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Il reportage straniero sulla mafia in Italia era un fake. Tra i 4 indagati anche reporter Beriain

Secondo i carabinieri di Milano non era un reportage ma una ricostruzione cinematografica “Clandestino – Mafie Italiane”, il documentario trasmesso da Nove (parte offesa) nel 2019. Il giornalista d’inchiesta David Beriain è stato indagato assieme ad altre 3 persone per truffa in concorso. Le interviste a boss e affiliati sarebbero state false.
A cura di Salvatore Garzillo
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Erano stati bravissimi, avevano costruito un reportage perfetto per forma e contenuto. Erano riusciti a entrare nei gangli più profondi della criminalità organizzata italiana, con interviste esclusive a esponenti di ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, e rivelazioni dai boss latitanti. Un lavoro già difficile di per sé, reso ancora più epico dalla nazionalità straniera di autori e produzione. Perfetto, troppo. E infatti, secondo le indagini (vere) dei carabinieri della compagnia Milano Porta Magenta, il documentario “Clandestino – Mafie italiane” era un falso, un fake. Il programma era stato trasmesso nel novembre 2019 sul Nove, che aveva comprato il lavoro per 425mila euro. Il canale, che risulta parte offesa, è stato indotto a credere che il reportage – come scrivono i carabinieri – “contenesse fatti realmente accaduti, filmati da reporter infiltratisi sotto copertura, rivelatisi invece frutto di una recita ad opera di attori appositamente scritturati”.
Per questo la procura milanese ieri mattina ha emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari e ha indagato 4 persone per truffa in concorso. Tra questi c’è anche il noto documentarista spagnolo David Beriain, 43 anni, considerato uno dei massimi esponenti europei di giornalismo d’inchiesta. Destinatari del provvedimento anche un 33enne e una 43enne, responsabili di una società di produzione di documentari che vivono in Spagna. Indagato anche un italiano di 53 anni che vive a Marcianise (Caserta), ex carabiniere rimosso dall’Arma nel 2016 e pregiudicato per reati di corruzione, favoreggiamento, accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio.

Tutto troppo bello

Nel documentario Beriain intervistava, tra gli altri, un politico che ammetteva candidamente di essere a servizio di Cosa Nostra. “La Sicilia è nostra, punto”, dice l’uomo mascherato con tono perentorio, quasi fiero. “Io ho ammazzato mio fratello e mio cognato. Li ho fatti saltare in aria”, rivela un altro personaggio misterioso col volto coperto incontrato in campagna. “Sarà l’intervista più complicata e pericolosa fatta finora”, commenta invece Beriain mentre raggiunge una fonte esclusiva, un boss che arriva addirittura a puntargli la pistola in testa mentre stanno conversando. Tutto credibile ma non vero, precisano i carabinieri.

La finta raffineria di coca a Milano

L’indagine è partita proprio grazie all’occhio attento di un militare in servizio alla compagnia Milano Porta Magenta, che durante la visione del presunto reportage si è accorto di una strana incongruenza. Nel video si mostrava una raffineria di cocaina all’interno di un palazzo di Milano, presentata come base finale di un carico destinato al mercato lombardo. Un materiale esclusivo, incredibile, su cui in tanti addetti ai lavori si erano interrogati, ammirando la capacità di penetrazione della produzione straniera. Il contenuto aveva sorpreso anche gli investigatori, tra cui quel carabiniere solerte che ha riconosciuto il palazzo e ha iniziato gli accertamenti. Secondo quanto hanno riferito, la costruzione narrativa è crollata un pezzo alla volta rivelando una impalcatura fittizia.

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