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Intelligenza artificiale (IA)

Peter ha creato una copia del padre malato: “Serve a parlare con lui anche dopo la sua morte”

Sempre più persone si rivolgono ad aziende tech per creare versioni virtuali dei propri cari, un modo per comunicare con loro anche dopo la morte. Il mercato della resurrezione artificiale però può essere un terreno pericoloso e rimangono aperte diverse questioni etiche.
A cura di Elisabetta Rosso
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Peter Listro è rimasto cinque ore su una poltrona rispondendo a domande sulla sua infanzia, sulla sua famiglia, ripetendo più volte "ciao" e "è stato bello parlare con te". Seduta di fronte a lui c'è un'operatrice di StoryFile che filma tutto. I video infatti sono il primo passo per creare un avatar in grado di comunicare con la sua famiglia dopo la morte. Listro ha un tumore al sangue e, secondo i medici gli rimane meno di un anno di vita. Per questo sua moglie e suo figlio l'hanno convinto a sedersi sulla poltrona del suo salotto e sperimentare il settore emergente delle Grief Tech.

Da qualche anno nei laboratori tech i modelli di intelligenza artificiale vengono addestrati con chat, foto, video, audio, mail, conversazioni, sms, post, reel, note vocali. L'obiettivo è creare un clone virtuale che ci permette di parlare con i nostri cari dopo la loro morte. Il business della resurrezione artificiale si sta già specializzando per creare prodotti diversi. Ci sono i bot che rispondono per messaggio ma anche composizioni 3D accurate. La famiglia Listo ha scelto una soluzione intermedia: creare un avatar di Peter in grado di dialogare attraverso uno schermo.

Il mercato della resurrezione digitale

La storia della famiglia Listro, raccontata dal New York Times, non è un caso isolato. Sempre più persone si stanno rivolgendo al mercato della resurrezione digitale per elaborare il lutto. Da anni si lavora per creare i deadbot. Nel 2021, Joshua Barbeau aveva utilizzato GPT-3 per creare un chatbot in grado di replicare la voce della sua fidanzata morta. Lo stesso anno il sito MyHeritage ha lanciato Deep Nostalgia, una funzionalità per creare video animati dei propri parenti usando un album di foto.

Non solo. In Cina le pompe funebri utilizzano già foto, video, registrazioni vocali dei defunti per creare avatar che durante il funerale recitano qualche frase di commiato. Ma ora, con i progressi tecnologici, sarà ancora più semplice creare versioni digitali dei nostri cari che sopravvivranno alla loro morte.

La scelta della famiglia Listro

Storyfile lavora principalmente con musei ma sta cominciando a collaborare anche con clienti privati, come la famiglia Listro. Il prossimo passo dell’azienda sarà lanciare un’app basata su intelligenza artificiale generativa: permetterà agli utenti di creare avatar capaci di rispondere a domande non predefinite, attingendo a contenuti come email, post sui social media e altri materiali personali.

La famiglia Listro però ha scelto un’opzione diversa: un avatar di Peter programmato per rispondere solo alle domande poste mentre era in vita, quindi durante la registrazione in casa sua. In questo modo, ogni risposta sarà autentica, espressione diretta del suo pensiero, e non una ricostruzione ipotetica. “Non cambierà il fatto che non ci sarà più”, ha spiegato suo figlio Matt al New York Times, “ma sapere che, quando accadrà, quella non sarà l’ultima volta che parlerò con mio padre, rende tutto un po’ meno doloroso.”

I rischi dei deadbot: perché devono farci anche paura

Rimangono aperte diverse questioni etiche. Per esempio: chi possiede i dati di una persona dopo la sua morte? Qual è l’effetto psicologico sui parenti o amici? A cosa può servire un deadbot? Chi può disattivare definitivamente il bot? Come ha spiegato Enrico Giannetto, filosofo e storico della scienza italiano, a Fanpage.it: "Ci sono molti rischi e controindicazioni, non è rispettoso nei confronti di chi è morto, c’è uno sfruttamento dei defunti per diversi fini, psicologici, economici, politici, di propaganda, nel migliore dei casi è un tentativo di esorcizzare la morte nel peggiore è una mercificazione dei morti."

Non solo, i morti digitali potrebbero anche prolungare il dolore e creare uno scollamento dalla realtà. I deadbot creerebbero una dipendenza insuperabile. Non potremmo poi farne a meno perché anestetizzano la nostra sofferenza e rischiano di rendere, infine, anche noi un po' meno umani.

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