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Chamila Wijesuriya uccisa da Emanuele De Maria, come funzionano i permessi lavorativi per i detenuti

Fa discutere il caso di Emanuele De Maria, detenuto da due anni impiegato come receptionist a Milano, che ha prima ucciso la collega Chamila Wijesuriya e poi accoltellato l’altro dipendente dell’hotel Hani Nasr. Ecco come funzionano davvero i permessi per i carcerati.
Intervista a Paolo Di Fresco
Avvocato penalista del Foro di Milano
A cura di Francesca Del Boca
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Fa discutere il caso di Emanuele De Maria, detenuto nel carcere di Bollate che, mentre era in permesso diurno per lavoro, ha prima ucciso la collega Chamila Wijesuriya e poi accoltellato l'altro dipendente dell'Hotel Berna di Milano Hani Nasr, riducendolo in fin di vita.

E così, mentre il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri ha chiesto con un'interrogazione parlamentare al Ministero della Giustizia di esaminare il fascicolo del 35enne, condannato a 14 anni e 3 mesi (poi ridotti a 12 in appello) per aver sgozzato una 23enne in un hotel di Castel Volturno (Caserta) nel 2017, i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano hanno subito chiarito: "Il fatto era imprevedibile, non c'era nulla che lasciasse presagire il drammatico esito. Il suo percorso in carcere è stato positivo". Mentre il pm milanese Francesco De Tommasi è al lavoro per studiare le relazioni del carcere di Bollate, e valutare se vi sia stata qualche "sottovalutazione" del pericolo da parte degli organi competenti.

Ma come funzionano davvero i permessi lavorativi per i detenuti e quindi per De Maria, che nel 2023 (dopo aver scontato cinque dei 14 anni e 3 mesi di condanna con rito abbreviato per omicidio) avuto accesso al lavoro esterno ed era regolarmente assunto come receptionist di hotel, come prevede l'articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario?

Paolo Di Fresco
Paolo Di Fresco

Cosa prevedono i permessi lavorativi per i detenuti?

I permessi per detenuti sono uno strumento previsto dall’ordinamento penitenziario italiano per favorire il reinserimento sociale del condannato e consentire la tutela di particolari situazioni personali o familiari. Consistono, in estrema sintesi, in uscite temporanee dal carcere, che per ragioni diverse sono autorizzate dall’autorità competente (da individuare, a seconda dei casi, nel Direttore del carcere o nel Magistrato di Sorveglianza).

Quali sono le tipologie? 

La legge sull’ordinamento penitenziario annovera, tra gli altri, i cosiddetti permessi ordinari, che vengono concessi per motivi personali o familiari (ad esempio, un lutto); i permessi premio (fino a 45 giorni l’anno) di cui possono usufruire i detenuti che abbiano espiato almeno una parte della pena (10 anni in caso di ergastolo) mantenendo negli anni un comportamento regolare; i permessi di necessità dovuti a esigenze medico-sanitarie che non possono essere adeguatamente gestite in carcere. Il magistrato di sorveglianza può, inoltre, autorizzare il detenuto a svolgere all’esterno un’attività lavorativa allo scopo di rafforzarne il percorso rieducativo e favorirne il reinserimento sociale.

Si rivolgono anche ai condannati per delitti gravi, come l'omicidio?

Sì. Possono essere concessi anche per l’omicidio e altri delitti gravi ma in questo caso occorrono alcune valutazioni preliminari. Talvolta è condizione indispensabile che il detenuto abbia scontato almeno un minimo di pena. Ad esempio, per l’assegnazione al lavoro esterno si tiene conto della gravità del reato a cui il detenuto è stato condannato: in caso di delitti commessi per finalità di terrorismo o di delitti di mafia, infatti, è necessario che il detenuto abbia già espiato un terzo della pena. Nei confronti dei condannati all'ergastolo, invece, l'assegnazione può avvenire solo dopo l'espiazione di almeno dieci anni di carcere.

Chi può accedere a questi benefici? 

In linea di principio, tutti i detenuti che abbiano tenuto una condotta regolare e che non appaiano socialmente pericolosi possono accedere ai benefici. Un regime più restrittivo si applica, tuttavia, ai condannati per i reati ostativi (associazione mafiosa, sequestro a scopo di estorsione, terrorismo, ecc.). In questi casi, il premio può essere concesso solo quando siano stati acquisiti elementi che escludano l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o il pericolo di un loro ripristino.

Qual è lo scopo di questi permessi?

Scopo delle misure premiali, appunto, è quello di favorire il reinserimento sociale del detenuto, consentendogli di uscire temporaneamente dal carcere per coltivare i suoi legami affettivi o gli interessi culturali e lavorativi.

Chi li decide?

La richiesta di permesso premio va presentata al magistrato di sorveglianza, che decide previa valutazione della documentazione e sentito il parere del direttore dell'istituto penitenziario. Per i condannati per i reati ostativi è previsto un procedimento più articolato, che include l'acquisizione del parere del pubblico ministero e, in alcuni casi, del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Possono essere revocati?

Sì, nel caso in cui vengano meno i presupposti che ne avevano giustificato la concessione. Volendo fare qualche esempio, si consideri che il magistrato di sorveglianza può revocare il permesso quando il detenuto violi le prescrizioni o tenga un comportamento incompatibile con le finalità del beneficio: per intenderci, quando commetta un nuovo reato. La revoca, com’è facile intuire, comporta la decadenza dal beneficio e, nei casi più gravi, può incidere negativamente sul trattamento penitenziario complessivo e sull'accesso ad altri benefici, come ad esempio la liberazione anticipata.

Sono previsti dei "controlli" durante il percorso? Insomma: chi vigila?

Si. La vigilanza sul rispetto delle condizioni stabilite nel provvedimento di concessione del permesso spetta alle forze di polizia e, nel caso in cui il magistrato di sorveglianza ritenga necessaria una sorveglianza più stretta, alla polizia penitenziaria. Sulle modalità dei controlli c’è invece una certa discrezionalità.

Con che criteri viene selezionata la tipologia di lavoro fuori dal carcere?

Il lavoro non viene scelto dal detenuto, ma nella sua richiesta questi può manifestare un interesse coerente con le sue competenze ed esperienze pregresse. In altri casi la proposta proviene dall’Ufficio dell’esecuzione penale esterna, che segnala gli enti pubblici o le imprese private che hanno sottoscritto una convenzione con l’amministrazione penitenziaria e si impegnano a garantire un ambiente conforme alla finalità rieducative.La decisione finale, in ogni caso, spetta al magistrato di sorveglianza, che terrà conto della condotta pregressa del detenuto e ne valuterà l’assenza di pericolosità sociale.

È un lavoro retribuito?

Il lavoro esterno è retribuito, a meno che non si tratti di un’attività di volontariato o di servizio sociale. Il detenuto può uscire e rientrare quotidianamente dal carcere, oppure può essere ospitato in una struttura esterna: ciò accade, di regola, quando gli è stata concessa la semilibertà.

Cosa si intende per "percorso carcerario positivo", di cui hanno parlato i giudici del Tribunale di Sorveglianza?

Sintetizzando, si intende la complessiva valutazione del comportamento del detenuto, di cui si deve tener conto per decidere l’accesso ai benefici o al lavoro esterno. Gli elementi che denotano un percorso positivo sono, tra gli altri, la condotta disciplinata in carcere, l’adesione al trattamento rieducativo, la riflessione critica sulle proprie condotte, la stabilità emotiva e l’assenza di atteggiamenti aggressivi o manipolatori. L’esistenza o meno di questi presupposti viene valutata da una equipe multidisciplinare formata da educatori, psicologi e personale dell’amministrazione penitenziaria, che redige una relazione da sottoporre al vaglio del magistrato di sorveglianza, a cui spetta l’ultima parola sulla concessione o meno del beneficio.

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