25 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

“Gli incontri tra gli 007 e i boss di mafia in carcere”: perché si torna a indagare sull’omicidio Mormile

Il giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta di archiviazione sull’omicidio di Umberto Mormile, avvenuto l’11 aprile del 1990 nel Milanese. Cosa accadde allora? A spiegare tutto a Fanpage.it è il fratello Stefano.
A cura di Giorgia Venturini
25 CONDIVISIONI
Immagine

Serve indagare. Ancora. Anche a distanza di anni. Anche se ci sono già condanne in via definitiva per mandanti ed esecutori. Serve indagare perché non si è ancora detto tutto sull'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera di 34 anni ucciso in un agguato di ‘ndrangheta l'11 aprile del 1990 a Carpiano, nel Milanese. A confessare l'assassinio sono Antonio Schettini e Nino Cuzzola, diventati collaboratori e condannati in tutti i gradi di giudizio. La giustizia farà anche i nomi dei mandanti, ovvero i boss di ‘ndrangheta Domenico Papalia e Franco Coco Trovato. Nel 2018 però le confessioni di altri due collaboratori di giustizia Salvatore Pace e Vittorio Foschini riaprirono le indagini, chiuse pochi giorni fa con la richiesta di archiviazione della Direzione distrettuale di Milano. Richiesta però negata dal giudice per le indagini preliminari Natalia Imarisio che ha chiesto di continuare con gli accertamenti. Perché? Quali risposte mancano a un caso che sembrerebbe chiuso? "Sarebbe l'occasione per andare fino in fondo e svelare cosa accadde all'interno del carcere di Opera", spiega a Fanpage.it il fratello di Umberto, Stefano Mormile.

‘Ndrangheta. Servizi segreti. Tentativi di depistaggio e istituzioni (carcerare e no) che preferiscono il silenzio alla collaborazione. Per capire la decisione del giudice per le indagini preliminari bisogna riavvolgere il nastro della vicenda e tornare indietro nel tempo, a qualche minuto dopo quel tragico 11 aprile quando il pubblico ministero di allora di Lodi Carlo Cardi fece scattare le indagini. Fin da subito non mancarono i tentativi di depistaggio: alla redazione di Ansa Bologna arrivò una chiamata quello stesso giorno in cui la "Falange Armata" rivendicava l'omicidio di Umberto. Stesso nome che comparirà per altri omicidi eccellenti e per le stragi del 1993, come quella di via Palestro a Milano. "La sigla è stata utilizzata dalla mafia, il sospetto però è che sia stata studiata da menti più finissime – spiega Stefano -. Lo stesso capo di Cosa Nostra Totò Riina in una riunione ad Enna nel 1991 diede ordine di rivendicare tutte le azioni come ‘Falange armata'. Ma il tentativo di depistaggio non ingannò il pubblico ministero che non trascurò nessun'altra pista". Si iniziò a investigare su amici e parenti, si vagliò la pista patrimoniale, passionale e terroristica.

Il carcere di Opera non collaborò alle indagini

Ma è sulla vita in carcere che si cercò di concentrare l'attenzione. "Il carcere però rimase chiuso alle autorità giudiziarie. Non collaborò nessuno. Perché? Eppure sapere quali erano i detenuti in carico a mio fratello sarebbe stato necessario. A insospettire tutto a pochi minuti dall'omicidio fu il trasferimento dal carcere di Opera di almeno 30 detenuti e di una decina di agenti di polizia penitenziaria. Perché? La direzione si giustificò spiegando che i trasferimenti erano già in programma. Eppure molti agenti non avevano mai fatto neanche domanda di trasferimento". Il carcere di Opera invitò invece gli inquirenti a indagare sulla casa circondariale di Parma dove Umberto lavorava prima del trasferimento a Milano: in quegli anni il carcere emiliano era stato al centro di un'inchiesta per corruzione, soldi in cambio di favori e premi per i detenuti. Ma Umberto dalle indagini ne uscì completamente pulito. Le indagini invece sull'omicidio ebbero un momento di arresto quando il pubblico ministero Cardi venne trasferito immediatamente a Livorno: "L'inchiesta fu affidata a nuovi sostituti procuratori neo assunti. La volontà per molti non era di andare avanti".

La svolta arrivò nel 1993 quando l'inchiesta "Nord Sud" scoperchiò anche le infiltrazioni di ‘ndrangheta in Lombardia sulle parole di uno dei primi pentiti dell'organizzazione calabrese Saverio Morabito. Questo parlò anche dell'omicidio di Umberto e per questo le indagini passarono alla Procura di Milano e al procuratore Alberto Nobili. "Morabito fu il primo ad accostare l'omicidio di mio fratello al boss di ‘ndrangheta detenuto al carcere di Opera Domenico Papalia. Non si fece in tempo neanche ad avviare i primi accertamenti che Antonio Schettini confessò di essere l'esecutore materiale dell'omicidio, entrando così a far parte dei collaboratori di giustizia. Ma Schettini raccontò una versione non vera". Alla Procura infatti spiegò che l'ordine di uccidere era partito da un altro boss, Antonio Papalia, fratello del detenuto Domenico: raccontò che Umberto si era appropriato di 30 milioni di lire con la promessa di ottenere un permesso premio proprio per Domenico Papalia. Per poi però tirarsi indietro all'ultimo. Così Schettini venne condannato, ma in aula si avvalse della facoltà di non rispondere.

La confessione di Nino Cuzzola

Per il fratello Stefano prima e per la Procura poi a raccontare il vero movente dell'omicidio fu Nino Cuzzola, che davanti ai magistrati anche lui confessò il suo coinvolgimento nella morte di Umberto. L'educatore di Opera infatti si era accorto che all'interno del carcere entrarono senza autorizzazione scritta o alcuna registrazione alcuni membri dei servizi segreti: questi parlarono proprio con Domenico Papalia ottenendo da lui informazioni in cambio di permessi premio. Umberto aveva capito tutto e durante una discussione con un altro detenuto, che si lamentava di non avere avuto dei permessi come era stato per il boss di ‘ndrangheta, si era lasciato sfuggire di questi colloqui riservati che il boss aveva avuto con i servizi segreti. Da qui la decisione di ucciderlo. Ma perché i servizi segreti incontravano nelle carceri i boss delle organizzazioni criminali? "Si scoprì con il tempo essere una pratica molto diffusa tanto che nel 2004 venne tutto documentato nel ‘Protocolla Farfalla‘". Ovvero un accordo stipulato tra il dipartimento di amministrazione penitenziaria e il Sisde in cui veniva elencati i boss messi sotto osservazione dai servizi segreti e avvicinati con la proposta di diventare confidenti in cambio di denaro.

Le condanne e la riapertura del caso

Cuzzola confermò anche che la decisione di rivendicare l'omicidio come "Falange Armata" era stata presa da Antonio Papalia e che i fratelli Papalia e Franco Coco Trovato erano i mandanti dell'omicidio. Le dichiarazioni del pentito vennero confermate dalla indagini. A distanza di poco tempo però le parole di un altro pentito Emilio Di Giovine supportarono nuovamente il racconto di Schettini e dei 30 milioni di lire accettati da Umberto per alcuni favori. "Tesi però mai verificata nel dettaglio dalla Procura – tiene a precisare Stefano -. Se lo avesse fatto avrebbe scoperto che tutto ciò è impossibile. Anche perché non si possono nascondere 30 milioni di lire. Eppure entrambi le tesi comparvero nelle motivazioni della sentenza che condannò in via definitiva mandanti ed esecutori materiali". Nel 2018 poi le nuove confessioni di Salvatore Pace e Vittorio Foschini sul coinvolgimento nell'omicidio riaprirono le indagini: in due anni si cercò di indagare sui colloqui tra gli 007 italiani e i boss di mafia. Fu sentito il tenente in servizio al Sisde Andrea De Lucia che confermò i suoi ingressi non registrati in carcere ad Opera ma negò i suoi colloqui con il boss: le sue visite, precisò, servivano per avere informazioni sui detenuti politici dai vertici del carcere. Ora il gip ha chiesto di indagare ancora. "Perché questo coinvolgimento dei servizi segreti in carcere è un vero ‘sistema', accertato anche dal Protocollo Farfalla. E proprio per questo ‘sistema' Umberto è morto. Un nuovo processo, che vede imputati Pace e Foschini, permetterebbe di tornare su tutta la vicenda. Sarebbe anche l'occasione per confermare e condannare questi tipi di incontri in carcere", conclude Stefano.

25 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views