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Culla per la vita: cos’è, come funziona e dove si trova

Le culle per la vita sono delle strutture concepite per far sì che le mamme in difficoltà possano lasciare i neonati in sicurezza. A Milano e in Lombardia ce ne sono dieci. Cos’è e come funziona una culla per la vita? Dove si trovano e quali leggi tutelano le madri che la usano?
A cura di Francesca Del Boca
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Il caso del piccolo Enea, il neonato affidato dalla mamma al Policlinico di Milano il giorno di Pasqua, attraverso la Culla per la Vita di Milano, ha fatto parlare tutta Italia. Così come, solo un mese dopo, la storia di Noemi, deposta invece dalla mamma nella Culla per la Vita della Croce Rossa di Bergamo.

In Lombardia le Culle per la Vita sono in totale 11, e sono sparse in quasi tutte le province della regione: si trovano ad Abbiategrasso, Bergamo, Brescia, Crema, Cremona, Marcallo con Casone, Melegnano, Milano, San Giuliano Milanese, Varese, Vigevano.

Ma cos'è la Culla per la Vita, e come funziona?

Cos'è la Culla per la Vita

La Culla per la Vita è una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita.

In un luogo facilmente raggiungibile, garantisce l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino ed è dotata di una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico) che permettono un facile utilizzo e un pronto intervento per la salvaguardia del neonato.

Dove si trovano a Milano e in Lombardia

Quella del Policlinico di Milano si trova in via della Commenda 10, alla destra dell'ospedale. L'ingresso del locale esterno è nascosto dietro a un chiosco di fiori, ed è studiato appositamente in modo da permettere alla madre di accedervi con discrezione e, soprattutto, in totale anonimato: si arriva alla saracinesca della culla attraverso un piccolo corridoio con due curve a gomito, protetto da sguardi indiscreti. Non ci sono telecamere.

La culla è stata inaugurata a novembre 2007, anche a seguito di un aumento dei bebè non riconosciuti (e spesso abbandonati in luoghi non protetti) negli anni precedenti: tra il 2005 e il 2006, infatti, solo alla clinica Mangiagalli erano triplicati, passando da cinque a quattordici.

Tramite questa struttura il Policlinico aderisce al progetto "Ninna Ho" della Fondazione Francesca Rava, iniziativa nazionale a tutela dell'infanzia abbandonata che ha l'obiettivo di informare le madri sulla possibilità di partorire in anonimato, anche in ospedale. Da quando la Culla per la Vita del Policlinico è stata attivata, nel 2007, è la terza volta che viene usata.

In Lombardia, invece,le Culle per la Vita sono 11, e sono sparse in quasi tutte le province della regione: si trovano ad Abbiategrasso, Bergamo, Brescia, Crema, Cremona, Marcallo con Casone, Melegnano, Milano, San Giuliano Milanese, Varese, Vigevano. Quella di Bergamo è stata inaugurata nel 2007, e si è attivata per la prima volta con l'ingresso della piccola Noemi.

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Come funziona la culla termica, tra allarmi e sensori hi-tech

La culla termica si trova dietro una saracinesca automatica, che si attiva una volta premuto il pulsante apposito: simile a quelle usate nelle terapie intensive neonatali, è riscaldata e ha sensori hi-tech che monitorano la temperatura, il battito cardiaco e la respirazione del neonato. Contiene anche una copertina per riscaldare il neonato.

Depositato il bambino sul materassino riscaldato, la saracinesca si abbassa e scatta un allarme in ospedale. In quel momento gli operatori sanitari possono raggiungere la culla, estrarla dalla struttura esterna e portarla in reparto. Non vengono attivate procedure per rintracciare o identificare la madre.

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Cosa succede dopo: quando il neonato diventa adottabile

Nel caso di non riconoscimento di un neonato entro i primi dieci giorni di vita, l’Ospedale invia immediata comunicazione al Tribunale per i Minorenni.

Quest’ultimo dichiara immediatamente lo stato di adottabilità a meno che i genitori non chiedano altro tempo per riconoscere il figlio (massimo 2 mesi) o provvedano comunque a fornirgli assistenza.

Dopo la dichiarazione dello stato di adottabilità, il Tribunale per i Minorenni individua, tra le coppie che hanno presentato la disponibilità all’adozione nazionale, quella maggiormente in grado di educare e mantenere il minore, anche in relazione alle particolari caratteristiche di quel bambino.

Una volta individuata la coppia il Tribunale dispone l’affidamento preadottivo del minore alla famiglia per un anno. Durante questo periodo il bambino e la famiglia vengono seguiti dai servizi socio-assistenziali: se sorgono difficoltà durante tale periodo il Tribunale può prorogare l’affidamento preadottivo oppure può revocarlo nei casi più gravi.

Se questo affidamento avrà esito positivo, il Tribunale decreterà finalmente l’adozione e il minore diventerà così figlio legittimo della famiglia adottiva, assumendone il cognome.

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Quali sono i diritti della madre

La legge italiana, in questo senso, riconosce alla neo madre tre diritti fondamentali.

Il primo è il diritto alla scelta sul riconoscimento: ogni donna ha diritto di scegliere se riconoscere come figlio il bambino da lei procreato. Tale diritto è tutelato espressamente dall’art. 30 comma 2° del d.p.r. 3 novembre 2000, il quale stabilisce che il medico o l’ostetrica o altra persona che ha assistito al parto devono fare la dichiarazione di nascita all’ufficiale dello stato civile o al direttore sanitario dell’ospedale “rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”.

Il secondo, il diritto a un ulteriore periodo di riflessione dopo il parto (della durata non superiore a due mesi), richiedendo al Tribunale per i minorenni la sospensione della procedura di adottabilità (v. al riguardo l’art. 11, commi 2 e 3, della legge n. 184/1983).

Infine, il diritto al segreto del parto: per chi decide di non riconosce il proprio nato, la segretezza del parto deve essere garantita da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti.

In questo caso, nell’atto di nascita del bambino, che deve essere redatto entro dieci giorni dal parto, risulta scritto “figlio di donna che non consente di essere nominata”. Nei servizi sociali e negli ospedali, tutto il personale ha l’obbligo di osservare la massima riservatezza rispetto alla madre che “non consente di essere nominata” e di mantenere il segreto all’esterno su tutto ciò che la riguarda. Il nome della madre e le notizie su di lei sono tutelate per legge dal segreto.

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