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Opinioni
Inchiesta sull’urbanistica a Milano

Il vero problema di Milano è che non è più una città

L’inchiesta sul sistema immobiliare milanese, al di là dei presunti illeciti da accertare, mostra impietosa una città in cui sempre più le case sono rendite finanziarie, nella mani di fondi esteri. E in cui si costruisce per loro, contro chi abita a Milano.
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Se cercate la definizione di casa, sul dizionario, troverete che è una costruzione eretta dall’uomo per abitarvi.
Se però cercate una casa a Milano difficilmente la troverete.
Perché a Milano – e non ci voleva un’inchiesta della magistratura per attestarlo – troppo spesso non vengono costruite più per abitarci, o per lavorarci.

Al contrario, vengono costruite per costruirle. Per far girare il denaro tra proprietari di terreni, progettisti, costruttori. Soprattutto, per fare di quelle case dei pezzi di prodotti finanziari che vengono poi venduti in Borsa per generare profitti tra i grandi e i piccoli risparmiatori.

Quei prodotti si chiamano fondi immobiliari, e Manfredi Catella, ceo e fondatore di Coima, "re del mattone milanese", "l'uomo che ha portato i grattacieli a Milano", al centro della maxi inchiesta sull'urbanistica milanese che sta travolgendo la politica meneghina in questi giorni, di quei fondi ne possedeva ben trentatré, per un valore totale di 10 miliardi di euro. Il più importante di quei fondi si chiama ESG City Impact, ed è il più grande fondo nazionale di rigenerazione urbana italiano. Dentro ci sono tutti i più grandi investitori istituzionali del Paese: dalla Cassa Forense all’Inarcassa, da Intesa Sanpaolo al Fondo Pensione del Monte dei Paschi di Siena.

Funziona così: il fondo raccoglie denaro dagli investitori e lo utilizza per comprare e gestire immobili, distribuendo poi i ricavi. Per fare ricavi, c’è solo una strada: comprare a poco e rivendere a tanto. E riqualificare intere aree ex industriali o degradate con progetti iconici, che finiscano sulle copertine dei giornali e nelle pubblicità, o sulle bacheche di Instagram di qualche influencer, è la via più facile per farlo. Così è accaduto all’area dell’ex fiera campionaria, che oggi si chiama Citylife, a quella delle ex Varesine, che oggi si chiama Porta Nuova, così accadrà nei sette ex scali ferroviari di Milano, o in quelli che nelle carte della maxi inchiesta sull’urbanistica del modello Milano vengono chiamati “i nodi”.

Basta un Bosco Verticale, una Balena, un Diamantino, Tre Torri ed ecco che il luogo diventa iconico, i prezzi al metro quadro si impennano, l’investimento genera valore e il valore remunera gli azionisti. Anche se le case rimangono vuote, per assurdo. Il sillogismo è semplice: se è questo il motore che guida lo sviluppo di una città, le case smettono di essere case  – costruzioni erette per abitarvi – e diventano strumenti finanziari. E le città smettono di essere città, ma diventano pezzi di terra che devono generare valore per qualcuno che quella città non la abita.

E no, non serviva l’inchiesta della magistratura per raccontare questa trasformazione di Milano. Bastava saper leggere i numeri. I prezzi al metro quadro aumentati del 60% in un decennio. Gli alloggi disponibili su Airbnb che ormai sono più del doppio di quelli disponibili per chi vuole affittare una casa a lungo termine. E poi la crescita senza freni né limiti dei fondi immobiliari. Fondi esteri, soprattutto, che godono di un regime fiscale incredibilmente favorevole. E che oggi hanno un patrimonio gestito nella sola Milano che vale tre volte quel che solo nel 2012 era il patrimonio gestito in tutta Italia.

La magistratura farà il suo corso, la politica pure. Ma quel che rimane a terra, di questa storia, è una città che fatichiamo a chiamare casa. Che sacrifica alla rendita finanziaria ettari ed ettari di terreno per grattacieli ed edifici di lusso che non servono a nulla se non ad alzare il prezzo medio delle aree urbane in cui vengono costruiti. Che non si preoccupa di costruire alloggi popolari e convenzionati – se non in piccole quote necessarie all'approvazione dei progetti – perché agli sviluppatori immobiliari non interessa costruire case che non rendono. Che sacrifica la funzione sociale che ogni progetto di riqualificazione urbana dovrebbe avere nel nome di icone instagrammabili, shopping center di lusso, centri per convegni, tutto a misura di turisti esteri dai portafogli gonfi, laddove servirebbero magari più asili nido o più impianti sportivi. Che gentrifica ogni angolo, persino le periferie, ed espelle senza alcuna remora chi non riesce a permettersi di vivere a Milano. 

È un destino, questo, che accomuna Milano a tutte le metropoli del mondo, da New York a Londra, da Barcellona a Berlino. Ma è un destino che inevitabilmente provoca crisi di rigetto, una bolla insostenibile, che prima o poi esplode. Ed è desolante pensare che dietro a molte di queste città che non sono più città, prigioniere della loro missione di generare rendita, ci siano amministrazioni di sinistra o pseudo tali. Perché queste città, spiace dirlo così, sono la cosa meno di sinistra che esiste. 

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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