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Chi è Giuseppe Piccolomo, il killer “delle mani mozzate” condannato all’ergastolo

Si trova ora in carcere e condannato all’ergastolo Giuseppe Piccolomo. In Lombardia è conosciuto per essere il killer delle mani mozzate: aveva ucciso a coltellate e tagliato le mani alla pensionata Carla Molinari.
A cura di Giorgia Venturini
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A sinistra Giuseppe Piccolomo a destra la moglie Marisa Maldera
A sinistra Giuseppe Piccolomo a destra la moglie Marisa Maldera

In Lombardia lo sconoscono per essere il killer "delle mani mozzate". La violenza che utilizzò per uccidere Carla Molinari sconvolse tutta la regione. Si trova ora in carcere e condannato all'ergastolo Giuseppe Piccolomo. Il suo nome è legato a all'omicidio del 2009: era il 5 novembre quando uccise con 23 coltellate la pensionata di Cocquio Trevisago, nel Varesotto.  Fu un efferato omicidio: le tagliò la gola con una forza tale da decapitarla e la mutilò mozzandole le mani. Da qui il soprannome del killer "delle mani mozzate". Perché uccise e perché con tale ferocia ancora oggi è un mistero. Piccolomo dal carcere di Bollate resta in silenzio.

Il mistero dell'omicidio della moglie Marisa Maldera

Piccolo non fu indagato solo per l'omicidio dell'anziana Molinari. La Procura lo accusò anche di essere il responsabile delle morte della moglie Marisa Maldera, morta carbonizzata all’interno della sua auto nel 2003. La Corte d'Assise del Tribunale di Varese lo condannò all'ergastolo in primo grado. Tutto cambiò però con la sentenza di secondo grado: la Corte d'Assise d'Appello di Milano annullò infatti la sentenza di primo grado. Per i giudici del capoluogo lombardo "non si può processare due volte un cittadino già condannato per il medesimo fatto, secondo il principio del ne bis in idem".

Per i giudici, dunque, resta valida la pena di un anno e tre mesi decisa nel 2006 durante un patteggiamento tra le parti che stabilirono che la morte della donna si trattava di omicidio colposo. Si era trattato di un incidente per i legali e non di omicidio. La Cassazione ha infine confermato quanto deciso in Appello: Piccolomo non andava riprocessato per lo stesso reato.

Per l'accusa Piccolomo ha ucciso la moglie

L'accusa nel corso delle indagini e del processo ha sempre sostenuto la tesi che Piccolomo potrebbe simulato un incidente. Per gli inquirenti però l'uomo avrebbe sedato la moglie e poi l'avrebbe arsa viva dando fuoco alla vettura con una tanica di benzina. Perché? Il movente – sempre secondo l'accusa – sarebbe da ricercare nella nuova relazione dell'uomo con una giovane lavapiatti del suo ristorante. Piccolomo, una volta vedovo – avrebbe potuto incassare la polizza sulla vita e sposare la giovane. Il patteggiamento tra le parti legali aveva reso il processo nullo.

"Processi accompagnati da una pubblica aspettativa di condanna hanno un'altissima probabilità di rendere sentenze ingiuste – aveva detto Stefano Bruno, l'avvocato di Piccolomo -. E voglio precisare che durante il lungo dibattimento non è emerso nulla di nuovo rispetto il quadro probatorio già in essere".

Piccolomo tra i sospettati per la morte di Lidia Macchi

Giuseppe Piccolomo finì anche tra i sospettati per la morte di Lidia Macchi, scomparsa il 5 gennaio del 1987 e trovata senza vita due giorni dopo in una zona boschiva vicino alla ferrovia di Cittiglio, in località Sass Pinin, in provincia di Varese. Lidia era stata prima violentata e poi uccisa.

A far insospettire gli inquirenti furono principalmente quattro indizi: il primo è che le figlie di Piccolomo rivelarono che il padre più volte le aveva minacciate di far fare loro la fine di Lidia Macchi. Secondo, la casa dell'uomo distava solo poche centinaia di metri dal luogo dell'omicidio. Terzo, il corpo di Lidia era stato trovato coperto da un cartone di cui Piccolomo poteva essere facilmente in possesso. Infine il suo identikit coincideva con quello fatto da alcune donne che avevano subìto un tentativo di molestia nel parcheggio dell'ospedale sempre di Cittiglio. Piccolomo però non venne mai processato per la morte di Lidia: i sospetti non trovarono mai prove certe. In più il Dna esaminato dopo l'apertura del caso non corrisponde al suo. La morte della ragazza è uno dei casi irrisolti della Lombardia.

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