Come Milano potrebbe diventare una metropoli inclusiva seguendo l’esempio di Vienna

Le ultime inchieste sull'urbanistica che hanno travolto la città di Milano hanno riacceso il dibattito sulle trasformazioni avvenute in città negli ultimi anni e sul modello di sviluppo che i suoi amministratori hanno promosso o lasciato sviluppare nel corso del tempo. Le indagini della Procura, inoltre, toccano un problema a cui gli abitanti di Milano sono molto sensibili: quello della casa. Nelle carte dell'inchiesta i pm hanno descritto un mercato immobiliare milanese sempre più influenzato dagli investimenti dei fondi finanziari, dove costruzioni e ristrutturazioni portano grandi profitti per le società e cambiano il volto di Milano, ma non rispondono ai bisogni della maggior parte delle persone che ci abitano o ci vorrebbero abitare.
Il problema dell'edilizia popolare a Milano
Gli alti investimenti dei privati, come spiegato in precedenza a Fanpage.it da un esperto, generano "processi di sostituzione sociale: chi ha redditi più bassi può essere progressivamente spinto fuori dai quartieri riqualificati, senza che vi siano strumenti compensativi efficaci". L'altra faccia della medaglia è la mancanza di un sistema di edilizia popolare adeguato alle esigenze dei cittadini. I dati sul numero di case popolari vuote a Milano non sono pubblici: l'assessore alla casa Fabio Bottero ha detto che ci sarebbero 2.300 appartamenti da ristrutturare su un totale di circa 21mila. Oltre a queste, ci sarebbero altre 2.700 case che non si possono assegnare perché destinate ad altri progetti, come case per lavoratori. Secondo Samuele Piscina, segretario milanese e consigliere comunale della Lega, le case non disponibili al momento sarebbero invece circa 6.100, il 22% del totale.
Come funziona il social housing in Europa: l'esempio di Vienna
In altre città europee il sistema di social housing è molto più sviluppato. A Vienna, per esempio, gli alloggi di edilizia sociale sono 400mila e ci abita circa il 40% dei residenti. Qui, il concetto di edilizia pubblica si discosta molto dalla sua accezione italiana: la grande quantità di alloggi fa in modo che a Vienna le case popolari non siano riservate solo ai cittadini meno abbienti, ma possono accedervi anche persone con un reddito medio. Le case vengono assegnate tramite bandi, ai quali può partecipare anche chi ha parametri reddituali elevati. Così facendo, nel tempo si è creata una situazione di convivenza tra persone con diverse possibilità economiche.
Matteo Colleoni, esperto di sociologia dell'ambiente e del territorio all'università Bicocca di Milano, ha spiegato a Fanpage.it le divergenze storiche e le differenze sociali che hanno portato Milano (e le altre città italiane) e Vienna a svilupparsi in modo così diverso.
Perché a Vienna ci sono così tante case popolari e a Milano no?
Lo sviluppo delle politiche di social housing è stato debole non solo a Milano, ma in tutta Italia. É successo perché qui ce n'era meno bisogno, visto che c'erano già altre realtà non pubbliche, come la Chiesa, le associazioni o le imprese, che offrivano case in affitto a prezzi abbastanza bassi. In Germania, invece, questo supporto non c'era perché la tradizione cattolica non era così forte come in Italia. A Vienna ci sono delle ottime politiche di social housing perché nessun altro poteva farlo e quindi ci ha pensato il pubblico. Va anche tenuto conto che in Italia, soprattutto nei piccoli comuni, ci sono reti familiari molto forti e compatte. Per questo accadeva spesso che i figli andassero a vivere in case di proprietà dei genitori, o che gli affitti fossero concordati tra conoscenti in comunità molto ristrette. Questa situazione è ancora presente in città medio-piccole delle aree interne.
Perché invece a Milano non ci sono più?
A Milano queste stesse associazioni o organizzazioni private non possono più permettersi di dare case in affitto a prezzi bassi. Per questo le hanno vendute o hanno alzato gli affitti equiparandosi al mercato. In pratica il sistema assistenzialistico del mondo religioso e quello delle imprese, si sta adeguando al sistema privato. A fronte di questa situazione sono mancate politiche integrative e i piani di social housing sono partiti in ritardo rispetto a città come Vienna dove, per i motivi che abbiamo detto prima, la tradizione di edilizia pubblica era molto più radicata.
Che differenze ci sono tra l'edilizia pubblica viennese e quella milanese?
A Vienna il sistema di social housing è molto più sviluppato e per questo i criteri di accesso sono molto più flessibili: anche una coppia di neolaureati con un bambino e uno stipendio accettabile può entrare in una casa popolare. Da noi, invece, l'offerta di case è contenuta e questo obbliga a rendere più stringenti i criteri di accesso alle abitazioni. Un'altra differenza sta nel fatto che a Vienna le case di edilizia popolare sono state costruite rispettando criteri di sostenibilità dal punto di vista ambientale, sfruttando le nuove norme per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. In questo modo la sostenibilità economica è integrata a quella socio-ambientale.
Noi quando parliamo di social housing lo interpretiamo all'italiana come un sistema di abitazioni per chi è povero. A Vienna invece la casa popolare è una casa ambientalmente molto bella che avrebbe anche un valore di mercato, destinata anche a un ceto medio che paga un affitto. E non è che paga poco, però non paga sicuramente i prezzi di mercato. Allo stesso tempo comprare una casa a Vienna resta costoso come a Milano: non stiamo parlando di una città che ha eliminato il valore immobiliare. La differenza con Milano è che Vienna ha portato avanti politiche di social housing non solo nei quartieri periferici, ma anche semi-centrali, permettendo alla popolazione giovane di restare in città.
Cosa può fare Milano per avvicinarsi a Vienna?
L'obiettivo di Milano dovrebbe conciliare la ricchezza e la concentrazione in città del capitale finanziario, economico, culturale e artistico con politiche di social housing, di riqualificazione di quartieri, che sappiano far restare la popolazione. Per esempio i ragazzi che vengono a studiare a Milano, dove abbiamo università di eccellenza, dovrebbero restare a vivere a Milano grazie a politiche di social housing. Così facendo potrebbero mantenere e restituire alla città la creatività, l'innovazione la cultura che hanno ricevuto da Milano. Su questo punto ci stiamo muovendo: abbiamo un programma di realizzazione di studentati molto importante che sta aumentando l'offerta di case, ma non è ancora abbastanza rispetto domanda. Questo vuol dire che siamo partiti un po' tardi.