lavorava in un campo.

Ma era il 2010 quando a Rosarno le rivolte degli immigrati sfruttati del Sud portavano sotto i riflettori le ben note condizioni di lavoro e di vita in agricoltura. Vent’anni prima lo avevamo scoperto con l’omicidio di Jerry Maslo a Villa Literno.

Come sappiamo da decenni anche nei cantieri edili arrivano lavoratori che alle prime luci del giorno vengono caricati su furgoncini di caporali che spadroneggiano. Questo al nord come al sud, mentre si allunga la lista dei settori in cui avviene. In Friuli Venezia Giulia si sta per aprire il primo processo per il caporalato nei vigneti: la manodopera veniva reclutata in Romania e altri paesi dell’Est da connazionali e la paga era di 6 euro al giorno!

A Saluzzo invece l’anno scorso si è arrivati a una prima storica condanna nel Nord-Ovest per sfruttamento in un macello. È un problema di contratti, regole degli appalti, controlli, e di investimenti sugli ispettorati, sugli investigatori e sulla giustizia del lavoro.

Alcuni comportamenti adottati dai consumatori sono un incentivo al caporalato. Tra questi, c’è l’acquisto di prodotti a basso costo o super scontati. Molte famiglie però non possono permettersi di acquistare prodotti diversi. Come risolvere questo cortocircuito?

Il problema è che dietro i prodotti a basso costo, ci sono salari poveri, orari di lavoro insopportabili, esistenze esaurite. Vale per quello che mangiamo ma anche per quello che indossiamo o per gli oggetti che usiamo. Ed è anche una questione di tutela della salute a livello individuale e collettivo.

Va bene, la domanda rimane: come far accedere le persone con limitate risorse economiche a prodotti migliori e più costosi? La risposta è quella che diciamo da tempo: con sostegno al reddito laddove è necessario ma anche con salari adeguati e aggiornati al costo della vita.

C’è un problema da risolvere, lo vediamo a livello mondiale, che è la sproporzione tra stipendi fermi e profitti stellari, con un gap tra ricchi e poveri che si è allargato: lo dicono i dati di Oxfam e anche quelli della Banca Mondiale. Poi ci sono gli alti volumi di merci prodotte e scartate, sia nelle nostre case sia nel comparto industriale: anche questo incide sui prezzi. Ecco, ormai viviamo un’epoca in cui non è più possibile non considerare che tutti questi elementi sono legati.

È quello che si chiama economia circolare. Eliminare gli eccessi e ogni forma di spreco. Favorire il riuso e il recupero dei beni. Alimentare le reti di distribuzione nell’industria. E serve un ragionamento politico, innanzitutto. Io voglio che anche le persone più povere mangino sano, ma davvero, non come ha detto il nostro ministro all’Agricoltura.

E io penso sia possibile, mettendoci attorno un tavolo con teste pensanti. Io ho appena ospitato una giornata sul tessile sostenibile, a Bruxelles: martedì (19 settembre, ndr) ne abbiamo parlato in un convegno al Parlamento europeo con imprenditori, operatori della moda, studenti e professori degli istituti tecnici.

Ho voluto invitare anche i parlamentari degli altri gruppi perché è un tema serio e va affrontato unitariamente, senza partigianerie. Basta volerlo fare.

I dati mostrati dall’Associazione Terra confermano come il caporalato non sia diffuso solo al Sud Italia, ma anche al Nord Italia.

Terra! ha realizzato un grande lavoro di raccolta di dati e di fatti che ha scatenato anche reazioni dure al nord tra chi nega il fenomeno in quest’area del Paese. Il direttore dell’associazione, Fabio Ciconte, è un giornalista e scrittore che con inchieste e libri da anni denuncia le storture della filiera dell’alimentazione, dai campi alla grande distribuzione.

Perché è tutto legato. Dopo la presentazione del report sul caporalato in Lombardia, alcune organizzazioni degli agricoltori si sono molto risentite, sminuendo il valore del dossier. Eppure sono tante le denunce e i processi in corso su fatti molto gravi. A Pavia è sotto indagine una cooperativa che fornisce ambulanze.

A Cassina de Pecchi è stato clamoroso il processo a un rampollo di famiglia bene che nei campi di fragole biologiche impiegava oltre 70 stranieri sottopagati e fatti vivere in condizioni di schiavitù. A Mantova il sindacato si è costituito parte civile contro un’azienda che sfruttava autisti di camion, mentre pochi mesi fa ci sono stati vari arresti nel settore agricolo.

In tutte le province lombarde, e del Nord, c’è un raffinato quanto evidente sistema di cooperative spurie o sporche, come le definisce Ciconte, che ottengono appalti a ribassi insostenibili se non con lo sfruttamento di lavoratori costretti ad associarsi. Parlarne alla luce del sole è il modo per sostenere le economie locali virtuose e anzi per incentivarle. Anche l’informazione, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ha un grande ruolo.

Il caporalato interessa soprattutto le filiere in cui ci sono ritmi di raccolte più stressanti e concentrati in pochi giorni: meloni, uva, insalate. Cosa si potrebbe fare per evitare che in queste specifiche attività produttive si replichino azioni simili?

Quello dell'agricoltura è un grosso problema, ma ricordiamoci che queste condizioni di lavoro si ripresentano in tutti i settori, anche quelli a cui non si pensa, come per esempio le guardianie o, come dicevo prima, perfino tra i guidatori delle ambulanze. Torno però all’agricoltura, perché voglio aggiungere un dettaglio: senza regole e senza controlli, i lavoratori sono ricattabili. Qui sta la vera grossa ingiustizia. Non possono dire di no a qualunque proposta o richiesta venga loro fatta.

Per le donne poi c’è un doppio rischio, quello, più che probabile, di essere sottoposte anche a molestie e vessazioni sessuali: Stefania Prandi ne ha scritto in un libro inchiesta nei campi di pomodori e fragole nell’area del Mediterraneo, tra Italia, Africa e Spagna. Si chiama Oro rosso e raccoglie le testimonianze e le foto.

Fatti che si aggiungono alle tante denunce emerse dopo l’approvazione della legge sul caporalato. Come Movimento 5 Stelle siamo intervenuti sulle politiche attive del lavoro, col decreto dignità, con il reddito di cittadinanza, con proposte che vogliono stringere le maglie attorno alle innumerevoli forme oscure di intermediazione del lavoro. Perché il caporalato è un reato che genera una criminalità e un’insicurezza per tutti noi.

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