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“Il carcere gli ha fatto fare i conti con la propria coscienza”: perché si è suicidato Davide Paitoni

Davide Paitoni, l’uomo accusato di aver ucciso il figlio di sette anni, è morto suicida in carcere: “L’auto riflessione elaborata in carcere lo ha sicuramente portato a fare i conti con la propria coscienza, specie in seguito a un crimine tanto grave come l’uccisione di un figlio”.
A cura di Ilaria Quattrone
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Davide Paitoni, l'uomo accusato dell'omicidio del figlio di sette anni, si è tolto la vita nel carcere di San Vittore. Il giorno prima del suo decesso, il giudice dell'udienza preliminare aveva rigettato la richiesta, inoltrata dal suo difensore Stefano Bruno, di perizia psichiatrica. L'uomo sarebbe stato ritrovato sotto le lenzuola. Con ogni probabilità non sarà possibile risalire alle reali motivazioni che lo hanno spinto a questo gesto: "Secondo il mio parere, l'esperienza carceraria, influenza profondamente lo stato psicologico dell'individuo e ci porta inevitabilmente a riflettere su noi stessi": a dirlo a Fanpage.it è la psicoterapeuta Debora Gatto.

Cosa potrebbe aver spinto Paitoni a uccidersi

Le innumerevoli ore passate senza fare nulla potrebbero aver spinto Paitoni a fare i conti con quanto commesso: "Questa auto riflessione lo ha sicuramente portato a fare i conti con la propria coscienza, specie in seguito a un crimine tanto grave come l'uccisione di un figlio". Per le persone con un disturbo psichico potrebbe non esistere il senso di colpa, ma – nel caso specifico di Paitoni – non vi è alcuna certezza della presenza di questa tipologia di malattia.

"Il suicidio può essere considerato come l'azione più radicale in assoluto che colpisce l'istinto di conservazione, di cui tutti naturalmente siamo dotati. Avere questo tipo di alterazione – spiega ancora l'esperta – non può assolutamente farci pensare a un quadro mentale equilibrato, anzi la prima cosa che viene in mente quando si parla di suicidio è la sindrome depressiva".

L'adattamento in carcere può essere difficoltoso

Va considerato inoltre che l'ambiente detentivo favorisce una condizione di vulnerabilità per l'individuo che ci si trova: "Parliamo di un ambiente molto difficile, ostile, quindi l'adattamento può risultare molto spesso difficoltoso. Lo stress – sostiene Gatto ancora a Fanpage.it – che deriva dalla detenzione porta a una modificazione della percezione di sé e del mondo esterno. Sarebbe interessante capire come Davide Paitoni abbia vissuto questo suo periodo in carcere. A questo dovrebbero risponderci gli psicologi che lo hanno conosciuto".

Perché il giudice ha rigettato la richiesta

Considerato il gesto commesso da Paitoni, ci si chiede allora perché questa richiesta sia stata rigettata: "I fatti non sono sufficienti per mettere il giudice nella condizione di capire cosa è successo nella mente di una persona. Nessuno psicologo o psichiatra può farlo se non ha una conoscenza approfondita del funzionamento di una mente, tanto meno una persona inesperta nel campo. Per questo esistono dei tecnici di cui i giudici possono avvalersi per avere risposte e se necessario anche più di un tecnico". Per la dottoressa è certo che non si possa escludere "la malattia mentale in un caso come questo".

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