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Cosa significa maranza e cosa si nasconde dietro la narrazione che li addita come nemico pubblico

Maranza è una definizione che ormai domina lo spazio di molti media mainstream, ma anche i discorsi di politici come il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Ma cosa significa maranza e cosa si nasconde dietro la narrazione che li addita come nemico pubblico numero uno? Ne ha parlato con la redazione di Fanpage.it Federico Boni, docente di sociolinguistica all’Università degli Studi di Milano.
Intervista a Federico Boni
Docente di sociolinguistica all'Università degli Studi di Milano
A cura di Matteo Lefons
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A Milano qualunque cosa accada, è sempre colpa del maranza. Le maranzine che hanno rubato i profumi, i maranza che in manifestazione hanno rotto vetrine insieme agli anarchici "ProPal", il trapper Baby Gang e le sue pistole un po' in linea con i criminali milanesi di altre epoche. Una volta trovato il nemico comune, tendenzialmente straniero o di seconda generazione, ecco che gli si costruisce tutt'intorno una narrazione che colpevolizza le sue azioni. Ma chi è davvero il maranza? Ne abbiamo parlato qui a Fanpage.it con Federico Boni, docente di sociolinguistica all'Università degli Studi di Milano.

Professore, nei decenni scorsi la denominazione maranza indicava il "tamarro italiano che si comportava seguendo determinati codici considerati fuori moda. Era ben rappresentato da un Jovanotti vestito a stelle e strisce (il primo che utilizzò maranza in una canzone) o da pezzi come il Funkytarro degli Articolo 31. Oggi il suo significato è drasticamente cambiato. Come si è evoluta questa parola?

Prima il maranza era un fenomeno prettamente italiano, indicava persone che si vestivano con marche riconoscibili, ma ne facevano un uso scorretto ed eccessivo rispetto al gusto comune. Negli ultimi anni c'è stato uno shift, un cambiamento drammatico: oggi la parola designa giovani teenager stranieri o di seconda generazione e quindi al concetto di eccesso si è aggiunto un fattore più linguistico. C'è un totale scollamento generazionale che non è solo "etnico", ma proprio di linguaggio. Le altre generazioni non riescono proprio a capire ciò che rientra nell'immaginario del "maranza".

Eppure la narrazione del maranza è preponderante nei media italiani. Quali possono essere gli effetti sul sociale di questo tipo di racconto?

Ha l'effetto di creare panico e di individuare un nemico pubblico che è perfetto perché il maranza già si propone come tale. Vale anche per tutte le sottoculture dei decenni precedenti: i giovani si sono sempre prestati a essere il giusto capro espiatorio. Questo perché sono da sempre un anello debole della catena, sono lo specchio di una comunità che non vuole vedersi riflessa in determinati atteggiamenti. Con i maranza contemporanei succede molto questa cosa, sono raccontati come un pericolo, il nemico numero uno.

La parola maranza è stata sdoganata e si è deciso che appartiene a un determinato gruppo. Da quel momento, in che modo è cambiata la percezione delle persone di quel gruppo? Hanno iniziato a sentirsi davvero maranza?

Io credo di sì. Il maranza si identifica nell'etichetta che gli è stata affibbiata, ne fa una questione d'onore, un po' come la parola Nigga utilizzata come codice tra i neri degli Stati Uniti. Lo scollamento con gli altri gruppi sociali è qualcosa che vogliono anche loro stessi. Al maranza non interessa essere descritto come una figura estranea rispetto al comune sentire, al contrario è proprio lui che si propone come altro, anche in maniera abbastanza radicale. Fa propri alcuni valori fondanti della nostra società, come il successo, la fama e i soldi, li porta all'esasperazione e poi li sbatte in faccia a tutti dicendo: "Se tu non mi capisci, non me ne frega proprio niente". C'è un'incomunicabilità di fondo perché forse la cultura dominante non vuole vedere che il maranza parla il suo linguaggio, ma lo deforma in maniera tale che riconoscere determinate pratiche significherebbe riconoscere la propria mostruosità.

Come si potrebbe fare per avere una narrazione più accogliente verso chi è considerato il diverso, come nel caso dei maranza?

Il punto di partenza sarebbe conoscere il mondo del maranza, che più che una sottocultura è uno stile generalizzato. Ma non credo sia quello che si vuole. Il problema dei media è che, a differenza di altri stili giovanili del passato come il punk, quello dei maranza sembra qualcosa che non si può normalizzare, che non si fa stritolare nell'abbraccio della cultura mainstream.

Cosa c'è di così diverso tra il maranza e altre sottoculture da non permettere tutto ciò?

Il fatto cruciale è che sono stranieri. L'essere straniero o di seconda generazione porta una frattura molto più forte rispetto a tutte le precedenti. Basti pensare alle sottoculture hip hop degli anni '90 in cui veniva recuperato un certo localismo linguistico regionale, come la scena salentina che ha riportato in auge la Taranta. Questo fenomeno è completamente diverso: il maranza non ha problemi nel dirti che il re è nudo, prende il sistema valoriale e lo rivolta, lo ridefinisce, gli dà un altro significato. È proprio una cultura altra che entra in aperto conflitto con la nostra.

Pensi che questa narrazione del maranza come capro espiatorio sia volta a isolare e combattere determinati fenomeni, che vanno in contrasto con il racconto di una Milano attrattiva?

Fino a un certo punto. Io rimango convinto che il maranza sia funzionale al racconto di Milano come città così cosmopolita da rivendicare la paternità di questo o quel fenomeno giovanile, così globale da accogliere culture alternative a quella dominante. La narrazione di Milano è un po' una meta narrazione, che ne comprende tante diverse. Il fatto che i media cavalchino così tanto questa definizione di uno stile giovanile mi fa pensare che in fin dei conti sono consapevoli del ruolo positivo che ha il maranza nella costruzione dell'immaginario di Milano.

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