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La nuova funzione di Spotify potrebbe avere un effetto molto strano: cosa sono le Prompted Playlist

La piattaforma promette playlist su misura basate sui gusti degli utenti, ma, senza competenze, la personalizzazione rischia di trasformarsi in una guida ancora più vincolante.
A cura di Elisabetta Rosso
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Spotify ha annunciato mercoledì il lancio di Prompted Playlist, una nuova funzionalità pensata per dare agli utenti maggiore controllo sull’algoritmo del servizio di streaming. Al momento, la funzione è disponibile in fase beta solo per gli abbonati Premium in Nuova Zelanda e in lingua inglese, ma la società prevede un’estensione ad altri mercati nei prossimi mesi.

L’obiettivo è permettere agli utenti di creare playlist personalizzate basate sulla cronologia di ascolto. In teoria, questo dovrebbe offrire una visione completa dei gusti musicali di ciascun ascoltatore, andando oltre le playlist standard e i suggerimenti automatici già presenti sul servizio. Al di là delle promesse, la nuova funzione potrebbe in realtà essere una grande trappola per rimanere ancora più incastrati nella grande ruota del criceto.

Playlist su misura: come funzionano i nuovi prompt

La novità si basa su prompt scritti: l’utente descrive cosa vuole ascoltare e l’algoritmo genera la playlist. Rispetto alle precedenti playlist AI introdotte da Spotify, i nuovi prompt possono essere molto più lunghi e dettagliati. Si possono impostare aggiornamenti quotidiani o settimanali, chiedere musica di determinati artisti, periodi storici o mood, e persino combinare criteri complessi, come “pop e hip-hop ad alta energia per una corsa di 30 minuti, che sfumano in brani rilassanti per il defaticamento”.

Tuttavia, dietro la promessa di libertà musicale si nascondono alcuni limiti significativi. Per ottenere playlist davvero interessanti, l’utente deve possedere una buona competenza musicale e saper scrivere prompt efficaci. Chi non ha dimestichezza con generi, artisti o strutture musicali rischia di restare intrappolato nelle opzioni predefinite della piattaforma, ottenendo playlist poco originali o troppo simili a quelle già esistenti. In altre parole, più che liberare l’ascoltatore dall’algoritmo, i nuovi prompt possono diventare una guida vincolante, dove la creatività dipende tanto dalla conoscenza personale quanto dallo strumento stesso.

Libertà controllata: i limiti dei Prompted Playlists

Spotify cerca di mitigare questo rischio fornendo descrizioni e contesto per ogni playlist, spiegando perché un brano è stato selezionato, e offrendo prompt preimpostati per aiutare gli utenti a partire. Ma resta il fatto che la piattaforma definisce ancora le regole del gioco: chi vuole davvero sperimentare deve conoscere la musica e il funzionamento dell’algoritmo.

Questa iniziativa si inserisce in un trend più ampio delle piattaforme digitali, che cercano di dare agli utenti il controllo sugli algoritmi senza rinunciare al proprio ruolo di arbitri dei contenuti. Instagram, ad esempio, ha introdotto funzioni per gestire i Reels, mentre Bluesky permette di sostituire l’algoritmo predefinito con uno personalizzato. Anche TikTok ha introdotto dei filtri per moderare la presenza di contenuti basati sull'intelligenza artificiale.

Prompted  Playlists rappresenta un passo avanti verso questa direzione. La funzione promette di rendere l’ascolto più interattivo e su misura, ma rischia di confinare gli utenti in nuove bolle musicali, soprattutto chi non ha competenze sufficienti per navigare tra prompt complessi e suggerimenti algoritmici.

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