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Mercati sempre più nervosi in vista del referendum britannico: cosa fare

Cresce il nervosismo dei mercati in vista del referendum del 23 giugno sulla permanenza o uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Ma l’azione delle banche centrali impedisce ai mercati di prezzare correttamente il rischio, così gli investitori…
A cura di Luca Spoldi
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C’è qualcosa che non torna sui mercati, o forse torna fin troppo: nonostante da mesi si preveda un ulteriore rialzo dei tassi ufficiali da parte della Federal Reserve (che per la verità da parte sua ha adottato al riguardo un atteggiamento molto più cauto di quello, fin troppo spavaldo, di fine 2015), in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, i tassi sui titoli di stato e sulle obbligazioni in genere stanno calando, anziché aumentare. Che significa e come si deve comportare un investitore?

Andiamo con ordine. I tassi sui bond a 10 anni in questo momento sono pari all’1,65% per i T-bond statunitensi in dollari, all’1,38% per i Btp italiani in euro, all’1,23% per i Gilt britannici in sterline. Non rendono più nulla i Bund tedeschi (il cui rendimento è scalato sullo 0,02%, in euro), mentre ormai offrono rendimenti negativi i titoli di stato giapponesi (-0,17% in yen) e quelli svizzeri (-0,50%). Questo sta avvenendo per almeno tre motivi.

Il primo, in ordine di importanza, è perché le banche centrali continuano a pompare liquidità nel sistema: la Banca centrale europea e la Bank of Japan coi rispettivi programmi di quantitative easing, la Bank of England mantenendo i tassi fermi sul minimo storico dello 0,5%, la stessa Federal Reserve rinviando ulteriori aumenti, col primo ritocco del 2016 atteso in luglio o a settembre, mentre a inizio anno si parlava di quattro rialzi, uno a trimestre circa.

Il secondo motivo, direttamente collegato al primo, è perché il 23 giugno la Gran Bretagna vota sulla permanenza o uscita (“Brexit”) dall’Unione europea e se vincesse quest’ultima ipotesi si prevede che sui mercati finanziari mondiali almeno per qualche tempo al volatilità salirebbe ulteriormente, con la sterlina che potrebbe perdere dal 10% al 20% rispetto ai livelli attuali e le borse europee che rischierebbero di calare anche di un 24% prima di tornare a recuperare terreno.

Uno scenario che congelerebbe ogni ipotesi di rialzo dei tassi Usa e spingerebbe la Bce e la Bank of Japan a inventarsi ancora ulteriori sostegni ad una ripresa che resta fin troppo fragile ed esposta alle tensioni dei mercati finanziari. Proprio questa fragilità evidenzia il terzo motivo per cui i tassi sui bond calano anziché aumentare, perché se la crescita mondiale dovesse rallentare ulteriormente come già prevedono alcuni istituti come la Banca Mondiale (e almeno in parte la stessa Bce per quanto riguarda l’eurozona), di inflazione non se ne vedrebbe traccia nonostante gli Usa siano ormai sostanzialmente in piena occupazione.

Se al contrario la Gran Bretagna resterà nella Ue, la ripresa si consoliderà nei mercati emergenti e in tutto il mondo e i prezzi delle materie prime, a partire dal petrolio, non scenderanno dai livelli recuperati in queste settimane e torneranno anzi a salire, l’inflazione potrebbe fare capolino negli Usa (e forse in Gran Bretagna), mentre in Europa e in Giappone difficilmente se ne parlerebbe ancora per un anno e mezzo o due.

In sintesi, la volatilità dei mercati è inevitabilmente in crescita in attesa di conoscere l’esito di una “esogena” come il referendum britannico del 23 maggio, rispetto al quale gli investitori stanno prendendo profitto dove possono (sui listini azionari, che hanno ormai recuperato lo scivolone di inizio anno, sovente riavvicinandosi ai propri massimi storici) e parcheggiando la liquidità sul mercato obbligazionario, “protetto” dall’azione costante delle banche centrali.

Un vecchio detto di Wall Street ricorda: “don’t fight the Fed”, ossia non scommettete contro la Federal Reserve (e le banche centrali in genere). E’ un ottimo consiglio tanto più che dopo il 23 giugno occorrerà capire come le banche centrali vorranno e sapranno gestire “il giorno dopo”, quale che sia. Visto che i mercato sono sempre più condizionati dalle banche centrali e non sembrano in grado di “prezzare il rischio” correttamente, per la gioia dei debitori (che faranno bene a puntare ancora per qualche tempo sui tassi variabili, suscettibili di ulteriori ribassi, piuttosto che indebitarsi a tasso fisso, che potrebbero tornare interessanti nella seconda parte dell’anno o nel 2017), a mitigare i rischi devono essere gli investitori stessi.

Questo significa che chi non ama troppo il rischio farà bene a ripartire grosso modo in quattro parti il proprio capitale: una parte andrà mantenuta liquida, per approfittare di eventuali cadute delle borse e investire a livelli di prezzo più interessanti di quelli attuali, una seconda parte la si potrà parcheggiare in titoli di durata attorno ai 2 anni limitandosi a non perdere né guadagnare, una terza parte la si potrà investire in bond corporate o titoli di stato a medio-lungo termine (5-10 anni) in euro (Btp, ma anche Bonos spagnoli) e l’ultima parte in azioni, idealmente diversificando ulteriormente questa porzione tra titoli azionari quotati su mercati sviluppati e su mercati emergenti, magari operando tramite fondi comuni.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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