Anche l’ex capo ultrà dell’Inter Marco Ferdico confessa l’omicidio di Boiocchi: “Pianificato per settimane”

Confessa davanti ai pm di Milano anche Marco Ferdico, 40 anni, storico portavoce della Curva Nord interista oggi incastrato dalle testimonianze dell‘ex capo ultrà Andrea Beretta e del suocero Pietro Andrea Simoncini. E così oggi il numero due del tifo organizzato nerazzurro ammette il suo coinvolgimento nell'omicidio di Vittorio Boiocchi, avvenuto il 29 ottobre 2022 al Figino su ordine di Beretta per "far fuori" l'ormai scomodo big del secondo anello verde.
Un delitto "avvenuto con modalità mafiose" e inserito nel contesto di una "guerra" sulla gestione degli affari legati al mondo delle Curve che, stando a quanto rivelato dallo stesso Ferdico, era già stato definito nei dettagli almeno due settimane prima del 29 ottobre. Il commando infatti sarebbe dovuto intervenire per assassinare Boiocchi già a metà dello stesso mese, operazione poi saltata a causa di una perquisizione avvenuta il 14 ottobre a casa di Ferdico, che già ora si trova in carcere a seguito della maxi inchiesta Doppia Curva, nell'ambito di un'indagine su una rapina. Circostanza che, nella prospettiva dei pm Paolo Storari, Stefano Ammendola e Alessandra Dolci, dimostra la premeditazione del delitto e quindi un'aggravante da ergastolo che impedirà nei prossimi mesi di svolgere processi con il rito abbreviato, che invece finiranno alla Corte d'Assise di Milano.
Il ruolo di Marco Ferdico nell'omicidio di Vittorio Boiocchi
Il ruolo di Ferdico, con il padre Gianfranco, sarebbe stato quello di gestire la logistica del crimine procurandosi il mezzo di trasporto (il furgone Fiat Ducato su cui era stata caricata la moto Gilera Piaggio), i cellulari olandesi criptati per le comunicazioni con gli altri organizzatori e l‘arma, ingaggiando i killer (il suocero di Ferdico Pietro Andrea Simoncini, vicino alle cosche calabresi della faida delle Preserre Vibonesi, e l'amico Daniel "Bellebuono" D'Alessandro) e consegnando poi i 50mila euro ricevuti dalle mani del corista dell'Inter Maurizio Nepi come compenso promesso ai partecipanti dal mandante, il vice di Boiocchi Andrea Beretta. Che in questo modo, eliminando il vecchio capo ultrà, aveva scalato le posizioni della Curva Nord, salendo automaticamente al vertice del tifo organizzato nerazzurro.
Per detronizzare Boiocchi, Beretta era affidato infatti all'"ufficio stampa" della Curva Marco Ferdico, altrettanto desideroso di entrare nel business del merchandising e anche lui carico di rancori contro quello che al tempo era il leader della Nord. "Avevo saputo che anche Marco aveva avuto uno screzio pesante con Vittorio", ha riferito infatti ai magistrati Beretta, oggi diventato collaboratore di giustizia, "perché durante una partita in cui l'Inter aveva giocato male Marco aveva messo dei commenti negativi sui social, sulla squadra e sull'allenatore, ed era stato ripreso fortemente da Vittorio che gli aveva intimato di non scrivere più nulla sui social, altrimenti non veniva più allo stadio".
Tra gli esecutori materiali anche il suocero di Ferdico
Beretta e Ferdico, per portare a termine il "progetto", si sarebbero dunque rivolti agli esecutori materiali D'Alessandro (riconosciuto poi anche da un tatuaggio sotto l'occhio a forma di lacrima, "simbolo" dell'omicidio commesso) e il padre della compagna di Ferdico Simoncini, già coinvolto in una faida di ‘ndrangheta e salito a Milano appositamente. Cristian Ferrario, altro ultrà interista, invece, si sarebbe intestato la moto usata per l'agguato. Dopo le confessioni degli ultimi giorni davanti ai pm, la strada sembra ormai spianata anche per quelle degli altri tre arrestati. Una mossa con cui le difese cercano anche di evitare condanne all'ergastolo in Corte d'Assise.