Questa intelligenza artificiale trasforma i tuoi sogni in un film: come funziona Dream Recorder

I sogni sono la via regia verso l’inconscio, scriveva Carl Gustav Jung. E infatti. Annotarli è sempre stato un modo per provare a decifrarli, capire qualcosa in più di noi stessi. Oggi però la tecnologia prova a fare un passo in più: permette di ricrearli con l'intelligenza artificiale. Dream Recorder, è un piccolo apparecchio da comodino che prova a visualizzare i sogni attraverso brevi video generati da un software. Il funzionamento è volutamente semplice: al risveglio l’utente preme un pulsante, racconta al dispositivo ciò che ricorda del sogno e il sistema genera una breve clip video, dall’estetica granulosa e vagamente onirica.
Si tratta, chiaramente di una ricostruzione, non di una registrazione cerebrale: tecnologie capaci di riprodurre con precisione i contenuti visivi del sogno sono ancora in fase sperimentale nei laboratori di neuroscienze. Gli algoritmi del Dream Recorder si limitano a trasformare il racconto verbale in immagini evocative, sfruttando i progressi dell’IA generativa.
Il Dream Recorder come diario visivo dei sogni
Il dispositivo conserva sette “slot” di memoria, per coprire l’arco di una settimana e permettere all’utente di cogliere eventuali ricorrenze o ricostruire un “diario visivo” del proprio subconscio. Una delle caratteristiche di Dream Recorder è la sua natura completamente open-source. Modem ha pubblicato su GitHub sia il software, sia la documentazione tecnica necessaria per ricostruire il dispositivo: chiunque, con una stampante 3D e componenti facilmente reperibili, può provare a realizzarne uno.
È un approccio raro nel settore dell’elettronica di consumo, dominato da logiche proprietarie. Secondo i fondatori di Modem, l’obiettivo è restituire maggiore autonomia agli utenti e proporre una visione dell’IA alternativa a quella – più commerciale – che guida le big tech.
Un design pensato per la camera da letto
Il Dream Recorder ha anche un valore estetico. Per la progettazione, Modem ha collaborato con il creative technologist Mark Hinch, gli industrial designer Ben Levinas e Joe Tsao, e l’illustratore francese Alexis Jamet, le sue opere sono state utilizzate per addestrare il modello di generazione video.
Il risultato è un dispositivo volutamente privo di linee rigide, non ho un'estetica “tech”. L’obiettivo ha spiegato Modem, è inserirlo in un ambiente intimo come la camera da letto senza interrompere la sensazione di quiete. Nessuna notifica, nessuna app, nessuna integrazione con smartphone: solo una leggera luce e un piccolo schermo capace di ricreare immagini dall’effetto analogico, ottenute anche grazie all’elaborazione tramite FFmpeg, uno degli strumenti software più usati nella manipolazione video.
Una tecnologia ispirata al “calm computing”
Modem recupera l’eredità di Mark Weiser, informatico statunitense e pioniere del concetto di “ubiquitous computing” negli anni ’90 presso Xerox PARC. Weiser sosteneva che la miglior tecnologia fosse quella capace di svanire sullo sfondo, diventando parte dell’ambiente senza richiedere attenzione costante.
Il Dream Recorder cerca di mettere in pratica quell’ideale: un oggetto che non distrae, non invade, ma accompagna. Una tecnologia che non misura, non controlla e non ottimizza, ma suggerisce una relazione intima con i propri pensieri.
Un’altra idea di intelligenza artificiale
In un’epoca in cui l’AI viene spesso presentata come un assistente onnipresente, Modem immagina un rapporto meno performativo. Il Dream Recorder ha una sola funzione: dare forma a qualcosa di ineffabile come un sogno, offrendo uno spunto di introspezione. Come spiegano i co-fondatori, l’intelligenza artificiale resta “solo matematica e algoritmi”, e ciò che conta è l’intenzione con cui viene progettata: può diventare una nuova fonte di distrazione, oppure uno strumento per esplorare in modo più consapevole il proprio paesaggio interiore.
Il Dream Recorder non è un prodotto di massa, e probabilmente non lo diventerà. Ma è un segnale: mostra che l’AI può essere utilizzata in modo diverso, per creare oggetti che non chiedono attenzione ma la restituiscono, che invece di potenziare la produttività provano a dare voce a ciò che spesso resta invisibile.